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We don’t hate Super League. We hate capitalism

Reduce dalla lettura de La Q di Qomplotto, l’importante libro di Wu Ming 1, ho cercato di approfondire il discorso inerente la probabile nascita della futura Super Lega attraverso una breve analisi dialettica di ciò che ci ha condotto a questo infausto passo dicotomico: da un lato i ricchi, dall’altro i meno ricchi. Sullo sfondo, i pezzenti come noi a sbavare rabbia e frustrazione, rendendoci anche, nell’orizzonte sportivo, colpevoli di un ennesimo esempio di “socialismo per imbecilli”.

Andiamo però con ordine.

Quando il calcio ha iniziato a divenire un leviatano avido e ipocrita, cannibale della sua stessa carne in forma di appassionati e tifosi? Proviamo a fare qualche azzardato passo indietro alla ricerca di una scintilla che ha portato a questo salto nell’abisso.

Primo sguardo dietro le spalle, in realtà davanti al naso: Qatar 2022.
Fra poco più di un anno e mezzo si disputeranno nel paese della penisola araba i mondiali di calcio. Poche voci in questi anni si sono levate per contestare la scelta di questa monarchia assoluta come patria accogliente della principale kermesse calcistica planetaria. Dove non è arrivata la politica, sono giunti i petroldollari: a far alzare le spalle di fronte al necessario stravolgimento dei calendari delle competizioni nazionali e internazionali, a far dimenticare lo sfruttamento di migliaia di operai e la morte di almeno seimila (6000) di loro. Oggi qualcuno prova ad alzare il ditino, dicendo che forse non era il caso, ma la realtà sarà che questa competizione si terrà e che tutti (o quasi) la guarderemo. 

Primo vero sguardo dietro le spalle: 2006.
L’anno di calciopoli, della caduta degli “dei” e della incredibile, provvidenziale vittoria dei mondiali di calcio. Il sistematico impiego della corruzione per plasmare i risultati con la connivenza della maggior parte dell’ambiente calcio, in ogni suo ordine e grado, emerse in maniera lampante per molti ma, alla fine, vennero sacrificati alcuni simboli per poter passare oltre. Cannavaro che alza la coppa fu percepito come la pagina definitivamente voltata e, d’incanto, dimenticata. Due schiaffi sulla nuca a quelli che proprio non potevano che risultare colpevoli e poi salviamo il calcio, che è importante per tutti.

Secondo sguardo dietro le spalle: anni ’90.
Lo scandalo doping. Ricordo una sera di agosto in cui, adolescente, andai all’aeroporto Cristoforo Colombo per rivedere Gianluca Vialli, di nuovo a Genova in qualità di tesserato del Chelsea. Quando la folla si aprì, di fronte a me apparve un uomo totalmente diverso dall’attaccante blucerchiato magro e famelico che ricordavo: quasi un culturista, più simile a un Bruce Willis tirato a lucido che a quel calciatore della mia infanzia. Tutto bene, tutto a posto. Nandrolone e creatina, vitamine: giriamo ancora questa pagina per amor di patria.

Terzo sguardo dietro le spalle: 1980.
Dal totonero al ritorno degli stranieri in Italia. Lo scandalo italiano del calcioscommesse arriva dopo una lunga serie di scandali extra sportivi già accaduti nei decenni precedenti. Tuttavia, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte dei crimini individuati in questo frangente sono endemici nella cultura sportiva italiana e non solo, con ombre che si scorgono periodicamente lasciando presagire un continuum legato all’illecito per intascare altra moneta, rastrellando il possibile intorno alle cascate di denaro “de’ paperonesco” che innaffiano il giuoco calcio. 

Parallelamente, la riapertura dei confini ai giocatori non italiani dopo 15 anni di blocco imposto dalla federazione.
Ciò diede il là ad altre e alte speculazioni, sia ai massimi livelli che intorno a quelli più infimi. Per un Falcao che arrivava, abbiamo forse dimenticato i manipoli di Danuello o Eloi che a qualcuno sicuramente fruttarono più di una villa al mare? Esplode infatti con questo nuovo e croccante mercato una figura che vedrà la sua cavalcata evoluzionistica dall’avvocato di provincia fino a Mino Raiola.
A Mino Raiola.

Quarto sguardo dietro le spalle. Fergus Suter.
Questo è un articolo, non un libro. Quindi facciamo “indietro veloce” fino al 1878 lasciando ai vostri taccuini i vari Lotito, Heysel, valigette e compromessi (come in Qanon, sta a voi cercare). Il primo calciatore professionista in uno sport dominato, decifrato e posseduto esclusivamente dall’aristocrazia e dall’alta borghesia inglese. Suter accetta un compenso, decidendo di lasciare il suo lavoro per vivere di calcio. Da lui alla plastica facciale di Ronaldo trascorre un secolo e mezzo, ma sembra un attimo. Eppure già allora il calcio era stato snaturato: da gioco di strada a torneo chiuso per ricchi e potenti, in grado di disporre del tempo libero a proprio piacimento grazie al plusvalore prodotto dal proletariato. Vi ricorda qualcosa qui ai giorni nostri? 

Urka. Che sbornia di informazioni.
Però, per chi vuole sbilanciarsi, possiamo tornare al titolo di questo pezzo. Dopotutto è chiaro che non odiamo la Super Lega in quanto tale. Noi odiamo il capitalismo, che ci costringe a vivere questi tempi oscuri e ad analizzarli mestamente.
E allora? Allora la Super Lega fa schifo, ma dovrebbe essere letta come una grandissima occasione.

E non, badate bene, per giocare i nostri campionati senza quei “buffoni strisciati che morissero loro e i loro soldi“. No. Come nella società tout court, che dovrebbe approfittare della pandemia per ripensare ogni singola dinamica di sfruttamento e di profitto alla base del suo pensiero unico neoliberista, così sarebbe il momento di ripensare il calcio.

Riappropriarci del gioco in quanto tale. Rispolverare i colori e le passioni scevri dal denaro, ovviamente, ma anche dalla dittatura della vittoria a ogni costo e perfino del bel calcio tutta estetica e nessun compromesso. Capire che un tetto per gli stipendi è doveroso, oltre che necessario. Escludere le televisioni e i trenta denari che danno alle nostre società per vendersi l’anima. Parole come “azionariato popolare” o “calcio dal basso” dovrebbero ora divenire manifesti programmatici, traendo ispirazione da realtà già esistenti come l’Union Berlin, il Sankt Pauli o lo United of Manchester. O dalla Resistente, per guardare vicino ai nostri piedi, in piccolo ma con un cuore grande.

Creare quindi un mondo- calcio diverso, fatto di cospirazione culturale e sociale fianco a fianco con il nudo atto sportivo. Tifo e canzoni, musica e birrette: un tre a tre sul campo e la classifica la vedremo stasera che ora dobbiamo abbracciarci. Qualche giovane che si distacchi dalla prigionia degli schermi rimarrà impigliato in questa trappola di bellezza e condivisione?
Utopia, utopie.

Eppure, se non ora quando?

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Pierpaolo Cozzolino
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