Muhammad Ali – Un uomo decisivo per uomini decisivi

Parlare di Muhammad Ali non è cosa semplice. Porsi di fronte ad un Mito prima ancora che ad un uomo, come nel caso di Ali, riempie di dubbi e incertezze, come se ogni nostro sforzo di raccontare anche solo una parte della leggenda e dell’aura che circondano “The Greatest” non fosse altro che un tentare di porre limite a ciò che per definizione è infinito. E’ anche vero però che alcuni grandi pensatori da sempre sostengono che il mito è il fondamento della vita e credo che per Ali questo valga in particolar modo. Sterminata infatti è la bibliografia su quello che, a detta di molti, è stato il più grande sportivo di tutti i tempi, eppure il libro di Federico Buffa ed  Elena Catozzi “Muhammad Ali. Un uomo decisivo per uomini decisivi” riesce a restituirci un’immagine intima e profonda di un uomo dal carisma magnetico e dalla personalità straripante, un pugile avanti anni luce rispetto al suo tempo, che ha stravolto il modo di stare sul ring ma soprattutto fuori dal ring. Colui che per primo ha denunciato l’assurdità della guerra del Vietnam, che fieramente ha difeso le sue origini di afroamericano e che a causa dei suoi principi ha pagato un prezzo altissimo. Un combattente nato, che anche nella sofferenza della malattia non si è mai stancato di prodigarsi per gli altri, facendosi promotore di campagne umanitarie e che, nonostante tutto, non ha mai perso il suo sorriso e la sua gentilezza. Federico ed Elena riescono nella non facile impresa di farci rivivere l’America degli anni Sessanta e Settanta, l’epoca del segregazionismo, della guerra in Vietnam, delle battaglie per i diritti civili, restituendoci un Muhammad Ali umano anche nella sua grandezza, un uomo di una generosità unica, capace di influenzare intere generazioni, temuto, odiato, osannato, rispettato anche dai potenti. Ma allo stesso tempo un padre affettuoso, un individuo in cui la rabbia e l’ardore giovanili via via si tramuteranno in una spiritualità profonda come il suo sguardo.

Giovedi 8 marzo alle ore 20 presso Kowalski avremo l’occasione di farci raccontare di persona dalla coautrice, la bravissima Elena Catozzi, il suo rapporto con Ali e la genesi di questo libro scritto a quattro mani con Federico Buffa, il più importante storyteller sportivo italiano che il 9 e 10 marzo sarà a Genova con il suo spettacolo “A night in Kinshasa”. Non vogliamo spoilerare quella che sarà la chiacchierata al Kowalski ma abbiamo avuto modo di farle qualche domanda in anticipo e , beh, giovedì vi consigliamo di portare i fazzoletti.

 

Elena, perché proprio Muhammad Ali?  

Quando qualcuno mi chiede perché proprio Muhammad Ali?, mi fa una domanda difficilissima, è come dover spiegare il perché di un sentimento che è ormai parte di te. Come si fa? 

Mi colpì una frase di Victor Hugo Morales, quando raccontò del giorno in cui Maradona gli chiese di scrivere una prefazione ad un suo libro e lui in realtà avrebbe sperato non l’avesse mai fatto perché lo costringeva a soffrire per trovare le parole che anche lontanamente potessero veicolare l’idea che Lui gli ispirava.  

In realtà se è vero che i libri raccontano più storie di quelle che si leggono in superficie, questa ne contiene un’altra, molto in profondità ma non meno importante, quella del mio combattere sul ring della scrittura, una lotta infinita per tirare fuori le parole più vicine possibili a quello che quest’uomo rappresenta per me.  

Quando Federico Buffa mi ha proposto di scrivere insieme la storia dell’atleta del secolo, i sentimenti predominanti sono stati quelli di paura e insicurezza, una sfida all’improvviso, come conquistare il titolo dei pesi massimi in pochissimi mesi, passando da uno scantinato di Louisville alla 5th Street di Miami senza paradenti, senza avere il suo controllo dello spazio, soprattutto senza la sua incredibile self-confidence…eppure, quando -studiando e studiando- mi sono accorta che tutto questo era solo una piccolissima parte, anzi, forse la minore, di quel diamante grezzo dalle mille sfaccettature, forse in quel momento mi son sentita prendere per mano e ho capito che questa storia non poteva essere così lontana dalla nostra, da quella di ognuno di noi, perché in ogni pezzo che mi cadeva addosso di lui sembrava esserci una parte di ognuno di noi.  

Arrivare praticamente ultimi quando su un tale gigante è già stato scritto e detto praticamente tutto, ti invita paradossalmente a riflettere su te stesso, su quanto puoi sentire e fare tua questa storia che evidentemente non è mai finita perché ogni giorno, in questi tempi c’è qualcosa che parla, anzi che urla, di Lui.  

Pensiamo ad esempio al fatto che la stessa Corte Suprema che vediamo in questi giorni al cinema in The Post di Steven Spielberg, quella che approvò la pubblicazione dei famosi Pentagon Papers, era la stessa che aveva giudicato Ali nella sua battaglia contro gli Stati Uniti d’America, o a quante volte viene invocato il suo nome ogni volta che uno sportivo afroamericano alza la voce in nome di giustizia ed uguaglianza.  

Inevitabilmente provare a entrare nella vita di qualcun altro che per giunta non viene dal tuo tempo ma dalla cornice della leggenda, può portarti a idealizzare, mistificare, omettere, trasfigurare, e solitamente non è mai una buona strada fino a che non capisci che invece forse è proprio la più giusta.  

Esattamente come aveva fatto lui per tutta la sua vita, dibattuta tra il candore di chi non sapeva che stava davvero cambiando la storia e la consapevolezza di voler fare la differenza, ma con le sue regole, che non erano quelle del mondo che lo ospitava.  

 

Parlaci del tuo sodalizio con Federico Buffa  

Eh, sarebbe bello immaginare che ci abbia fatto incontrare proprio ‘The greatest’, diciamo che i nostri nomi insieme su quella copertina sono un po’ una storia nella storia, (che imbarazzo!!), io mi sono presentata a lui solo con l’amore per una bicicletta rubata e per un film che ha cambiato la mia percezione della vita e degli uomini, ovvero il capolavoro di De Sica sul quale ho costruito i miei studi sul cinema, e visto che quella bicicletta era ferma da un bel po’, lui mi ha insegnato di nuovo a pedalare, stavolta in tandem, raccontandomi che anche la storia del campione dei pesi massimi iniziò per vendicare il furto di una bicicletta, e che la prima vera consacrazione quel pugile del Kentucky la riceve nel ’60 proprio a pochi passi dalle location di quel ‘Ladri di biciclette’, nella città in cui vivo e che più amo al mondo, la Roma magnificata dalle Olimpiadi che gli regalano la medaglia d’oro.  

Ma Ali era tanto concentrato su se stesso quanto attento nel rendere speciali gli altri, dunque mi piace sognare che abbia benedetto e forse ispirato questo ‘sodalizio’ in cui in fondo c’è stato spazio anche per campioni del basket come Kareem Abdul Jabbar e Bill Russell, che ispireranno il loro coraggio e le loro idee a quelle di Ali, e per tante, tantissime altre incredibili storie che mi hanno permesso di immaginare quello che succedeva in un mondo in bianco e nero, improvvisamente trasformato a colori e forse quasi “digitalizzato” da un uomo che ha vissuto tutta la vita cercando di fare del bene al prossimo, anche quando non ci riusciva.  

Quando divorziava dalle sue donne, quando faceva piangere i figli dei suoi avversari, quando voltava le spalle a Malcolm, quando urlava, sbraitava, insultava, solo perché forse quel mondo lo voleva debole, dimesso, rassegnato, in una parola, ancora ‘schiavo’.  Ma è un forse, e la storia non si fa coi forse, eppure mai nessun uomo al mondo ha mai restituito alla vita tutto quello che ha avuto come ha fatto Lui, fino agli ultimi infiniti, eterni battiti del suo cuore. 

Ali mi ha fatto accorgere che siamo noi che diamo valore alle cose a cui guardiamo, e quando tempo fa ho ascoltato Liliana Segre ricordare le vessazioni dei malati di parkinson ad Auschwitz, picchiati dalle SS perché non riuscivano a star fermi, nella mia mente riuscivo incredibilmente a dare definite fattezze all’uomo che avrebbe potuto purtroppo solo idealmente vendicare tutto questo.  

Non so quanto siamo riusciti a descrivere tecnicamente e pedissequamente il mondo della boxe cui apparteneva, volevamo che il nostro Ali lo trascendesse e lo abbiamo fatto rivivere su quelle pagine con pochissimo sforzo perché è lui che ci racconta la sua storia, anzi, una storia così epicamente romantica che si racconta da sé.  

Ed io non sono niente altro che una delle tante donne che si sono innamorate di lui anche senza averlo mai sfiorato, una delle tante.  

Ma soprattutto uno dei tanti, tantissimi uomini e donne che hanno beneficiato della sua bellezza, estasiati dalla sua magnificenza e messi al tappeto dalla sua incredibile umanità, con cui tante volte è caduto e si è rialzato, ha salvato la sua comunità, e ha aiutato anche me, che quei soprusi li ho solo studiati sui libri.  

Questo libro è dedicato a chi in ogni singolo gancio sferrato vede la propria fragilità messa alle corde e poi resa virtù dalla resilienza, tutta compresa nella sontuosità di quello sguardo.  

Grazie a Federico e a Muhammad Ali che mi hanno preso per mano e portato in un mondo diverso.  

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Non possiedo le conoscenze sportive a 360° dei miei “compagni di merende” ma mi difendo bene nel tiro alla fune e nel gioco del fazzoletto. Forse è per questo che mi hanno voluto nella creazione di questo blog, o forse, più semplicemente, quella sera erano ubriachi di birra artigianale. Ho scoperto alle ultime olimpiadi il beach volley femminile e ciò mi ha fatto riflettere, portandomi a considerare gli altri sport un contorno o poco più. Ho il Genoa nel sangue, solo che a volte ne ho troppo e finisce che mi sento male.

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