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L’atlante illustrato del calcio ’80

La fotografia più emblematica che troverete custodita nell’Atlante illustrato del calcio ’80 e, più in generale, dell’intero decennio di storia calcistica da esso raccontato in forma di immagini e didascalie, è l’iconico scatto posto in apertura della stagione 1982/83. Aprendo il libro edito dalla defunta casa editrice ISBN a quel particolare capitolo, infatti, vi imbatterete in un tripudio di carne eccedente condita da qualche spruzzo di fango da campetto di provincia, vedrete una divisa demodé sia per colori sia per fattura, per poi essere accecati dalla vera pietra preziosa che illumina questa sorta di affresco moderno, quella che scintilla a prima vista sotto forma di sguardo assatanato e indagatorio (Dio mio, quello sguardo), quasi lucido di follia e così allucinato da immaginare un’immediata interruzione della partita in corso per far entrare in campo i medici specialisti dell’antidoping. L’insieme di questi dettagli sommati allo sfondo fuori fuoco e al terreno critico danno il risultato, donano forza all’immagine rendendola riassunto di tutta un’epoca.

garellaGarella, per l’appunto, in questa composizione quasi pittorica, risulta essere il simbolo di quella decade di transizione sportiva, affaristica e di costume che investì anche e soprattutto il calcio negli edonistici AnniOttanta. La postura goffa e impossibilitata alla funzione di portiere di uno fra i migliori nel suo ruolo di quei tempi, dotato di un intuito pazzesco sia nella parata salvatrice sia nella papera consegnata direttamente ai posteri, lo immortala nella doppia veste di eroe-anti eroe. Una contraddizione in termini, come quell’epoca che lo ospitò e che volle apparire moderna essendo però nata già vintage. Claudio Garella in questo fotogramma è gli anni ’80: vorrei ma non posso, il Protagonista e il suo contrario. Essere icona quando, nel calcio di oggi, non potrebbe neppure essere titolare nella squadra nazionale cantanti con quel fisico di birra e con quella scimmia appollaiata sulle spalle. Un campione abusivo, relegato esclusivamente in quel passato pionieristico senza possibilità di uscirne mai, neppure in altre forme quali l’allenatore nevrastenico e dimagrito o il dirigente assassino e logorroico.

Il calcio degli anni ottanta è stato, forse secondo solo al futbol degli albori, il periodo maggiormente pionieristico di questo sport. Si veniva infatti da tre decenni abbondanti di un calcio lento, molto spesso ai limiti del professionistico e di caratura esclusivamente nazionale. Scuole calcio impermeabili che qualche volta l’anno andavano a scontrarsi in territori neutrali per darsi battaglia senza mai il minimo accenno di contaminazione. Certo, qualche nomade del calcio è sempre esistito, ma veniva rubricato alla voce “esotico”, nulla più di una pashmina regalata dal parente facoltoso di ritorno da un viaggio in oriente. Invece, gli anni di Berlusconi, Ferlaino e Gianniagnelli sancirono il passaggio dal mondo povero e senza colori del passato al pianeta rutilante che si sarebbe palesato a partire dagli anni novanta, fatto di ipervelocità e definizione sempre più alta. Per esempio, negli ‘80 e solo allora, comparvero i primi sponsor sotto forma di nomi e loghi grossolanamente stampati o addirittura cuciti sulle divise di tessuto antico; allora e solo allora gli stranieri iniziarono ad invadere il giuoco del calcio, sia con l’ingaggio di grandi campioni sia, questa volta più spesso, con lo sbarco di bidoni blasonati inadatti a tante cose fra le quali, ovviamente, il tiro di collo pieno e il passaggio di piatto. Iniziarono in quei tempi a piovere i soldi veri, i capitali apparentemente inesauribili: una valanga di denari capace di mutare il corso degli eventi senza più concedere la possibilità di tornare indietro.

bergomi pruzzoNell’Atlante che abbiamo la fortuna di poter sfogliare nelle notti insonni o nelle serate fra smargiassi, il portato dei ritratti e delle scene proposte è tutto, invariabilmente, a grana grossa. La cosa che più affascina e stupisce di questa selezione è la parvenza di furto, di intromissione nella vita privata di soggetti che ora sappiamo leggende (non tutti, ma quasi), ma che visti così assomigliano paurosamente al ragioner Cosmelli del terzo piano, quello con i piedi piatti e le braccia sottili. A supporto di questa affermazione, basta scorrere le pagine e soffermarsi, attoniti, sulle figure dello zio Bergomi (in versione Young Abatantuono) o di O Rey di Crocefieschi (Pruzzo con il fisico di un lanciatore di pop corn): magri e famelici, inadatti alla vita figuriamoci allo sport!

Ma ci sono anche molti altri ricordi di quel piccolo mondo antico, come l’immortale Barbadillo, Junior sia alle pistole che alle congas o il paesaggio con elicottero atterrato in stile “Wolf of wall street” del fu Presidente del Consiglio accompagnato da staff e figlio cosplayer di Patrick Bateman. Infine, lasciandovi poi al piacere di sfogliare questo autentico capolavoro scoprendo autonomamente le perle che custodisce questa macchina del tempo in forma cartacea, una menzione d’onore va obbligatoriamente alla foto più bislacca che troverete durante l’immersione nostalgica fra le pagine dell’Atlante. Ad un certo punto vi apparirà, come per magia, un frame tratto da un lungometraggio oggi pressoché sconosciuto: si tratta di Ho Parato la Luna, ovvero l’unica opera conosciuta che vede nelle vesti di autore e protagonista Stefano Tacconi. Qualche grande cinefilo pare sia riuscito a recuperare copia di quest’opera simil-felliniana con accenni bergmaniani e realizzazione da lemure con cinepresa trafugata: 50 minuti di dramma umano e culturale proposti al pubblico con la scusa della beneficenza. Io so che un giorno riusciremo ad organizzarne una visione aperta al pubblico ed allora la città non sarà più la stessa.

juaryAlla luce di tutte queste anticipazioni e promettendovi molto di più dalla vostra esperienza personale, si può tranquillamente asserire che ‘Atlante illustrato del calcio ’80 appaia più come un trattato imprescindibile che un semplice libro di immagini: un catalogo di epifanie legate ad un mondo antico che sembra lontano eoni dal nostro quotidiano. Un’opera che fa riflettere circa il cambiamento dei costumi, che sa commuovere grazie ad immagini forti di atleti scomposti e che, infine, spinge il lettore all’insolito ruolo di voyeur nostalgico. Non ci credete? Provate a non piangere quando arriverete alla foto di Juary innaturalmente intabarrato e fermo in posa davanti alle rovine terremotate nell’avellinese: chi scrive non riesce tutt’oggi ad aggirare i brividi che giungono ad ogni sguardo di cotanta pietà.

 

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