Gli All Blacks non sono solo una squadra di rugby, sono un’istituzione, un mito, una leggenda. Chi entra a far parte della squadra, entra a far parte della storia del rugby. Non solo in Nuova Zelanda ma nel mondo intero. Perché gli All Blacks sono un “fenomeno” planetario. La loro maglia, il loro gioco veloce e pulito, il loro stile inconfondibile, la haka e, soprattutto, Jonah Lomu. Nel libro “L’Uragano Nero” edito da 66tha2nd, Marco Pastonesi traccia una ipotetica biografia in 25 passi (poi spiegheremo il perché) del più grande giocatore della storia degli All Blacks e quindi della storia del rugby. Ne abbiamo parlato con l’autore, Marco Pastonesi.
Chi è Jonah Lomu?
Jonah Lomu rappresenta per me una folgorazione, un fulmine a ciel sereno. Era il 18 giugno 1995 e Jonah dopo 123 secondi di partita schianta la difesa dell’Inghilterra con una meta incredibile. Siamo in Sudafrica e quella tra All Blacks e Inghilterra è la seconda semifinale. Jonah va in meta appunto dopo poco più di due minuti sgretolando la difesa avversaria: sono 25 passi di poesia rugbistica. Lì ho capito che Lomu rappresenta per il rugby uno spartiacque, AL e DL: Avanti Lomu e Dopo Lomu come fu Cristo per la storia Occidentale. Lì Lomu fece capire che era arrivato il tempo, il momento di un altro rugby; un rugby più professionistico e meno dilettantistico. E se vogliamo Jonah Lomu ha cambiato in peggio anche il rugby perché dopo Lomu tutte le grandi nazionali volevano avere in squadra un giocatore come lui senza capire che Jonah non era costruito, ma era un fenomeno naturale: 196 cm per 120 kg di potenza, velocità, agilità, scatto, grinta, generosità, progressione e tecnica. E tanto tanto altro ancora. Era difficile “costruire” un giocatore come lui, perché lui nacque con queste caratteristiche. In quei 25 passi c’è una vita intera, non solo una meta bellissima.
Cosa è stato Jonah Lomu per il rugby?
In parte ho già risposto a questa domanda precedentemente ma si racconta che prima di Nuova Zelanda-Inghilterra, arrivò un fax nell’hotel dei neozelandesi con questo promemoria “Ricordate che il rugby è uno sport di squadra. Perciò tutti e quattordici passate la palla a Jonah Lomu”. Ecco cosa è stato Jonah: in uno sport dove il collettivo, la squadra, il gruppo emergono in maniera preponderante, Lomu è stato il primo giocatore ad essere davvero determinante, il primo a poter rompere gli equilibri di qualsiasi partita, di qualsiasi difesa, il primo a poter rompere qualsiasi placcaggio.
Il libro è costruito descrivendo le tappe della vita di Lomu ripercorrendo i venticinque passi di quella storica meta citata in precedenza. Alcuni di questi passi sono però racconti di rugby popolare, di paese: come mai?
Perché il nostro è un mondo dove c’è posto davvero per tutti, se non fosse esistito Lomu non potrebbe esistere Giovanni, la Appia Rugby dove tutti sono poveracci ricchi solo di tempo e dedizione per la palla ovale, l’Istituto Beccaria e tante altre realtà popolari che sono l’altra faccia della medaglia del rugby ma che incarnano gli stessi valori di inclusione, umiltà, semplicità e naturalezza che ritroviamo su tutti i campi di rugby del mondo. All’ultima coppa del mondo, nell’ultima partita del girone (ininfluente per il risultato) il capitano degli All Blacks, Richie McCaw indossava la pettorina di Waterboy e portava le borracce in campo per dissetare i compagni che stavano giocando. Questo spirito di comunità, di volontariato, di comunità si trova nelle più grandi nazionali del pianeta così come nelle squadre più “scalcinate” di provincia.
Quei 25 passi li ha rivisti altre volte in altri campioni?
Ho avuto la fortuna di poter vedere direttamente o indirettamente imprese sportive altrettanto epiche: la doppietta Giro-Tour di Pantani, Coppi nella Cuneo-Pinerolo del 1949, Maradona a Messico 1986. Sono miracoli sportivi, gesti che cambiano per sempre la storia di questi sport e poterli vedere e rivedere è come rivedere e rivivere la storia. Sono uomini talentuosi e poveri. Campioni affamati, venuti spesso da infanzie povere e difficili che si spingono ai confini dell’impossibile proprio grazie a questa fame ancestrale che li porta ad andare oltre. È per questo che lo sport è magico: perché dà a tutti una seconda chance.
Lomu, la malattia e la cultura di massa: mai un rugbista fu così famoso. Perchè?
Jonah si pensava fosse invicibile, un semidio tanto era forte e potente, veloce e leggero. Ma come Achille, anche Lomu, aveva il suo tallone. Nel caso dell’uragano nero si trattava dei reni: un piccolo difetto di fabbrica che il giocatore stesso sottovalutò, come fanno tutti i rugbisti con gli infortuni, ma che ben presto capì essere ben più grave del previsto. Proprio questa storia sempre “al limite”, la storia di un uomo se vogliamo sfortunato, cresciuto e vissuto in un ambiente difficile, fa di lui un personaggio da romanzo, da epopea. Lo capì la Adidas che per la prima volta fece uno spot pubblicitario con un giocatore di rugby chiamando proprio Jonah Lomu. Lo sanno in tutto il mondo. Lo sappiamo noi che abbiamo la fortuna di averlo visto giocare.
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