Tennis e Nazismo

I risvegli di Daniel Prenn

Berlino, qualche giorno prima di Natale del 1932

La luce dell’alba filtra fioca e debole dalle fessure della tenda che mia moglie Charlotte ha lasciato semiaperta la sera precedente. E’ una luce fredda d’inverno ma i miei occhi la sentono forte, calda e avvolgente, tanto che mi sveglio lentamente e vado sgattaiolando verso il salotto. Le gambe malferme e la testa ancora annebbiata per il troppo champagne non mi consentono di essere ancora lucido del tutto. Ieri sera al gala dell’Esplanade organizzato dal Rot Weiss Tennis Berlino, non mi sono ubriacato soltanto con lo champagne ma anche di una folla festante, che ha portato in trionfo sia me che Gottfried. Negli occhi di queste persone ho visto tutti i singoli punti della semifinale di Coppa Davis giocata nel luglio di quest’anno. Con la testa appesantita e stanca mi avvicino alla finestra, scosto le tende e mi accendo una sigaretta. Non riesco a smettere di pensare a quel luglio meraviglioso: io, Daniel Prenn, che insieme a Gottfried Von Cramm sconfiggo la grande Gran Bretagna di Henry Wilfred Austin (l’inventore dei calzoncini da tennis) e di Fred Perry. Furono tre giorni intensi e irripetibili: eravamo sul 2-2 e l’ultimo incontro mi vedeva impegnato contro Fred Perry. Ho sempre pensato che uno come me, Daniel Prenn, ebreo lituano di Vilnius cresciuto a San Pietroburgo non potesse mai diventare l’idolo e il simbolo del tennis “bianco” tedesco di quel tempo. Al massimo avrei potuto far bella figura nei vari tornei, vincerne molti e dare lezioni private ad un già assai competitivo Vladimir Nabokov, giocatore che spesso calcava i campi del Rot Weiss con la sua grazia ed eleganza, con la sua sapienza e raffinatezza e con il quale ho avuto il piacere di giocare. Ma mai avrei pensato di essere portato in trionfo da un’intera nazione. E invece nell’ultima partita di quel 10 luglio 1932 Perry conduceva 6/2 6/4 e tutto sembrava essere andato in frantumi. Sulle tribune colme di gente c’era un gran silenzio. Oramai il tracollo sembrava prossimo. Guardo fuori dalla finestra, do una boccata di sigaretta e continuo a far affiorare i ricordi: 6/3 6/0 per me nel terzo e quarto game, con il mio solito gioco arcigno e senza mollare mai nemmeno un centimetro, senza arrendermi mai. Ma Perry sembrava avere ancora benzina: 5/2 per il britannico e match point. Annullai il punto decisivo con tutta la volontà del mondo, annullai tutto in quell’istante e mi concentrai solo sul tennis. Vinsi 7/5. Vinsi la partita e portai la Germania in finale. Io, Daniel Prenn, ebreo lituano errante adottato da una Berlino che aveva accolto dal 1920 circa mezzo milione di russi. Smetto di ricordare il luglio, penso al Gala della sera precedente e alle mani che avevo stretto: gente comune, ambasciatori di Spagna, Francia e Italia, la Jack Hilton’s Orchestra che infiammava la pista da ballo mentre io e Von Cramm venivamo invitati continuamente a brindare. Ero felice. Sono felice. Molto felice. Spengo la sigaretta, raggiungo mia moglie Charlotte in camera da letto e, con tutta la calma e la tenerezza del mondo, la sveglio e facciamo l’amore.

Berlino, una notte d’estate del 1933, all’alba

Ho chiuso la valigia per la seconda volta. Mi ritrovo a scappare. Ero fuggito dalla Russia zarista e dai pogrom e adesso sto fuggendo dalla furia hitleriana e dal nazionalsocialismo. Nell’aprile del 1933 un comunicato della German Lawn Tennis Federation così recitava “I giocatori non ariani non possono più prendere parte alle competizioni internazionali. Il dottor Prenn, ebreo, non sarà convocato nella squadra di Coppa Davis del 1933”. Sono seduto sul letto e queste parole mi rimbombano nella mente: un anno prima ero il numero uno tedesco di tennis e adesso sono un uomo ricercato dallo Stato che sta scappando. Sto scappando dalla morte e dai campi di prigionia, ma quello che vuole il Fuhrer è, in realtà, farci scappare da noi stessi, togliere ad ogni singola persona di origine ebrea tutte le sue passioni e, conseguentemente, la sua vita. Mi alzo lentamente, vado verso la finestra e vedo le luci dell’alba che entrano timide dalle finestre. Illuminano in una direzione ben precisa: un tavolino sul quale è appoggiata la mia racchetta. La guardo, la osservo e decido di metterla in valigia insieme allo stretto necessario per fuggire insieme a mia moglie Charlotte. Abbiamo trovato il modo di emigrare a Londra grazie al mio amico Simon Marks, il milionario a capo dei magazzini Marks & Spencer, appassionato di tennis e anche egli ebreo, il quale mi ha offerto un nuovo lavoro e mi ha aiutato nelle pratiche di fuga dalla Berlino nazista. Nessuno si ricorda più del campione Daniel Prenn, guardo le mie mani callose, guardo la racchetta che spunta dalla valigia: mi sento abbandonato, mi sento ladro a casa mia, colpevole di un reato mai commesso. Persino la International Lawn Tennis non ha obiettato sulla sospensione di atleti dei paesi membri per motivi razziali. Le uniche parole di protesta sono state quelle dei miei avversari di Coppa Davis del 1932, Fred Perry e Henry Wilfred Austin in una lettera che hanno inviato al “Times” e che sto rileggendo mentre piango, guardando per l’ultima volta Berlino prima di fuggire.

“Sir, abbiamo letto con estremo dispiacere il comunicato stampa ufficiale secondo cui il dottor D.Prenn non rappresenterà la Germania in Coppa Davis perchè di origine ebraiche. Non possiamo non ricordare il momento in cui, meno di dodici mesi fa, a Berlino, nella semifinale della zona europea di Coppa Davis, il dottor Prenn regalò una vittoria alla Germania contro la Gran Bretagna di fronte ad un vasto pubblico e fu portato in trionfo con enorme e sincero entusiasmo […]. Guardiamo con grande timore a ogni azione tesa a minare tutto ciò che è prezioso nelle competizioni internazionali. Sinceramente vostri, H.W.Austin e Fred Perry”


BIBLIOGRAFIA

Marshall Jon Fisher, Terribile Splendore, la più bella partita di tennis di tutti i tempi (66thand2nd, 2013).

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Francesco Salvi
Da 35 anni appassionato di gesta sportive a 360°, fin da bambino ho praticato diversi sport, ma con scarsi risultati: calcio a livello agonistico, tennis, sci e l’odiatissimo nuoto. Il mio sangue è al 50% genovese, al 10% marchigiano e al 40% sampdoriano. Ho un debole per il divano di casa mia dal quale seguo indifferentemente qualsiasi competizione sportiva venga trasmessa in tv. Anche perché dal divano: “questo lo facevo anch’ io”. Sportivamente vorrei possedere: l’eleganza di Federer, la follia geniale di Maradona, il fisico di Parisse, la potenza di Tomba, l’agilità di Pantani, il romanticismo di Baggio e la classe di Mancini. Ma è impossibile, quindi rimango seduto.
Francesco Salvi

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