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Diego Maradona, il barrilete cosmico

La vita di Maradona è ormai un grande classico. Eppure, proprio come i grandi classici, riesce sempre a trasmettere qualcosa di nuovo. Affinché un testo possa continuare ad essere attuale, però, è fondamentale la mano del narratore. O meglio, del regista in questo caso. E perché il racconto riesca a comunicare oltre la storia, già conosciuta e raccontata, servono modalità di comunicazione non scontate, che evitino l’elegia mitologica o la più bieca condanna moralistica. Il documentario Diego Maradona, del regista premio Oscar Asif Kapadia, reperibile su Netflix dal 15 novembre, fa tutto questo. E lo fa molto bene, cucendo con precisione le oltre 500 ore di girato messo a disposizione dalla famiglia del campione argentino, assieme al copioso materiale di repertorio e le molte interviste rilasciate dal numero 10 (per lo più nel periodo napoletano).

Ne esce un ritratto umano, vero e mai banale. Quasi un carattere shakespeariano, diviso tra il Diego, giovane calciatore di Villa Fiorito, e Maradona, personaggio costruito per la fama e il calcio. In questa dicotomia si sviluppa la vita del grande calciatore. Anzi, di un essere umano che, come molti appartenenti alla sua specie, è disonesto, e, come pochi soggetti del suo genere, sa essere altresì genialeMaradona è l’uomo della mano de dios, ma anche lo stesso di uno dei goal più belli di sempre. E’ l’amico di Carmine Giuliano, boss dell’omonimo clan camorristico, ma anche un uomo incapace di far fronte alla fama, alla popolarità e all’ amore di una città troppo spesso soffocante. E’ l’artefice dei successi del Napoli, ma anche un uomo che vive la dipendenza dalla cocaina. E su questo tema, in un paese dove buona parte dell’opinione pubblica ha di fatto legittimato la barbara morte di Stefano Cucchi per anni, viene da porsi la domanda: la dipendenza è una colpa?

La risposta è nel docu-film di Kapadia, che opera e smonta il mito per restituire Maradona alla storia (non solo calcistica). Una storia che l’opinione pubblica – soprattutto quella italiana – è da sempre abituata a raccontare con toni eccessivamente agiografici quando positiva, e con accenti moralistici-demoniaci quando negativa. Maradona non era un santo, né un demonio. Solo un uomo. Proprio come Pantani. E la sua colpa è stata quella di aver messo ognuno/a di noi di fronte a se stesso/a, di essere uscito dal mito e di aver dismesso i panni dell’eroe. Proprio come Blaisedell, protagonista infinito di Warlock, western scritto da Oackley Hall, che dismette i panni dello sceriffo senza macchia per abbracciare la stella dello sceriffo-pistolero. Come lui, Maradona non è stato l’eroe che volevamo, ma l’eroe di cui avevamo bisogno. E lo abbiamo accettato finché  la sua parabola sportiva è stata all’apice. Poi lo abbiamo abbandonato, dividendoci tra chi lo difendeva e idolatrava e chi, invece, lo condannava e demonizzava.

Kapadia va oltre, sia a Diego che a Maradona, relativizza il personaggio e lo pone nudo di fronte allo spettatore che ha la possibilità di farsi un’idea laica su quello che può essere definito uno dei calciatori più controversi di sempre. Il Diego Maradona che esce dal film è lo stesso personaggio descritto da Marco Ciriello nel suo bellissimo libro Maradona è amico mio: un protagonista che cessa di essere icona per diventare barrilete cosmico, proprio come nella famosa radio-cronaca di Victor Hugo Morales. E’ lo stesso motivo per cui, a distanza di secoli/millenni, su un palcoscenico si continua ad assistere a Macbeth o a Tosca e a leggere il Vangelo. Più o meno consapevolmente non siamo mai alla ricerca di Dio, ma solo della ragione di noi stessi. Maradona non ha mai voluto essere un eroe, ha solo rotto il transfert.

Di questo dovremmo dirgli grazie.
Oltre al goal più bello di sempre.

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Chi sono? cosa faccio? dove vado? A tutte queste domande rispondo con un bel silenzio. Diciamo che lo psicodramma è il mio terreno preferito, altrimenti che genoano sarei?! Mi piacciono i piani ben riusciti ed è per questo che opero sempre in direzione contraria. Insomma ho una predilezione per gli sconfitti, i secondi e quelli che si sbattono. Per farla breve, per i gregari. Ahimè sono un romantico e quando vinco mi sento a disagio. Per questo sono sempre all’opposizione. Ci sono 4 cose che mi mandano in visibilio: la frazione a farfalla di Pankratov, l’eleganza di uno stop di petto, il culo di Franziska van Almsick e i tackle di Paul Ince. Per il resto bevo birra.

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