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Usa, riparte la Major League

Gli stadi pieni, tanti gol (36, in 10 partite), qualche papera di troppo e Sebastian Giovinco che segna, fa segnare e dà spettacolo. È ripartita esattamente da dove aveva lasciato, la Major League Soccer, la massima lega americana di calcio. Nella notte italiana tra domenica 6 marzo e lunedì 7 si sono giocati gli incontri della prima giornata di regular season, e il mondo del pallone a stelle e strisce pare iniziare la stagione come ogni anno, da qualche tempo a questa parte: con tante aspettative, nuovi nomi noti del calcio europeo (solo dall’Italia sono appena arrivati De Jong, Cole e Nocerino, il quinto italiano in MLS) e una grande voglia di bruciare le tappe. Eppure, nonostante l’attesa e i numeri in crescita, in tanti considerano la stagione 2016 solo un “torneo di transizione” in vista della nuova, ennesima rivoluzione del soccer, attesa per l’anno prossimo. Quando in Major League aumenteranno le squadre, si inaugureranno nuovi stadi di proprietà, e negli States – assicurano i manager e si augurano i tifosi – “inizieranno ad arrivare i veri campioni”.

Nove mesi di torneo per venti squadre al via, divise tra Eastern e Western Conference come in Nba (e pure diverse città sono più o meno le stesse, da Toronto a Seattle fino a Houston, Dallas, Chicago e la Portland dei campioni in carica, i Timbers, i “boscaioli”), e tanti ex “italiani” tra campo e panchina (da Vieira, nuovo allenatore del New York City all’ex Lecce e Roma Ignacio Piatti, subito a segno con una doppietta con la maglia dei Montreal), i primi novanta minuti della prima uscita ufficiale del campionato americano – tra gioco e risultati – sono già riusciti a dare un’idea della Major League che sarà. Hanno vinto e convinto i più forti (dai campioni di Portland, 2-1 su Columbus nella riedizione della finalissima dell’anno scorso, ai Los Angeles Galaxy di Gerrard, che hanno strapazzato per 4-1 il Dc United di Thohir), fatto vedere progressi le “ultime arrivate”, le squadre appena nate che nella passata stagione erano matricole (dagli Orlando di Kakà e Nocerino, che hanno pareggiato 2-2 con Salt Lake, al New York City di Pirlo e Villa, vittoriosi 4-3 sul campo di Chicago), e già entusiasmato le stelle del torneo. Da Federico Higuain, fratello giramondo del più noto Gonzalo, domenica in gol in rovesciata con i suoi Columbus, all’italiano – come definiscono Giovinco i suoi tifosi a Toronto – “più amato di tutto il Nord America”.

Capocannoniere della scorsa Major League con 22 reti (e 16 assist), tra tutti i connazionali d’oltreoceano il più determinante di sempre (di sicuro più di Donadel e Pirlo, mentre Nocerino e Andrea Mancini, il Mancio jr, tesserato dal Dc United la scorsa settimana, devono ancora esordire), la formica atomica non ha perso lo stato di grazia che lo ha accompagnato nella sua prima stagione americana. Nel match di apertura contro i New York Red Bulls, The Atomic Ant ha segnato su rigore, esultato simulando messa in moto e impennata in motocicletta (Potremmo non smettere più di riguardare questa esultanza, hanno retwittato in migliaia, mentre la celebration motociclistica dell’ex juventino faceva il giro della rete), trascinato la squadra e incantato il pubblico da tutto esaurito. Su Facebook impazza la gif animata di una delle magie della sua partita (stop di petto, sombrero a saltare il primo avversario e tunnel a seguire sul secondo difensore), e in tanti stanno iniziando a spingerlo verso la convocazione agli Europei di questa estate. A Toronto (dove lui tiene il profilo basso: “Ci andrei volentieri, ma vedremo”), ma anche e soprattutto nella sede della Lega, al 420 di 5th Avenue, Manhattan, dove ogni nazionale è considerato ottima (e fondamentale) pubblicità per la stessa MLS.

Nonostante le statistiche in grande crescita, sia in termini di pubblico (l’anno scorso negli stadi americani si è registrato un +12 per cento di spettatori, si è vicini a quota 20mila spettatori di media a partita), sia di curriculum dei campioni ingaggiati dall’Europa, infatti, la strada per fare della lega americana un campionato all’altezza dei tornei del resto del mondo è ancora lunga. La scorsa stagione ha dimostrato che i fiumi di dollari che si sono investiti sui “designated player” d’oltreoceano (Villa, Pirlo, Lampard, Drogba, Gerrard) non bastano, né per vincere, né per far crescere in fretta il campionato. E così, nonostante negli States si è abituati diversamente, si programma passo dopo passo, e si aspettano i prossimi due o tre anni per far salire di un altro gradino l’asticella. Se il 2017-18 sarà infatti il biennio dell’allargamento a 23 squadre (con l’esordio di Atlanta e a seguire di Minnesota e Los Angeles Fc, appena fondata tra gli altri anche dall’ex stella del soccer americano femminile, Mia Hamm), le nuove franchigie porteranno nuovi tifosi, nuovi brand, nuovi stadi rigorosamente tutti di proprietà (a fine 2018 termineranno i lavori al Buzzard Point, la nuova casa del Dc di Thohir) e una probabile futura, nuova gestione del salary cap che dovrebbe far crescere i calciatori professionisti americani e attirare nuovi campioni. Nomi in grado di riempire gli stadi da soli, ancora più noti della stellina Giovinco, e forse un po’ più giovani dei fuoriclasse over 30 come Pirlo, Kakà o Drogba. Il sogno dichiarato è uno in particolare, gioca nel Real Madrid, di nome fa Cristiano Ronaldo e non è detto che sia così lontano dal trovare la “sua” America.

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Matteo Macor

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Giornalista genovese che scrive di monti, sport, libri, eventi e in generale storie belle da raccontare.
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