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Miura, da Scoglio al gol a 48 anni

Franco Scoglio lo chiamava il “giappanese”, con la “a”, o – con tono ancora più beffardo – “il ragazzo”. Per lui imparò addirittura qualche parola di giapponese da usare in allenamento, guadagnandosi – per mezza stagione – il “titolo” di “sensei”, ma mal sopportava l’insistenza con cui il presidente Spinelli lo reclamava in campo ogni domenica, e piuttosto che promuoverlo titolare preferì sacrificare la panchina del suo amato Grifone. Considerato troppo “tatticamente indisciplinato” per giocare nell’allora campionato più bello del mondo, entrare nei suoi schemi e nel cuore dei genoani, esattamente come il Professore di Lipari quasi nessuno avrebbe scommesso sul futuro di quell’oggetto misterioso, arrivato a sorpresa dal Sol Levante. Eppure, Kazuyoshi Miura detto Kazu, professione attaccante, a 48 anni suonati – e a 20 dalla sua prima e unica stagione in Italia, la Serie A 1994-95 – è ancora un calciatore professionista, che gioca e segna nella seconda divisione nipponica. La sua rete dell’1-0 in Yokohama – Jubilo Iwata di una settimana fa ha fatto il giro del mondo e si è ripetuto nel 2-2 contro il V-Varen Nagasaki e ha aggiunto un’ennesima puntata da record in una carriera da film.

In gol con un altro (bel) colpo di testa, inconfondibile numero 11 sulla schiena (lo stesso con cui giocava nel Genoa e in Nazionale), oltre a essere diventato il giocatore più anziano al mondo a segnare in un campionato professionistico, oggi Kazu è soprattutto (e ancora) il simbolo del calcio giapponese. Un campione a cavallo di due generazioni, ambasciatore del pallone dagli occhi a mandorla, che da una decina d’anni gioca e colleziona presenze – stagione più, stagione meno – per il suo club, lo Yokohama Fc, società dalla storia recente, un presente non esaltante a metà classifica della J-League 2 e – ironia della vita – la “Genova”, società di marketing nippo-cinese, come sponsor.

In rosa con compagni che potrebbero essere figli, già sei presenze in questa stagione, Miura si divide tra allenamenti, comparsate in tv e gli stessi impegni promozionali di quando era ventenne (sia lui, sia la moglie Risako sono ancora testimonial di prodotti di ogni tipo). La sua longevità aveva già fatto notizia più volte, negli ultimi anni – dal suo sbarco in Australia (al Sidney Fc nel 2005 con Del Piero ancora ben lontano) alla convocazione ai mondiali di futsal, il calcio a cinque (nel 2012, a 45 anni) – ma il suo record da splendido quarantottenne rende la sua epopea calcistica ancora più epica.

Quasi trent’anni di carriera, titoli e successi con il Giappone e i più importanti club nipponici (il più celebre il Yomiuri Verdi di Tokyo, dove sono nati il nickname “King Kazu” e la danza con cui festeggia ogni gol), Pallone d’Oro asiatico nel ’93, un misterioso passato in Brasile come “tirocinante” (tra Santos e Palmeiras a fine anni Ottanta) e uno staff di agenti che lo arricchiscono ogni anno di più con il merchandising, Miura ha fatto bene (e soldi, soprattutto), ovunque sia andato. A parte un paese solo, il nostro.

L’anno meno fortunato del samurai globetrotter, nel suo bilancio di calciatore senza fine, alla fine è stato proprio quello che l’ha portato alla ribalta del calcio mondiale, nel paese più football addicted di tutta la vecchia Europa, e con la maglia del club che ha portato l’arte della pedata in Italia: una stagione, un gol e 21 presenze con il malandato Genoa di metà anni Novanta, quello che retrocederà ai rigori dello spareggio di Firenze contro il Padova, ricordo sbiadito del Grifone europeo di Bagnoli (in campo c’erano ancora Signorini, Ruotolo, Bortolazzi, Onorati, Skhuravy) che in un giorno di metà estate – al posto di Di Canio o Klinsmann, le due chimere rossoblù di quella sessione di calciomercato – si ritrovò in squadra il primo giapponese mai visto in serie A.

A Genova, con Kazu, si riuscì a precorrere di una decina d’anni i tempi del calcio globalizzato. A portarlo a Pegli, nell’estate mondiale del ’94, fu una grandiosa operazione commerciale costruita a tavolino da un pool di sponsor orientali e avallata al volo dalla dirigenza rossoblù. Allora già ventisettenne, in patria Miura era una sorta di Cristiano Ronaldo ante litteram, fenomeno da copertina, sposato con una modella e star di tv e pubblicità, e al Grifone non solo non costò una lira, ma fruttò oltre 5 miliardi tra sponsorizzazioni e gettoni “premio” ad ogni presenza in campo. Peccato per l’allora presidente genoano Spinelli e Miura che in panchina sedesse Scoglio, che non sopportava la marea di giornalisti nipponici che si presentavano a ogni allenamento e in campo preferiva Van’t Schip e Onorati, e che anche con Marchioro e Maselli – i successori del Professore di quell’anno balordo, che diedero più spazio al giapponese – a Kazu non andò granché meglio.

Grande spirito di abnegazione in allenamento (Spinelli lo definì più volte “un vero samurai”), molto rapido e tutto sommato anche ben dotato tecnicamente, del Miura genoano si ricordano solo tanti guizzi sulla fascia, due gol annullati per fuorigioco millimetrici (Inzaghi sarebbe arrivato di lì a poco), un unico gol in un derby perso 3-2 (in anticipo su uscita di Zenga) e la “fuga” in patria poco prima della fine del campionato, in tempo per evitare l’onta della retrocessione e mettere fine a una stagione avara di soddisfazioni.

Campione incompreso e mai rimpianto, “alieno” in un campionato che schierava ancora il meglio del calcio mondiale (da Batistuta e Savicevic fino a Gullit, Baggio e Paolo Sousa) la sintesi ideale della sfortunata stagione italiana di Miura rimase così l’esordio, a San Siro contro il Milan stellare di Capello: una “Prima” in una Scala del calcio invasa dalle troupe tv orientali, finita in ospedale dopo neanche un tempo con uno zigomo fratturato sulla fronte di Baresi. Già allora, a King Miura si chiedeva cosa avrebbe fatto dopo il calcio. “Non saprei. Non so neanche cosa avrei fatto se non fossi diventato calciatore – ha ribadito in un’intervista più recente – penso non sarei neanche esistito, probabilmente sarei nessuno: ci penserò”.
Ci penserà, forse. Ma quando smetterà.

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Matteo Macor

Matteo Macor

Giornalista genovese che scrive di monti, sport, libri, eventi e in generale storie belle da raccontare.
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