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Sì o no?

Placa Sant Jaume, Barcellona. Giovedì 24 settembre 2015, ore 12:15.
Decido di assistere alla sfilata dei Giganti e allo spettacolo dei Castellers, le torri umane famose in tutta la Spagna, eventi conclusivi del Festival de la Mercè, che ogni anno, dal 18 al 24 settembre accompagnano la festa del santo patrono di Barcellona, Mare de Deu de la Mercè. Sulla balconata del palazzo comunale (ayuntament), da cui sono affacciate tutte le principali cariche pubbliche della Generalitat sventola una sola bandiera: quella catalana. Un consigliere del Partido Popular cerca di appendere una bandiera della Spagna vicino a quella catalana, ma subito viene bloccato da un altro consigliere indipendentista. La folla esprime la propria preferenza alla scena gridando all’unisono: independencia.

In Catalogna, oggi, si tengono le elezioni (anticipate) per il rinnovo del Governo della regione, che in questa occasione assumono una portata ben maggiore, trasformandosi nell’anticamera di una possibile secessione della Generalitat dal resto della Spagna. Artur Mas, l’attuale presidente, ha deciso di sciogliere la giunta e anticipare le elezioni per trasformare una consultazione locale, di fatto, in un referendum sull’indipendenza facendo partire un processo secessionista legittimato dal voto popolare. Girando per il capoluogo – o dovremmo chiamarla capitale? – ci si imbatte quasi costantemente in slogan elettorali, in maggioranza a supporto della coalizione al governo, composta dai partiti nazionalisti catalani di Convergencia e Uniò, da cui proviene il presidente Mas, e dell’Esquerra Republicana de Catalunya, partito di sinistra repubblicano e nazionalista. “Junts pel si“, “Units vincem” sono tra i più gettonati e rendono bene l’idea di come queste elezioni vadano al di là di un semplice voto a carattere regionale.

I sondaggi assegnano alla coalizione per l’indipendenza la possibilità di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi, situazione che le permetterebbe prese di posizione di totale allontanamento da Madrid, quali una paventata e molto temuta dichiarazione unilaterale di indipendenza entro il 2017 (il referendum sull’indipendenza è incostituzionale per la carta fondante spagnola). Le motivazioni che spingono in questa direzione sono principalmente di carattere economico oltre che storico-culturali. La Catalogna è una regione ricca, fortemente industrializzata, la cui produttività rappresenta più del 20% dell’intero PIL spagnolo. Senza contare che lo sbilancio a sfavore della regione, rappresentato dai fondi che da Barcellona si trasferiscono al resto della Spagna attraverso il prelievo fiscale, supera gli 8 miliardi e mezzo di euro, per ammissione del ministro delle finanze spagnolo Cristobal Montoro.

Il rovescio della medaglia, o meglio, i possibili rovesci, sono al momento oscuri e imponderabili. Un distacco dalla Spagna comporterebbe comunque l’uscita dalla UE e dalla moneta unica con tutte le conseguenze che potrebbero derivarne. Ma c’è qualcosa che rappresenta la Catalogna in tutto il mondo, un brand che ottiene consensi ben oltre i confini regionali, spagnoli e addirittura europei, con tifosi dall’Asia agli USA: il Futbol Club Barcelona, per tutti il Barca. Cosa accadrà al Mes que un club, all’Espanyol e a tutte le società sportive catalane in genere? La posizione della Liga è molto chiara: per mano del suo presidente Tebas, ha già annunciato che, in caso di indipendenza, Barcellona ed Espanyol non potrebbero più prendere parte al campionato spagnolo, dato che le regole di diritto sportivo ammettono quali uniche formazioni non spagnole ammesse quelle di Andorra. Da parte della società blaugrana, il presidente Bartomeu ha assicurato la neutralità del club in questa campagna elettorale, essendo il Barcellona un patrimonio sportivo di tutta la Spagna. Diverse, invece, le posizioni dei calciatori del Barca, tra le cui fila militano molti catalani. Piquè è vicino alle posizioni pro-indipendenza e ha auspicato un referendum a riguardo, mentre XaviIniesta si sono dichiarati molto più cauti sulla vicenda. È chiaro che una uscita della Catalogna dalla Spagna vorrebbe dire anche uno smantellamento della squadra nazionale che per alcuni anni ha dominato lo scenario europeo e mondiale. Senza contare che il Barcellona è una polisportiva e questo si tradurrebbe anche in una rinuncia al campionato di basketpallamano.

Si è dimostrato più fatalista, invece, il tecnico Luis Enrique. Nelle dichiarazioni rilasciate prima della partita persa contro il Celta per 4 a 1, ha detto: «posso aspettarmi qualsiasi cosa». Il rischio concreto per il club catalano si traduce anche in una fortissima riduzione degli introiti derivanti da diritti televisivi garantiti dal prodotto Liga, il campionato che negli ultimi anni ha visto competere le squadre dominatrici della Champions League e dell’Europa League. Dovendo fare a meno di un introito al momento non calcolabile ma plausibilmente ammontante a centinaia di milioni di euro, come farebbe il Barcellona a potersi permettere giocatori del calibro di Messi, Suarez, Neymar? È ovvio che un eventuale campionato catalano avrebbe molto meno appeal e i blaugrana correrebbero il rischio di assumere il ruolo che, ad esempio, ha l’Ajax in Olanda, squadra di grande tradizione ma facente parte di un campionato “minore” con meno possibilità finanziarie. A rimetterci in uno scenario secessionista sarebbe però anche la stessa Liga: sinceramente, che fascino potrebbe avere un campionato caratterizzato dal dominio incontrastato del Real Madrid? Insomma, se da un punto di vista politico-economico l’indipendenza resta un interrogativo difficilmente decifrabile, da un punto di vista sportivo rischia di trasformarsi in un boomerang per chi se ne va e per chi resta. A una parte di questi interrogativi fornirà una risposta l’esito del voto: si o no?

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Non possiedo le conoscenze sportive a 360° dei miei “compagni di merende” ma mi difendo bene nel tiro alla fune e nel gioco del fazzoletto. Forse è per questo che mi hanno voluto nella creazione di questo blog, o forse, più semplicemente, quella sera erano ubriachi di birra artigianale. Ho scoperto alle ultime olimpiadi il beach volley femminile e ciò mi ha fatto riflettere, portandomi a considerare gli altri sport un contorno o poco più. Ho il Genoa nel sangue, solo che a volte ne ho troppo e finisce che mi sento male.

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