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Generales, marmelada y sangre

Avete mai sognato di trovarvi in un luogo buio, circondati dall’oscurità e dai sinistri presagi che la popolano, di cercare ripetutamente l’interruttore vicino a voi, di trovarlo ma di non riuscire ad accendere la luce? Oppure di essere invisibili agli occhi della gente, di chiedere aiuto ma di ottenere in cambio solo indifferenza come se non foste altro che spettri?

A volte mi sforzo di pensare ma non credo sia possibile comprendere cosa debbano aver provato durante l’assurda estate del mundial 1978 le migliaia di prigionieri politici e le loro famiglie, vittime di quell’orrido e ignobile esperimento sociale che fu l’Argentina sotto il regime dei Generali e della loro cosiddetta “Guerra sucia”, volta ad eliminare ogni forma di dissenso politico nei confronti del loro regime sanguinario.
Il mondiale argentino del 1978 rappresentò la più oscena espressione del connubio tra calcio e politica che si sia mai manifestata. Servì alla giunta militare per dare del paese una visione fasulla e mediaticamente accettabile, assurgendo al ruolo di mezzo di legittimazione politica, una specie di instrumentum regni di cui i generali si servirono. Un circo mediatico patrocinato dalla Fifa, con interferenze organizzative della sempre presente CIA. Fifa presieduta all’epoca da Joao Havelange che non si limitò a girarsi dall’altra parte ma che si tappò entusiasticamente entrambi gli occhi di fronte alle inquietanti notizie che ormai circolavano in tutto il mondo, grazie agli esuli argentini, circa le torture, i desaparecidos e i voli della morte.

C’è da dire che l’assegnazione del mondiale avvenne ovviamente ben prima del colpo di stato del 1976 da parte dei generali Videla, Massera, Agosti, vertici del cosiddetto “Processo di riorganizzazione nazionale”. Il regime si trovò servita su un piatto d’argento una opportunità di legittimazione internazionale insperata, ma allo stesso tempo l’unico modo per legittimarsi agli occhi degli argentini stessi sarebbe stato vincere quel mondiale. Ad ogni costo. E così andò. Come da copione.

Durante i mesi che precedettero il mondiale la giunta intensificò arresti e torture per evitare in ogni modo che gli oppositori potessero parlare con i giornalisti stranieri circa le ripetute e tremende violazioni dei diritti umani. Interi quartieri problematici furono rasi al suolo. Per non parlare della famigerata Esma – letteralmente Escuela de Mecanica de l’Armada – il maggior centro di detenzione e tortura degli oppositori politici, che distava nemmeno un km dallo stadio Monumental di Buenos Aires, quello in cui l’Argentina giocò le partite di quel mondiale, compresa la finale contro l’Olanda.

A proposito dell’Olanda, non esisteva all’epoca nazione più schierata contro la dittatura di Videla; l’opinione pubblica era ben informata sugli orrori che avvenivano nel paese sudamericano anche grazie alla forte campagna promossa dal cosiddetto Skan, un collettivo di solidarietà nei confronti degli esiliati argentini fondato da due umoristi olandesi, che si adoperò affinchè la Nazionale rinunciasse a partecipare al mondiale argentino o almeno denunciasse ciò che stava accadendo laggiù. Le tv olandesi furono le uniche a trasmettere, durante la cerimonia d’apertura di quei mondiali, immagini delle madri di Plaza de Mayo, che stavano manifestando sotto la casa Rosada per aver notizie circa la sorte dei loro figli scomparsi. La stella, seppur calante, di quella squadra, Johann Cruyff effettivamente non partecipò al mondiale, ma solo in seguito si seppe che la sua non fu una scelta politica, bensì dovuta all’aggressione che il campione subì da alcuni uomini armati nella sua casa di Barcellona qualche mese prima.

A favore dell’Olanda c’è comunque da dire che un suo giocatore fu l’unico a cercare di rendersi conto veramente cosa stesse succedendo in Argentina, forse spinto dalle notizie che circolavano in patria grazie al collettivo Skan. Wim Rijsbergen, all’epoca difensore del Feyenoord, uscì dal ritiro degli olandesi e, in bicicletta – da buon olandese – andò in Plaza de Mayo a solidarizzare con quelle donne che, nonostante le botte, le minacce e la morte della loro fondatrice Azucena Villaflor, ogni giovedì sera percorrevano in silenzio tutto il perimetro della piazza, portando immagini dei figli desaparecidos. Rijsbergen dopo quela visita rimase profondamente sconvolto dalla dignità e dal coraggio di quelle donne, e, da quel momento aiutò per parecchi anni la loro associazione. Però questo fu l’unico caso documentato in cui un giocatore, prese parte alle proteste contro il regime, e lo fece a titolo personale. Altre nazioni partecipanti, politicamente contrarie alla dittatura della giunta militare quali Svezia e Francia, videro anch’esse da parte dell’opinione pubblica interna manifestazioni di boicottaggio dei mondiali ma tutti i giocatori, tra cui l’allenatore della nazionale francese Michel Hidalgo e il forte attaccante del Saint-Etienne dell’epoca Dominique Rocheteau, seppur titubanti in primo momento a causa della loro fede politica di sinistra, acconsentirono a partecipare al mondiale.

E la nazionale argentina? Come si pose di fronte a quel mondiale? A quali pressione fu sottoposta dal regime e dalla stampa argentina ad essa asservito?
Circolano molte voci sul discorso che Menotti, l’allenatore della seleccion tenne ai suoi giocatori prima di entrare in campo il giorno della finale contro l’Olanda: pare che “el flaco“, di idee politiche dichiaratamente di sinistra, disse ai suoi giocatori prima di scendere in campo di non voltarsi a salutare i generali, ma di guardare verso la gente comune, verso il pubblico rappresentante la vera Argentina, che non aspettava altro che gioire per la vittoria della propria nazionale. Menotti non era certo ben visto dalla giunta militare, ma era ritenuto l’unico in grado di far vincere il mondiale alla nazionale e, per questo motivo, “tollerato”.

Ma come andò quel mondiale? Come fece l’Argentina a raggiungere il tetto del mondo, in casa propria, portando, suo malgrado, e in maniera indiretta la giunta al trionfo?
La nazionale argentina nella fase a gironi arrivò seconda dietro la squadra rivelazione di quel mondiale, l’Italia, perdendo la partita decisiva per definire la prima classificata nel girone che comprendeva anche Ungheria e Francia. Quell’Italia, giovane e spavalda, che nella prima fase giocò il miglior calcio di tutto il torneo, sotto la guida di Enzo Bearzot, pose le basi per il gruppo che avrebbe poi trionfato in Spagna quattro anni dopo (Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini, Causio, Tardelli e il forte attaccante della Lanerossi Vicenza Paolo Rossi). L’Italia perderà la partita decisiva per accedere in finale contro la forte Olanda e chiuderà quarta alle spalle del Brasile, facendo comunque un’ottima figura.
Come dicevamo, l’Argentina si trovò a giocare la seconda fase da seconda classificata e dovette incrociare lungo la sua strada il Brasile, il Perù e Polonia.

La seleccion sconfisse la Polonia 2-0 e pareggiò a reti bianche contro i brasiliani. Nell’ultima partita, a causa della differenza reti favorevole ai verde oro, avrebbe dovuto sconfiggere il Perù con quattro reti di distacco per poter accedere alla finalissima. L’Argentina vinse la partita contro il Perù per 6 reti a zero, in quella che passò alla storia come “marmelada peruana” e che risultò la partita più contestata e con più ombre della moderna storia calcistica. I sospetti si sono intensificati nel corso degli anni e sono emersi particolari che propendono per la combine. Si è parlato di un accordo sottobanco tra le dittature argentina e peruviana e di una linea di credito di milioni di dollari a favore del Perù oltre al regalo di 35.000 tonnellate di grano. Pare che il figlio del dittatore peruviano Morales Bermudez, che era a capo della delegazione del suo paese, il giorno prima della partita entrò nello spogliatoio e parlò ai suoi giocatori della necessità di coltivare una fratellanza e un’amicizia latino-americana tra i due paesi, usando un linguaggio criptico ma comprensibile se letto tra le righe, considerando chi lo stava facendo. Senza contare che il selezionatore peruviano per quella partita richiamò a difendere la porta Ramon Quiroga, giocatore argentino naturalizzato peruviano nel 1977 e che si sospettò di aver ricevuto un premio per ogni gol subito, anche se ciò non fu mai provato.

Si arriva così alla finale Argentina-Olanda.
Uno stadio Monumental gremito di settantamila argentini, in preda a pura euforia calcistica, sul campo piovono senza sosta coriandoli bianco azzurri. In tribuna, Videla e il resto della Giunta con le loro divise lustre piene di patacche per onorificenze militari acquisite in battaglie mai combattute, i baffi e la gelatina nei capelli come da manuale del perfetto fascista sudamericano anni settanta. Poco distanti Kissinger, anima nera della politica estera statunitense per il Sud America e premio nobel per la pace nel 1973 per il buon esito del colpo di stato in Cile di cui fu co-ideatore, e poco più in là un personaggio tanto noto quanto pernicioso per l’Italia del dopoguerra: Licio Gelli, gran maestro della loggia massonicaa  P2, indagato per quasi ogni strage di stato avvenuta in Italia e intimo amico del dittatore Videla.
A nemmeno un km di distanza, centinaia di prigionieri politici giacciono nelle segrete dell’Esma, in attesa della tortura giornaliera, che arriverà non appena la partita sarà terminata, sperando che la nazionale vinca così i carcerieri magari andranno a festeggiare e per qualche ora si dimenticheranno di compiere il loro ruolo di spregevoli carnefici, perché, come si sa, la vittoria del mondiale viene prima di tutto.

La finale verrà ricordata da parte argentina per la doppietta dell’eroe Mario Kempes che si laurerà capocannoniere del mondiale e per il gol della sicurezza di Bertoni nel corso dei tempi supplementari, dopo che i tempi regolamentari si erano chiusi sul punteggio di 1-1 grazie al pareggio olandese di Nanninga, arrivato poco prima della fine dei tempi regolamentari.
Da parte olandese verrà ricordata invece per un episodio, che avrebbe potuto ribaltare tutto e, chissà, forse cambiare anche la storia dell’Argentina, magari aiutando ad accelerare la caduta della dittatura militare. Ma, come si sa, la storia come le partite di calcio, è fatta di episodi, per cui speculare su ciò che sarebbe potuto essere risulta un mero esercizio intellettuale fine a se stesso. Di certo si sa che al novantesimo appena scoccato, l’olandese Brandts batte una punizione da centrocampo direttamente in aria, la palla danza nell’area argentina senza che Passarella o nessun altro riescano ad intercettarla, nessuno tranne Pieter Rensenbrink, il forte numero 12 orange che nel corso di quel mondiale aveva già salvato l’Olanda in diverse occasioni. Anticipa il portiere Fillol e calcia sul palo sinistro. Il tempo si dilata, una nazione intera trattiene il fiato, e il dio del pallone decide di graziare gli argentini. Palo.
L’Olanda perde ai supplementari per 3-1 la sua seconda finale consecutiva. L’Argentina è in visibilio, un popolo è in festa, tranne le famiglie dei desaparecidos che assistono impotenti al delirio collettivo che assale una intera nazione. Ci vorrà la fallimentare quanto tragico-patetica guerra delle Falkland-Malvinas per mettere fine al regime militare che, con la vittoria del mondiale, raggiunge purtroppo il suo momento di apice.
Gli orange non si presenteranno alla cena di gala successiva alla partita. Anche in questo caso leggenda e verità si intrecciano, tra voci che sostengono la scelta degli olandesi di non voler stringere la mano al dittatore Videla e altre, forse più logiche, che propendono per l’impossibilità logistica di raggiungere il luogo del ricevimento da parte del pullman olandese a causa del caos per le strade della capitale, invase da centinaia di migliaia di persone.

Negli anni che seguirono si aprì un dibattito se la seleccion avrebbe potuto e dovuto compiere un qualche atto di denuncia per quello che stava succedendo nel paese. Francamente non so cosa avrebbe potuto fare di diverso, Menotti e i suoi giocatori non dedicarono mai la vittoria ai Generali e al loro regime, ma al popolo argentino. Altri settori della vita pubblica argentina, quale quello della stampa, si inchinarono e si sottomisero al potere senza colpo ferire in maniera ben più grave. Dunque risulta difficile dare un giudizio politico sociale univoco su quello che si sarebbe potuto fare.
Ciò che purtroppo non si potrà mai cancellare è la distruzione e annientamento di un’intera generazione, l’assassinio di trentamila persone, famiglie e sogni spezzati, figli nati nelle celle di tortura, strappati alle proprie madri assassinate con i voli della morte. Una serie interminabile di violenze, umiliazioni, torture, omicidi.
Tutti ciò non si può cancellare e ha macchiato in maniera indelebile quel mondiale, un evento che dovrebbe sempre rappresentare un momento di gioia e fratellanza tra i popoli e che invece in quell’occasione sarà per sempre ricordato come il mondiale della vergogna.

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Non possiedo le conoscenze sportive a 360° dei miei “compagni di merende” ma mi difendo bene nel tiro alla fune e nel gioco del fazzoletto. Forse è per questo che mi hanno voluto nella creazione di questo blog, o forse, più semplicemente, quella sera erano ubriachi di birra artigianale. Ho scoperto alle ultime olimpiadi il beach volley femminile e ciò mi ha fatto riflettere, portandomi a considerare gli altri sport un contorno o poco più. Ho il Genoa nel sangue, solo che a volte ne ho troppo e finisce che mi sento male.

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