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Alpinismo e Grande Guerra 2- Azioni memorabili e deliri nazionalistici

Dalle alture della valle del Comelico è possibile scorgere nitidamente, soprattutto al mattino, nell’aria tersa delle prime ore del giorno, l’imponente blocco delle Dolomiti di Sesto, che racchiudono a Ovest la Val Fiscalina, meta turistica frequentatissima, e a Nord Est Cima Undici e il Passo della Sentinella, con al centro l’imponente massa del monte Popera. Qui si può ammirare tutta la grandiosità dell’ambiente dolomitico: passi, canaloni, creste e cenge. Qui fu combattuta una delle battaglie più spettacolari di tutto il fronte dolomitico: quella che portò alla conquista del passo della Sentinella il 16 marzo 1916 ad opera delle squadre scelte di alpini agli ordini del capitano Giovanni Sala e di Italo Lunelli, un esperto alpinista trentino irredentista a cui furono affidate tutte le operazioni preliminari di esplorazione alpinistica.

Venne creato un gruppo di soldati scelti composto da alpinisti esperti i quali avrebbero dovuto arrampicare di notte e in pieno inverno, per occupare la cresta sommitale di Cima Undici a oltre 3000 mt e cogliere di sorpresa gli austriaci, che stavano passando il difficile inverno alpino rintanati presso il passo. Il gruppo basava la sua forza sulla divisione di compiti ben precisi: una prima squadra di arrampicatori, veri e propri scalatori, accompagnavano l’ufficiale nella prima ricognizione fissando alle rocce corde leggere. Una seconda squadra era composta da soldati che, utilizzando le corde leggere fissate dagli arrampicatori, dovevano stendere corde grosse per dare la possibilità alla squadra che sarebbe intervenuta dopo di poter fissare scale di legno finalizzate al trasporto di armi e vettovaglie fin sulla cima. In questo organizzato sistema di arrampicata vedo molte analogie con l’odierna industria delle scalate himalaiane, che permette a molti occidentali facoltosi di tentare di raggiungere, ad esempio, la cima dell’Everest – pur non avendo in molti casi l’esperienza necessaria – grazie all’opera degli sherpa che fanno la maggior parte del lavoro fissando corde, allestendo campi base e portando su tutto il necessario, non ultimo l’ossigeno.

Gli italiani, senza essere scoperti riuscirono a raggiungere la cresta sommitale di Cima Undici, sopra il passo della Sentinella occupato dagli austriaci, ignari del pericolo. A causa del freddo e delle condizioni climatiche che la montagna in inverno riesce a scatenare, gli alpini avanzarono con grandi difficoltà di cresta in cresta, su cenge esposte e sferzate da un vento micidiale, finchè raggiunsero la Forcella Da Col, dalla quale si poteva osservare il distaccamento austriaco del Passo della Sentinella. Nella notte tra il 15 e il 16 marzo gli italiani attaccando sia dall’alto che dal basso riuscirono a conquistare il passo. Difficile distinguere l’azione guerresca dall’impresa alpinistica.

Le condizioni in cui fu compiuta l’impresa del passo della Sentinella rende approssimativamente l’idea di quelle che furono le condizioni in cui si combattè in quei maledetti due anni e mezzo. I rigori di quei due inverni di guerra furono qualcosa di difficilmente immaginabile, temperature polari, viveri che scarseggiavano, ma nonostante una situazione ai limiti dell’impossibile, la paura di vedere le postazioni tanto faticosamente conquistate cadere in mano del nemico fece sì che i soldati di entrambi gli schieramenti non le abbandonassero neppure nei mesi più freddi. A costo di privazioni e sofferenze difficilmente immaginabili.

Cosa spinse due eserciti ad accanirsi con così tanta veemenza per il controllo di vette spesso fuori dalle grandi vie di comunicazione, scavandole, bombardandole, facendole saltare con mine che in alcuni casi ne hanno completamente stravolto il profilo? Andate a vedere una qualsiasi foto della cresta sommitale del Monte Sief  – martoriata dalle mine – e capirete di cosa stiamo parlando.

Dal momento che la maggior parte delle azioni più pericolose furono compiute da alpini che in tempo di pace erano stati guide e scalatori è lecito chiedersi come reagirono le istituzioni a riguardo. Qual’era la posizione del Cai e dell’alpinismo italiano in genere nei confronti della guerra? I germi della discutibile teoria sull’italianità del Sud Tirol-Alto Adige, che con Trieste e il Trentino saranno futuro bottino e motivo dell’entrata in guerra dell’Italia sono ascrivibili a Ettore Tolomei, alpinista trentino, il quale, intriso di nazionalismo, elaborò teorie spesso fantasiose e prive di fondamento a sostegno delle sue tesi storiche per le quali la toponomastica tedesca in Tirolo aveva sovrascritto un precedente strato latino, sorto a causa della conquista della zona da parte di un generale romano intorno al 15 a.C. .
Tolomei ribattezzò inoltre nel 1904 la vetta del Glockenkarkopf, “Vetta d’Italia”, arrogandosi il diritto di rinominarla e sostenendo assurdamente di essere stato il suo primo scalatore. Ahimè il nome Vetta d’Italia non è mai stato cambiato fino ai giorni nostri, nonostante l’origine della sua toponomastica sia di dominio pubblico da decenni. Nel corso della guerra pubblicò un “Prontuario per L’Alto Adige”, nel quale erano elencate alcune migliaia di toponimi italiani a sostituzione di quelli tedeschi. L’atteggiamento da parte del Cai nei confronti della guerra venne invece particolarmente influenzato dal coinvolgimento personale sul fronte alpino di molti dei suoi iscritti. la posizione ufficiale del presidente del Cai, il senatore Lorenzo Camerano fu infatti per la glorificazione delle gesta e dei caduti appartenenti al club alpinistico italiano.

La guerra abbandonerà le Alpi nell’autunno del 1917 a causa di un evento avvenuto nella valle dell’Isonzo: la rotta di Caporetto costringerà infatti gli italiani ad abbandonare le postazioni dolomitiche e dell’Adamello-Presanella per rinfoltire le difese lungo la linea del Piave fino al monte Grappa, in una disperata resistenza (molti dei soldati che sarebbero morti sul Grappa erano alpini già temprati dalla tremenda Guerra Bianca).

…continua.

 

BIBLIOGRAFIA

National Geographic Italia, numero di marzo 2014
Alpinisti in guerra di Alessandro Pastore (www.cafyd.com)
Lassù con l’ippopotamo, il cannone delle nevi – Archivio Storico Corriere.it
Sulle vette della patria - Stefano Morosini ed. Franco Angeli
Alpinismo e storia d’Italia - Alessandro Pastore  ed. Il Mulino
Teatri di guerra sulle Dolomiti – Mauro Vianelli, Giovanni Cenacchi  ed. Oscar Storia Mondadori

Credit Image:  Mitchell MacNaughton

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Non possiedo le conoscenze sportive a 360° dei miei “compagni di merende” ma mi difendo bene nel tiro alla fune e nel gioco del fazzoletto. Forse è per questo che mi hanno voluto nella creazione di questo blog, o forse, più semplicemente, quella sera erano ubriachi di birra artigianale. Ho scoperto alle ultime olimpiadi il beach volley femminile e ciò mi ha fatto riflettere, portandomi a considerare gli altri sport un contorno o poco più. Ho il Genoa nel sangue, solo che a volte ne ho troppo e finisce che mi sento male.

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