Vincitori e Vinti

Cala il sipario, si spengono le luci, il mondiale è finito.

La finale tra Germania e Argentina ha reso manifesta quella che nei prossimi anni sarà la squadra da battere ma soprattutto il sistema di gioco da superare, un pò come valse con la Spagna quattro anni fa. La finale ci ha offerto momenti tristi, come il vomito di Messi, le ignobili polemiche e accuse successive alla sua (seppur assurda) designazione quale miglior giocatore del torneo, le lacrime di un’intera nazione, ma soprattutto  ha espresso la superiorità della Germania come organizzazione di gioco, rispetto alle altre pretendenti al titolo.

Fin qui il dato calcistico, però mi balena da qualche giorno in testa un’idea che attribuisce al successo tedesco un significato di più ampio respiro, che arriva ad abbracciare temi sociali, politici, economici che vanno al di là del dato semplicemente “pallonaro”.

Siamo infatti sicuri che la vittoria tedesca si limiti al mero aspetto calcistico? Siamo certi che l’umiliazione inflitta al tremebondo Brasile di Scolari sia stata una pura esibizione di bel calcio e compattezza e non abbia travalicato l’idea stessa di calcio che abbiamo avuto fino ad oggi? Certo, il Brasile si è dimostrato una non squadra, inadatta a palcoscenici del genere. Però quell’epocale 7-1 seguito dalla vittoria finale di domenica mi ha riportato alla mente – ovviamente con le debite proporzioni – l’idea tedesca che ne ha forgiato l’unità fin dai tempi di Bismarck e dell’incoronazione a Versailles del re di Prussia quale imperatore della nuova Germania imperiale, cioè quella di un paese (in questo caso una squadra) fondato sul metodo scientifico, sulla professionalità, sull’individualità al servizio dello stato nazione. So che può far sorridere e forse deriva dai luoghi comuni figli del passato che spesso circolano su di essi, ma capita a volte che i tedeschi diano l’idea di non volersi limitare a vincere, ma di voler dominare.

Come antefatto voglio citarvi un episodio che mi è rimasto impresso.

Ricordo che durante prima partita della Germania, quella del 4 a 0 contro i portoghesi guidati dal “fantasma” del pallone d’oro Ronaldo, rimasi stupito dell’esultanza smodata della cancelliera Merkel presente in tribuna quel giorno ai gol coi quali i panzer tedeschi stavano affossando i lusitani. Ricordo che mi diede un fastidio tremendo vedere quella scena di esultanza, perchè indirettamente ci lessi una sorta di sadica soddisfazione extra-calcistica, come a voler dire il modello tedesco vince sempre, voi portoghesi siete uno dei paesi dell’eurozona in crisi, vi dimostriamo anche sul campo la superiorità del nostro modello economico. Quasi che la vittoria fosse la logica conseguenza dei rapporti di forza tra i due paesi. Sarà che tendo a prendere in simpatia i più deboli, sarà che non riesco proprio mai a stare dalla parte dei tedeschi quando si parla di calcio – salvo quando giocano contro i francesi, allora in quel caso mi astengo del tutto – fatto sta che da quel momento nella mia testa ha iniziato a balenare l’idea che la superiorità della Germania rispetto alle sue avversarie fosse ovvia, supportata dal ruolo di potenza egemone dell’eurozona. Abbiate pazienza ma la crisi mi è entrata profondamente in testa, un pò come al personaggio di Maccio Capatonda nel corto “Italiano medio” (Mi dia uno Spread, ah scusi uno Spritz).

Perchè gli ultimi tre anni e mezzo, caratterizzati dalla crisi del debito sovrano dei paesi mediterranei (Spagna, Grecia, Italia, Portogallo) ci hanno restituito una Europa ancora più germano-centrica che nel passato, una Europa quindi di matrice tedesca, schiacciata dal rigore e dall’incapacità da parte dei cosiddetti “PIGS” di fare fronte comune verso una politica economica unidirezionale.

La finale ha dato ulteriori e ancora più drammatici spunti per fare di Germania – Argentina, ancora prima di una partita di calcio, uno scontro di civiltà e di modelli di sviluppo tra due paesi agli antipodi in tutto: uno in salute e in crescita (Germania), l’altro alle prese con una crisi gravissima e sull’orlo del collasso (Argentina) ma accomunati dall’essere entrambi guidati da figure femminili.

La cancelliera Merkel è al timone della corazzata tedesca dal 2005 ed è stata recentemente rieletta. Cresciuta e fattasi le ossa nella parte “sfortunata” della Germania postbellica, la DDR, frau Merkel si è costruita una carriera all’interno dei cristiano-democratici, divenendone leader e successivamente primo ministro tedesco. La Germania ha risentito meno di tutti gli altri paesi dell’eurozona della crisi, anzi le politiche di austerità hanno favorito indirettamente i suoi conti e la sua bilancia dei pagamenti dando nuova linfa alle esportazioni, vero fiore all’occhiello della economia tedesca. Con questo non si vuole fare della facile retorica anti-tedesca, come fanno certi politici nostrani e non, perchè le responsabilità sul deficit dei conti pubblici dei paesi periferici (compresa l’Italia) sono da ascriversi in massima parte alle responsabilità di anni, o meglio decenni, di errori e malversazioni da parte della classe politica. Non è certo colpa dei tedeschi se nel corso degli anni ‘80 la svalutazione della Lira e la super-inflazione hanno iniziato a galoppare, gonfiando a dismisura il nostro debito pubblico o se in Grecia il governo di Karamanlis ha, fino al 2009, aumentato in maniera assurda e vertiginosa la spesa pubblica fino al limite del collasso. La Germania è la nazione egemone in Europa grazie al suo modello produttivo, alla snellezza della sua burocrazia, alla minore pressione fiscale e a un tasso di evasione molto più basso del nostro. Per certi fattori i tedeschi dovrebbero essere un esempio, nonostante la politica economica che hanno applicato a tutta l’Europa in questi ultimi anni.

Dall’altra parte c’è l’Argentina, anch’essa guidata da una donna, nella persona di Cristina Kirchner che ha “ereditato” la Casa Rosada dal marito Nestor Kirchner, eletto presidente nel 2003 e morto nel 2010. La Kirchner è al secondo mandato e si trova in questi giorni a fronteggiare una situazione economica drammatica con un tasso di inflazione che sfiora il 40% e un nuovo rischio default. L’Argentina sta danzando infatti un pericoloso tango sull’orlo del precipizio economico. Dopo il collasso  del 2002 quando il paese dichiarò di non poter più pagare gli impegni economici presi con l’estero (ciò segnò il default dei titoli di stato argentini con ripercussioni sulla popolazione e sugli investitori di tutto il mondo) il paese col tempo è riuscito ad attuare politiche di ri-stabilizzazione e di ripianamento del debito attraverso nuove emissioni di titoli ristrutturati nel 2005 e nel 2010. Ma è notizia di questi giorni che alcuni hedge funds americani che, come molti investitori non avevano accettato i nuovi titoli ristrutturati del governo argentino ed avevano intentato una causa, tramite una sentenza di un giudice di New York sono riusciti a bloccare il pagamento degli interessi dei titoli soggetti a ristrutturazione (per farla breve o si pagano tutti o non si paga nessuno). Per essere precisi è lecito supporre che tali fondi, soprannominati a causa della loro voracità speculativa fondi avvoltoio, acquistarono i titoli argentini nell’imminenza o subito dopo il default, giocando proprio sulla possibilità di una vertenza giudiziale loro favorevole che imponesse in futuro allo stato argentino di pagare fino all’ultimo centesimo. La Kirchner si trova ora a dover decidere entro fine luglio se pagare ciò che chiedono i fondi americani (circa 1,5 mld  di $ dei vecchi titoli falliti) o non pagare proprio. In quest’ultimo caso lo spettro del default si manifesterebbe più forte che mai con ripercussioni devastanti sulla già provata economia argentina e su chi, soprattutto piccoli risparmiatori, aveva a suo tempo deciso di accettare le condizioni del governo argentino per non perdere tutto ciò che era stato investito in quel paese.

E’ ovvio che anche nel caso in cui l’Argentina avesse vinto il mondiale ciò non avrebbe avuto ripercussioni positive sulla sua situazione economica e, in fin dei conti se c’è una squadra che ha espresso un gioco organizzato e a tratti divertente quella è stata la Germania, non certo l’Argentina, bunker difensivo ma con poco gioco, aggrappata alla vena di Messi e Di Maria. In un certo qual modo i tedeschi hanno giocato con l’estro tipico di una nazionale sudamericana misto alla compattezza della tradizione europea.

Gli argentini hanno altri problemi, molto più importanti, a cui pensare, così come il resto del mondo, ma in un sistema calcistico internazionale – governato da anni da personaggi più che discutibili (Havelange e Blatter su tutti) – che negli ultimi decenni ha impostato tutto il suo operare sul dio denaro a discapito dell’essenza vera del calcio, sarebbe puerile pensare che la politica non sia strettamente intrecciata con esso, arrivando in alcuni casi a stravolgerlo del tutto.

 

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Non possiedo le conoscenze sportive a 360° dei miei “compagni di merende” ma mi difendo bene nel tiro alla fune e nel gioco del fazzoletto. Forse è per questo che mi hanno voluto nella creazione di questo blog, o forse, più semplicemente, quella sera erano ubriachi di birra artigianale. Ho scoperto alle ultime olimpiadi il beach volley femminile e ciò mi ha fatto riflettere, portandomi a considerare gli altri sport un contorno o poco più. Ho il Genoa nel sangue, solo che a volte ne ho troppo e finisce che mi sento male.

2 commenti

  1. Anna

    bellissimo articolo Matteo, io non mi intendo di calcio ma conosco bene per motivi di lavoro i tedeschi e tu hai saputo coniugare con competenza e professionalità entrambi gli aspetti di questo popolo, che può non piacere, ma certamente ottiene risultati grazie a disciplina, impegno e pianificazione che purtroppo spesso mancano a noi italiani.

    • Matteo Canepa
      Author

      Ciao Anna, intanto ti ringrazio per i complimenti, mi fa molto piacere leggere le tue parole. Grazie di cuore. È vero, i tedeschi, come ogni popolo, hanno le loro peculiarità e caratteristiche, dovute a motivi storici, culturali, geografici e i risultati che raggiungono nel lavoro e nello sport derivano da queste loro caratteristiche. La crisi ha portato secondo me a fare dei gran luoghi comuni sulla Germania, sarebbe l’ora che in Italia si iniziasse a fare un esame di coscienza per cercare di capire come raddrizzare la barca invece che parlare a vanvera o fare solo promesse

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