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Steve Zungul e gli anni d’oro dell’indoor soccer

Ok. Questo nome probabilmente non dirà nulla alla maggior parte degli appassionati di calcio europeo. Ed è normale. Non stiamo parlando di un pallone d’oro e neppure di un perno della forte nazionale jugoslava della seconda metà degli anni settanta – tolte poche presenze. Sicuramente aveva i mezzi per diventarlo. A suo modo Zungul una leggenda lo è diventato ugualmente: il più grande giocatore di indoor soccer della storia della lega americana (MISL), per dirla alla yankee – the Lord of All Indoors.

Steve Zungul, all’anagrafe Slavisa Zungul, era una stella emergente del calcio europeo della seconda metà degli anni ’70, attaccante di quell’Hajduk Spalato capace di vincere il campionato jugoslavo nel 1974 e nel 1975 e di raggiungere la semifinale di Coppa UEFA nel 1973. Zungul era uno che la porta la vedeva eccome (con l’Hajduk ha registrato in carriera più di 80 reti). Era un giocatore di talento, con ulteriori margini di miglioramento dati i suoi 24 anni, seguito anche da squadre italiane come Inter e Milan. La svolta della sua carriera avvenne nel 1978, quando fu attirato dalle sirene di alcuni club americani della NASL. Zungul e altri giocatori avevano avuto aspri contrasti con la gestione del club croato da parte del presidente Tito Kirigin a causa di ripetuti ritardi nel pagamento degli stipendi. I dissidi col club avrebbero potuto avere effetti devastanti sulla sua carriera col timore di doverla abbandonare al suo culmine e di dover effettuare il servizio militare obbligatorio, soluzione caldeggiata dall’Hajduk per non permettergli di abbandonare la madrepatria e di ritardare ulteriormente i pagamenti dovuti. Lo svolgimento del servizio militare era la condizione imposta dalla federazione jugoslava, l’unica che permetteva a un calciatore di poter abbandonare la Jugoslavia per andare a giocare all’estero, una volta però compiuti 28 anni.

MISSILE1980-Zungul-SegotaSteve, che di anni ne aveva 24, non aveva alcuna intenzione di dire addio al calcio professionistico e si inventò un escamotage per poter abbandonare la sua squadra e il suo paese: chiese ai dirigenti dell’Hajduk di poter accompagnare a New York per un viaggio di lavoro la sua fidanzata, la modella Moni Kovacic. Il campionato jugoslavo era fermo per la pausa invernale e lui ne avrebbe approfittato per giocare alcune partite di esibizione di indoor soccer, una derivazione, americana, del nostrano calcetto, che iniziava ad appassionare i tifosi americani. Il vero obiettivo di Zungul era in realtà la NASL, la lega americana che in quegli anni aveva accolto molti grandi campioni sul viale del tramonto come Pelé, Chinaglia, George Best. Una volta negli Stati Uniti però Zungul non si voltò indietro e dopo la tournee della NASL, in attesa di risolvere le sue vertenze con l’Hajduk si accordò con una franchigia che quell’anno partecipava al primo campionato di indoor soccer della neonata lega americana MISL, i New York Arrows. Doveva essere un periodo di passaggio, l’utilizzo di una porta di servizio per tornare nel calcio “vero”. Ma le cose andarono diversamente. Quando l’Hajduk si rese conto di averlo perso per sempre si appellò alla FIFA per inibirlo a tempo indeterminato dal calcio outdoor, in quello che diventò uno dei più grandi scandali della storia sportiva Jugoslava. L’Hajduk e la Federazione Jugoslava iniziarono una campagna diffamatoria nei suoi confronti, additandolo sui media nazionali alla stregua di un traditore della patria.

Fu così che nacque la leggenda di Steve Zungul – indoor soccer’s greatest ever player.

Non si può parlare di Zungul senza spiegare come si arrivò a sviluppare l’idea di un football – scusate soccer – made in USA, una interpretazione yankee del calcio europeo, che mischiava elementi dei più seguiti sport indoor americani (eh sì c’entra anche la disciplina a dir poco singolare del lacrosse). La lega calcistica americana dell’epoca, la NASL, nata negli anni ’60 incontrava grosse difficoltà a far prendere campo a una disciplina cosi lontana, non solo geograficamente, dal modo di vivere lo sport da quelle parti. Si decise all’inizio degli anni ’70 di provare a creare anche una lega indoor, giocata su campi simili a quelli da hockey con porte di 1,20mt per 4,80m con 5 giocatori per squadra più il portiere su 3 tempi da 20 minuti su una superficie di astroturf (erba sinstetica).

Il battesimo di questa nuova disciplina avvenne con una partita carica di significati, anche extra-calcistici: una selezione dei migliori giocatori della NASl avrebbe affrontato il club moscovita dell’Armata Rossa, in tour in Nord America in quel periodo. La selezione americana perse il match ma il successo di pubblico fu enorme, quasi 12000 spettatori affollarono lo stadio di Philadelphia. Era la dimostrazione che il prodotto indoor poteva funzionare, dal momento che dava vita a uno sport per certi versi ibrido e più vicino alla cultura sportiva a stelle e strisce, facendo proprie alcune caratteristiche dei due sport indoor più di successo, cioè il basket e l’hockey. Si trattava di un gioco più veloce, con pochissima tattica calcistica, dai punteggi spesso tennistici. Per lo spettatore americano medio, il calcio più fruibile, più nelle sue corde era certamente l’indoor soccer.

Dopo i primi anni, caratterizzati da tornei discontinui, fu solo nel 1978 che si iniziò a pensare a un movimento professionistico stabile, con un campionato vero e proprio. Nacquero così due leghe distinte, create da 2 gruppi di investitori privati differenti: la prima sponsorizzata dalla NASL, che però ebbe una vita breve e travagliata e che implose nel 1984 e una seconda patrocinata da Ed Tepper (proprietario dei Philadelphia Wings, squadra di lacrosse) e da Earl Foreman, co-proprietario della franchigia di Washington, per alcuni anni facente parte della NASL. Nel 1978 reperirono fondi e sponsor sufficienti a dare vita a una lega autonoma e concorrente alla NASL, la Major Indoor Soccer League (MISL) con 6 franchigie partecipanti alla stagione inaugurale 1978-1979, che sarebbero aumentate via via con gli anni: Philadelphia Fever, New York Arrows, Pittsburgh Spirit, Cleveland Force, Cincinnati Kids e Houston Summit a contendersi il titolo al termine di 24 partite. Le regole applicate dalla NASL furono cambiate con porte più alte (197 cm) e più strette (360 cm) e 4 tempi da 15 minuti per rendere il gioco ancora più veloce e spettacolare.

E Zungul? Firmò con i New York Arrows, coi quali vinse i primi 4 campionati MISL disputati e che lo fecero entrare nella leggenda, segnando 372 reti in 145 incontri tra regular season e playoff. Nel 1983, grazie a una sentenza della Corte Suprema che abolì l’inibizione inflittagli e che gli aveva impedito di poter partecipare alla lega di soccer a 11 nei suoi primi anni di permanenza negli Usa, Zungul potè finalmente mostrare i suoi numeri nella lega NASL con i colori dei Golden Bay Earthquakes con quali segnò quasi 40 reti in due stagioni, togliendosi anche la soddisfazione di dominare, in una partita memorabile, i New York Cosmos del mitico Chinaglia. Dal 1984 al 1990, tornato a calcare i campi in astroturf della MISL, riuscì a vincere ancora quattro campionati nelle fila dei San Diego Sockers, segnando a raffica. Zungul si ritirerà da campione in carica nel 1990 dopo aver messo a referto nella MISL qualcosa come 652 gol e 371 assist. In America è ancora ricordato da tutti gli appassionati di soccer indoor come il più grande di tutti, abile e veloce, con una tecnica sopraffina, letale sia di destro che di sinistro, con una visione di gioco fuori dal comune. La carriera americana di Zungul ha segnato tutto il percorso lega MISL, scomparsa nel 1992 che però ha rappresentato uno dei maggiori successi di pubblico del calcio rivisitato in ottica yankee.

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Non possiedo le conoscenze sportive a 360° dei miei “compagni di merende” ma mi difendo bene nel tiro alla fune e nel gioco del fazzoletto. Forse è per questo che mi hanno voluto nella creazione di questo blog, o forse, più semplicemente, quella sera erano ubriachi di birra artigianale. Ho scoperto alle ultime olimpiadi il beach volley femminile e ciò mi ha fatto riflettere, portandomi a considerare gli altri sport un contorno o poco più. Ho il Genoa nel sangue, solo che a volte ne ho troppo e finisce che mi sento male.

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