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La squadra spezzata

Narrare le vicende della Grande Ungheria di Puskas degli anni’50 significa ripercorrere un viaggio a ritroso nella storia, un viaggio dicotòmico in un mondo diviso tra blocco sovietico e democrazie occidentali, dove le imprese della Squadra d’oro –  Aranycsapat - sono immortalate dal bianco e nero dei filmati dell’epoca e dove la speranza di futuro migliore di un popolo si scontra con l’ottusità e la violenza del potere. All’interno di queste contrapposizioni si snoda la vicenda di Gabor, personaggio immaginario che vivrà in prima persona la nascita, l’apice e il declino della mitica Squadra d’oro, capace di vincere 43 partite su 50 e di perderne solo una: peccato si tratti della finale della Coppa Rimet del 1954, peraltro contro i nemici storici della Germania Ovest. Luigi Bolognini con La squadra spezzata” edito da 66thand2nd riesce nella difficile opera di dare unità a un romanzo su più livelli che è al contempo un romanzo storico, un romanzo di formazione e il racconto di una idea di calcio innovativa e fuori dagli schemi. La storia delle grandi imprese sportive della Honved e della Aranycsapat si fonde con le speranze e i sogni di un intero popolo, senza tralasciare alcuni particolari della vita quotidiana di chi viveva nel grigiore dei totalitarismi dell’epoca, denotando un grande rigore storico e una preparazione minuziosa da parte dell’autore.
In attesa dell’incontro di martedì 21 novembre al Kowalski abbiamo fatto due chiacchiere in anteprima con il giornalista Luigi Bolognini.

Il tuo è libro storicamente molto accurato, soprattutto nei dettagli che emergono in alcune pagine. Da cosa nasce l’idea di scriverlo e come hai fatto a documentarti?
Mi sono recato in Ungheria nei giorni del cinquantennale della rivoluzione di Budapest. Ho tratto informazioni e documenti partendo dal Centro Italiano di Cultura, parlando con reduci della rivoluzione del 1956 e studiando documenti dell’epoca. Io, personalmente sono molto amante dei dettagli, anche perché penso che bisogna essere il più precisi possibile nella narrazione di un periodo storico, inoltre certi dettagli danno autenticità alla storia nel suo insieme. L’idea del libro è nata nel 2006, per le manifestazioni del cinquantennale della rivoluzione, il libro poi è stato pubblicato da Limina a gennaio del 2007 e fin da subito ha avuto un buon riscontro da parte del pubblico – è stato infatti tra i finalisti del premio Bancarella Sport. Lo scorso anno la 66thand2nd ha ripubblicato il libro e ha avuto un ottimo ritorno, molte sono le presentazioni che abbiamo fatto in giro per l’Italia. L’argomento, sia da un punto di vista storico che sportivo ormai è temporalmente lontano anche se spesso chi lo legge mi dice che lo trova molto attuale.

Il mito della Grande Ungheria degli anni’50 effettivamente è ancora vivo dentro ogni appassionato di calcio, una squadra che giocava un calcio sublime e che probabilmente rimarrà la più grande incompiuta della storia. Che opinione ti sei fatto?
Storicamente se ci pensi solo tre squadre nel corso della storia meritano l’appellativo di “Grande”: il grande Torino del secondo dopoguerra, l’Olanda di Cruyff e appunto l’Ungheria di Puskas. Tutte e tre sono accomunate da una sorta di tragicità. Quella del Grande Torino è legata al disastro aereo di Superga, nel caso dell’Olanda e dell’Ungheria si tratta di due tragedie sportive. L’Ungheria arriva alla finale di Berna come la favorita, dopo la vittoria alle Olimpiadi del 1952; quell’evento non può rappresentare altro che la consacrazione di un’idea di calcio sublime. Ma come nel caso di Icaro che si avvicinò troppo al sole, anche l’Ungheria perde le proprie ali sul più bello. Il racconto in questo caso diventa rappresentazione della fallibilità umana, come fosse una tragedia greca. Quella della Grande Ungheria era una storia troppo bella e interessante per non essere raccontata. Questa è stata la principale motivazione che mi ha portato a scriverne. In Italia ogni tanto si parlava della Grande Ungheria ma non esisteva un libro sull’argomento. Così ho deciso di scriverlo io.

Il libro poi oltre ad essere imperdibile per ogni appassionato di calcio è, come dicevamo, veramente approfondito da un punto di vista storico.
La difficoltà maggiore è stata infatti coniugare la parte prettamente calcistica, che ho cercato di ricostruire spiegando anche i moduli di gioco dell’epoca e la modernità del sistema adottato dagli ungheresi con la parte relativa agli avvenimenti socio-politici che sfociarono nella rivoluzione del 1956, adottando un linguaggio che potesse risultare chiaro sia ai calciofili che agli appassionati di storia. Il tutto doveva sfociare in un amalgama che potesse risultare credibile e fruibile nella lettura.

E’ una domanda che probabilmente ti sarai posto chissà quante volte e che, a distanza di anni, è molto difficile ma te la faccio lo stesso: se l’Ungheria avesse vinto quel mondiale, la rivoluzione ci sarebbe stata lo stesso?
A distanza di tanti anni ed avendo parlato direttamente con reduci di quel periodo, la risposta unanime è che la rivoluzione in Ungheria sarebbe avvenuta ugualmente. Certo, probabilmente i modi e i tempi sarebbero potuti essere diversi. L’eventuale vittoria nel mondiale avrebbe comunque rappresentato solamente un pannicello caldo. Ovviamente la controprova non l’avremo mai. Certo è un dato di fatto che la prima forma di ribellione scoppia all’indomani della finale di Berna del 1954. Fino a quel momento la popolazione, benché vivesse in un vero e proprio stato di polizia e patisse le spaventose condizioni imposte dal regime non aveva mai dato vita a violente manifestazioni di protesta. La nazionale rappresentava una sorta di rivincita per il popolo ungherese e nel momento in cui il giocattolo si rompe iniziano a venire alla luce problematiche ben più profonde. C’è da dire che in quegli anni in tutto il blocco sovietico il malcontento stava diffondendosi a vista d’occhio. Sicuramente fa riflettere ed è ancora attuale che da una sconfitta calcistica sia scaturito un malessere che via via si è allargato fino a sfociare nella rivoluzione del 1956.

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Non possiedo le conoscenze sportive a 360° dei miei “compagni di merende” ma mi difendo bene nel tiro alla fune e nel gioco del fazzoletto. Forse è per questo che mi hanno voluto nella creazione di questo blog, o forse, più semplicemente, quella sera erano ubriachi di birra artigianale. Ho scoperto alle ultime olimpiadi il beach volley femminile e ciò mi ha fatto riflettere, portandomi a considerare gli altri sport un contorno o poco più. Ho il Genoa nel sangue, solo che a volte ne ho troppo e finisce che mi sento male.

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