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Maradona è amico mio

piatto-maradona-1Se Dante, il sommo poeta, potesse riscrivere oggi la Divina Commedia, chissà in quale cantica avrebbe incontrato Maradona? Con il suo carico di umanità, vizi e peccati, sicuramente l’Inferno appare il luogo più probabile. Falsari, epicurei, superbi, iracondi: c’è solo l’imbarazzo della scelta sul girone giusto in cui farsi condurre da Virgilio. Tra un dannato e l’altro, però, ci sarebbe anche la possibilità che Dante, come spesso gli accade con scene troppo commoventi, non trovi le parole per descriverne la bellezza dei dribbling. E proprio come nel canto di Paolo e Francesca o in quello di Beatrice, svenga di fronte all’indescrivibile. Sì perché El Pibe, al pari della donna angelicata, è teologia calcistica. E se attraverso gli occhi di Beatrice, Dante intravede la grazia di Dio, attraverso Maradona vedrebbe l’essenza del calcio. Troppa bellezza. Sermo deficit.

Le parole per descrivere Diego, invece, e il suo essere strumento di indagine speculativa calcistica, le ha trovate Marco Ciriello che, in Maradona è amico mio (66thand2nd), compone un autentico zibaldone maradoniano. Quello che esce dalle pagine dello scrittore campano è un Maradona personale e intimo, che cessa di essere icona per diventare aquilone cosmico, proprio come nella famosa radio-cronaca di Victor Hugo Morales, che danza sui ricordi di vita dell’autore. Due esistenze in parallelo, unite da unico racconto: da un lato il viaggio che ha portato Diego Armando da Buenos Aires a Napoli, dall’altra la storia famigliare dell’autore. In mezzo le tappe fondamentali della carriera del Diez, ripercorse attraverso immagini o eventi che hanno contribuito a crearne l’immaginario pop. Come la famosa immagine contro il Belgio ai mondiali dell’82, che fotografa Maradona nel momento in cui non è ancora D1Os, ma è sulla strada per diventarlo. A specchiarsi in quel quadro, che pare unire il ritmo di una danza di Matisse all’equilibrio di una composizione davinciana, è l’adolescenza stessa della carriera di Diego, in cui, a sua volta, si riflette quella di Ciriello.

Maradona diventa quasi un transfer psicopedagogico, un pò come quando si contano gli anni con le edizioni dei mondiali o con le stagioni della propria squadra del cuore. Ma El Pibe resta sempre El Pibe, un uomo che “negli anni ha perso tutto: la faccia, il corpo, la famiglia, ma mai la memoria nè la credibilità”. Un santo anarchico che, proprio come il Gesù di Nietzsche, riesce a coniugare un’intrinseca personalità eversiva al proprio essere un bambino infinito. A Diego si riesce a perdonare tutto, forse perché i suoi errori vengono elargiti con mano reale o forse perché, per entrare nell’arte, è necessario uscire dalle regole e dal gioco. La Mano de Dios e il gol del secolo, ad esempio, non sono due atti separati, bensì un unico grande affresco sulla tela troppo spesso falsa e ipocrita del calcio e della società. Per tale motivo Maradona non è mai stato soltanto un calciatore. E proprio per questo il libro di Ciriello non è un libro solo su Maradona.

Chiudendo le pagine non resta che chiedersi se Cristiano Ronaldo o Messi riusciranno mai ad essere così letterari. Ma forse è meglio non porsi tali domande.
Ogni epoca ha i suoi eroi.
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Chi sono? cosa faccio? dove vado? A tutte queste domande rispondo con un bel silenzio. Diciamo che lo psicodramma è il mio terreno preferito, altrimenti che genoano sarei?! Mi piacciono i piani ben riusciti ed è per questo che opero sempre in direzione contraria. Insomma ho una predilezione per gli sconfitti, i secondi e quelli che si sbattono. Per farla breve, per i gregari. Ahimè sono un romantico e quando vinco mi sento a disagio. Per questo sono sempre all’opposizione. Ci sono 4 cose che mi mandano in visibilio: la frazione a farfalla di Pankratov, l’eleganza di uno stop di petto, il culo di Franziska van Almsick e i tackle di Paul Ince. Per il resto bevo birra.