splendore

Terribile Splendore

“Destino…Tutto avviluppa ed eclissa; e sotto il suo cupo influsso i più feroci sforzi umani non saranno che lampi ad illuminare le selve con un fugace e terribile splendore, per poi perdersi per sempre nel buio”.

Thomas Carlyle, sull’opera di Friedrich Schiller

Ci sono libri dei cui dimentichiamo la trama anche mentre li stiamo leggendo. Poi ci sono volumi belli ed interessanti che vale la pena leggere. Infine ci sono i capolavori: difficili da trovare, ma assolutamente imperdibili. L’ultimo che ho letto, è ancora lì sul comodino. Quelle pagine trasudano storia, passione, sofferenza e molto altro ancora. Il libro in questione è Il Terribile Splendore di Marshall Jon Fisher (ed. 66thand2nd): definirlo una storia di tennis sarebbe davvero riduttivo perché in realtà si tratta di un lavoro monumentale che racconta dettagliatamente non solo la storia dei personaggi rievocati (e del loro sport), ma soprattutto la storia del loro tempo, quella con la S maiuscola. E allora ho preferito adoperarmi per dar parola a chi, su quelle pagine, ha lavorato intensamente per lunghe settimane: l’autore, Marshall Jon Fisher, e suo il traduttore Paolo Cognetti.

«Leggendo questo libro e lavorando alla sua traduzione – dice al telefono Paolo Cognetti, autore di Sofia si veste sempre di nero (finalista Premio Strega 2013) e Le otto montagne (candidato al Premio Strega 2017 e vincitore del Premio Strega giovani 2017) –  l’aspetto più interessante è stato capire davvero la storia di quegli anni attraverso una partita di tennis, che in realtà non rappresentava solo una finale di quella che oggi si chiama Coppa Davis, ma un’autentica “guerra” sportiva tra Germania e Stati Uniti». Il traduttore del capolavoro di Marshall Jon Fisher è un fiume in piena e prosegue: «il tennis degli anni 1920-1930 era uno sport dilettantistico: la parola Open, introdotta successivamente, deriva dal fatto che per la prima volta vennero ammessi ai tornei giocatori professionisti. E la partita conclusiva di Coppa Davis del 20 luglio 1937 è, molto probabilmente, una delle partite di tennis più belle di sempre, giocata a Wimbledon, il tempio del tennis, da due grandi campioni, in un contesto storico assolutamente tragico. Da una parte della rete il barone Gottfried Von Cramm, nobile tedesco, figlio di famiglia prussiana ricchissima; e dall’altra, Don Budge, figlio di immigrati scozzesi facenti parte della working class californiana. Non c’era un buono e un cattivo, uno forte e uno debole ma due personaggi agli antipodi. Giocavano entrambi con la racchetta di legno, ovviamente: Von Cramm con un manico sottile, per agevolare l’impugnatura della mano destra menomata di un dito a causa di un vecchio infortunio; Budge con un manico extra-large, con cui tirava delle randellate imprendibili. I due erano molto amici e avevano molto rispetto reciproco, ma le loro esperienze di vita e il loro background socio/culturale era diversissimo». Provo ad inserirmi nella conversazione, ma preferisco lasciar spazio alla passione del racconto: «la storia di questi personaggi corre parallela alla Storia: nel libro viene descritta nei minimi particolari, inerenti al mondo del tennis e non solo, la vita di una Berlino decadente e in piena crisi durante la Repubblica di Weimar nel periodo tra le due guerre mondiali. I locali notturni frequentati da Von Cramm, la sua vita in parte dissoluta e in parte dedicata al tennis, la sua omosessualità. Viene descritta la condizione di ebrei, omosessuali e perseguitati in Germania non solo nel mondo dello sport ma ad ampio raggio e in tutti i ceti sociali. E, per finire, la partita diventa il pretesto per raccontare l’ascesa al potere di Adolf Hitler. E nella sfida tra Budge e von Cramm, c’è qualcosa appunto che va oltre la semplice dimensione sportiva, pur altissima, qualcosa che colloca questa partita ben oltre le tante altre memorabili sfide nella storia di questo sport. Don Budge giocava per il proprio paese, per riconsegnare all’America quella coppa che mancava dai tempi gloriosi di Bill Tilden, il quale – ironia della sorte – sedeva a bordo campo come allenatore non ufficiale della nazionale tedesca. Gottfried von Cramm, invece, giocava per la propria vita. Nonostante il nazismo avesse cercato di appropriarsi della sua immagine a scopi propagandistici, l’omosessualità del barone (oltre alla sua relazione proibita con un ebreo già fuggito oltre confine) aveva finito per trasformare l’idolo dei tifosi tedeschi in un elemento sospetto e indesiderato dal regime. L’unica salvezza per von Cramm era continuare a vincere, e riversare gloria sul proprio paese. Si dice che prima dell’incontro il barone ricevette una telefonata: era Hitler, che voleva augurargli buona fortuna».

Dopo il traduttore Paolo Cognetti, la “parola”, soltanto letta e, purtroppo non ascoltata, passa all’autore Marshall Jon Fisher, scrittore, giornalista ed ex tennista professionista: «originariamente volevo scrivere la biografia di Big Bill Tiden, ma ho ben presto scoperto che Frank Deford ne aveva già scritta una eccellente [NDR Big Bill Tilden: The Triumphs and the Tragedy]. Nel libro di Deford, però, ho letto un fatto interessante riguardo al famoso match tra Don Budge e Gottfried Von Cramm: Tilden, il più grande tennista americano di tutti i tempi, e omosessuale, fu l’allenatore della squadra tedesca di Coppa Davis durante il periodo nazista. Ero sicuro, dopo questa scoperta, che avrei trovato una storia che valeva la pena raccontare. E infatti avevo ragione vista l’abbondanza di dettagli avvincenti: il match, i personaggi eccezionali, ma anche il particolare periodo storico. Fin dall’inizio, ho voluto intrecciare diverse storie per poi portarle tutte contemporaneamente a conclusione ed ero sicuro di riuscire a dare un quadro completo sia del tennis dell’epoca, che del periodo storico; anche se non è stato per nulla facileTilden è un personaggio affascinante, con un carattere straordinario, segreti ben nascosti e con una vita piena di alti e bassi, passata dal fallimento al successo e poi conclusasi con una fine ignominiosa. Tuttavia credo che Von Cramm emerga come il personaggio più interessante del libro: un barone, parte di un’antichissima dinastia di sangue blu, omosessuale, che è riuscito a tenere la sua vita personale nascosta alle gerarchie naziste. Un gentiluomo, elegante e dignitoso: il più famoso tennista al mondo. E’ sopravvissuto perchè ha mantenuto “privata”, appunto, la sua vita privata. Il regime nazista sapeva dalla sua omosessualità, ma il grande pubblico non ne era a conoscenza. Nonostante conoscesse la verità, il regime era soddisfatto del fatto che Von Cramm vincesse, aiutando così la Germania ad avere una chance di ottenere la vittoria nella Coppa Davis che, non solo era il più prestigioso torneo dell’epoca, ma avrebbe avuto un’importante valenza in chiave di propaganda. Tuttavia non tutti erano di questa opinione. Von Cramm fu un grande esempio di un uomo che ha mantenuto la sua dignità nonostante il pericolo di morte e l’umiliazione pubblica che incombevano su di lui. Budge invece è il talento puro, il campione figlio della working class americana destinato a dominare la scena del tennis internazionale negli anni a venire». 

L’intervista si conclude, ma rimangono impresse nella mente le ultime parole scritte dall’autore: «utilizzare lo sport, le arti e le biografie di personaggi storici è un modo meraviglioso di insegnare la storia. Esistono alcuni corsi strutturati negli Stati Uniti, ma non è ancora lo standard di insegnamento. Si continua ad insegnare la storia con i metodi convenzionali mentre credo sarebbe assai produttivo, stimolante e maggiormente efficace un approccio alla cultura anche tramite altri mezzi più “unconvenscional”». Ed effettivamente, Terribile Splendore, potrebbe e dovrebbe, entrare nei programmi didattici di tutti i licei ed università.


Marshall Jon Fischer, A Terrible Splendor: Three Extraordinary Men, a War Poised fo War, and the Greatest Tennis Match Ever Played, Crown Publisher, Random House Inc, New York, 2009.
Edizione italiana: Terribile Splendore, 66thand2nd, 2013.

Credits Image: Keith Fraser

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Francesco Salvi
Da 35 anni appassionato di gesta sportive a 360°, fin da bambino ho praticato diversi sport, ma con scarsi risultati: calcio a livello agonistico, tennis, sci e l’odiatissimo nuoto. Il mio sangue è al 50% genovese, al 10% marchigiano e al 40% sampdoriano. Ho un debole per il divano di casa mia dal quale seguo indifferentemente qualsiasi competizione sportiva venga trasmessa in tv. Anche perché dal divano: “questo lo facevo anch’ io”. Sportivamente vorrei possedere: l’eleganza di Federer, la follia geniale di Maradona, il fisico di Parisse, la potenza di Tomba, l’agilità di Pantani, il romanticismo di Baggio e la classe di Mancini. Ma è impossibile, quindi rimango seduto.
Francesco Salvi

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