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Con il piede giusto

Nel campionato italiano non ha lasciato impronta di sé e forse sia a livello di club che di nazionale avrebbe potuto sollevare un numero maggiore di trofei come lui stesso sostiene nella sua autobiografia “Con il piede giusto“, edito da 66thand2nd – “Sarei potuto diventare campione del mondo. Bastava che Raymond (Domenech) mi avesse fatto giocare. Perché? Perché io le finali che gioco non le perdo”.

Allora perché la storia di Vikash Dhorasoo risulta cosi avvincente ed interessante nelle sue sole centocinquanta pagine? Perché “Vishnu” è personaggio a tutto campo, calciatore, film-maker, attivista politico così lontano dagli stereotipi che accompagnano i virtuosi dell’arte pedatoria nostrana e non. Figlio di immigrati mauriziani di origine indiana, cresciuto a Le Havre nella periferia operaia di Caucriauville, una delle tante banlieues rouges di cui era disseminata la Francia del secondo dopoguerra, Dhorasoo non ha mai abbandonato le sue idee neppure quando è entrato nell’élite del calcio professionistico e la sua vita è inevitabilmente cambiata sotto molteplici aspetti. Scopre il calcio insieme ad altri bambini del suo quartiere multi-etnico, nei piazzali di cemento della sua cité, nell’età in cui le partite durano intere giornate e l’unico fine del gioco è il divertimento. Negli anni Vikash vive il razzismo latente e mai sopito di una società, quella francese, nella quale l’uguaglianza razziale non supera i confini delle periferie, raccontando casi di discriminazione razziale di cui è stato vittima anche quando era già un calciatore affermato. Dhorasoo si è sempre sentito francese, nonostante tutto, conscio delle proprie origini e delle numerose contraddizioni e problematiche che hanno contraddistinto il percorso di integrazione degli immigrati da parte della cultura francese  “Mio padre è francese, un bravo francese che non parla francese, o lo parla male, che non mangia francese, o molto poco, e che non ha più amici francesi da quando è disoccupato.” Molto singolare è il rapporto che ha avuto con la Nazionale francese, una parabola di amore ed odio o meglio di disillusione: Dhorasoo, la grande promessa che deve farsi da parte quando Zidane decide di tornare in nazionale, che vive l’agrodolce mondiale del 2006 da spettatore ma che grazie alla sua poliedricità scorge un’occasione anche in una situazione che per un giocatore sarebbe stata contraddistinta solo da tristezza. Si improvvisa regista e con il suo super-8 documenta i dietro le quinte della spedizione francese di Germania 2006, non lasciandosi sfuggire la possibilità di immortalare lo scoramento dello spogliatoio dei blues dopo la sconfitta con L’Italia.

L’onestà intellettuale del calciatore – uomo emerge in alcuni passaggi divertenti del libro. Nel 2004 Dhorasoo viene acquistato dal Milan con il compito di fungere da riserva di Pirlo e Seedorf. Sono gli anni di Berlusconi presidente del consiglio, gli anni delle bandane e dell’utilizzo del Milan da parte del premier come veicolo per accrescere la sua fama. Dhorasoo, uomo con idee politiche di sinistra, vive quasi divertito il teatrino spesso inscenato dal presidente, sfidando anche i codici non scritti che vigono all’interno del club e lo fa andando all’allenamento con La Repubblica o Liberation sotto braccio: sì Dhorasoo è di sinistra e non lo ha mai nascosto ma è il primo ad ammettere come la politica non abbia mai influenzato la scelta di un club.

Il calcio non uscirà mai dalla vita di Vikash, questo è certo, profondamente convinto che sia possibile cambiarlo dall’interno e apprezzandone la sua fondamentale funzione di collante sociale ma al tempo stesso può diventare un ponte tra sport e cultura. Dhorasoo ha iniziato da ambasciatore questa nuova avventura attraverso l’organizzazione umanitaria da lui fondata col fine di promuovere il calcio e lo ha fatto sicuramente con il piede giusto.

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Non possiedo le conoscenze sportive a 360° dei miei “compagni di merende” ma mi difendo bene nel tiro alla fune e nel gioco del fazzoletto. Forse è per questo che mi hanno voluto nella creazione di questo blog, o forse, più semplicemente, quella sera erano ubriachi di birra artigianale. Ho scoperto alle ultime olimpiadi il beach volley femminile e ciò mi ha fatto riflettere, portandomi a considerare gli altri sport un contorno o poco più. Ho il Genoa nel sangue, solo che a volte ne ho troppo e finisce che mi sento male.

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