Il calcio italiano e la perestrojka – Parte III: dici Dinamo e spuntano scarpe da ginnastica

Prosegue l’inchiesta su “Il calcio italiano e la perestrojka”. Quattro puntate che raccontano un cambiamento epocale, lo sgretolamento del muro tra est e ovest e l’arrivo dei campioni del mondo sovietico nello sport occidentale. Il calcio italiano è in prima linea e non mancano le zone grigie. Dopo la prima puntata sugli Europei dell’88 e il caso Zavarov, l’estate dell’89 vede l’arrivo di Aleinikov.
Leggi la prima puntata: Il cielo diviso
Leggi la seconda puntata:
Dietro le trattative, affari italiani
Leggi la quarta puntataLe notti magiche e il sovietico che sa di tricolore

Estate 1989, l’estate del secondo sovietico “italiano”: Sjarhej Alejnikaŭ o più semplicemente, all’italiana, Sergej Aleinikov. Lo sport sovietico ha aperto al professionismo, ha incassato bene con le cessioni di Kidjatullin (Tolosa), Dasaiev (Siviglia) e soprattutto con Zavarov e c’è lotta per fare i miliardi. I sovietici creano priorità, alimentano esclusive, indicono aste. Il bazar è aperto.
Tre campioni, il tennista Chesnokov, l’hockeysta Fetisov e lo scacchista Kasparov, fondano una associazione di professionisti per occuparsi delle loro prestazioni. La tennista Zvereva, invece, alla fine di un torneo vinto negli USA si mette in tasca l’assegno di 25.000 dollari, rifiutando di consegnarlo alla sua federazione perché gliene restituisse qualche briciola. Tempo di cambiamenti. Ma la novità più grande è lo sganciamento della Dinamo, che decide di muoversi in maniera autonoma: un impero sportivo con a capo il presidente-generale Valerii Serghevic Syssoyev e che conta oltre 5 mila club, 55 mila atleti e quasi un milione di iscritti, impegnati in ben trentasette discipline. I suoi atleti non vengono più rappresentati in occidente dalla Dorna ma dalla Dimod, una joint-venture tra il colosso sportivo e la Simod di Paolo Sinigaglia, importante industria nel ramo delle calzature sportive (accordo frutto di una collaborazione commerciale quadriennale). Sarà la Dimod a gestire, al di fuori dell’Urss, l’attività degli atleti, dei tecnici e delle squadre con il marchio Dinamo, compresi trasferimenti e sponsorizzazioni. Una società nella quale i due soci detengono il 50% di quote di partecipazione a testa e che ha uffici operativi a Legnaro (Padova), sede della Simod.

Quindi gli attori aumentano, gli affari si complicano (i giornali iniziano a scrivere delle vicende di mercato con i connotati delle spy-story) e nuovi personaggi entrano nelle trattative come consulenti esterni. Il più in luce è senza dubbio Franco Dal Cin, colui che intuisce, scrive La Stampa, “che nel calcio si erano create delle merci sulle quali nessuno aveva messo le mani: e che quelle merci (diritti televisivi, informazioni sui giocatori, mediazioni d’ affari) potevano dare grandi ricchezze e grande potere. Non solo: ma che c’era tutta una serie di attività (trasferimenti di calciatori, trasmissioni tv) le quali potevano essere strappate ai tradizionali canali (società, federazioni, reti di stato) per essere gestite in nuovi spazi e con nuovi interlocutori”.
Il suo guadagno deriva dalle incertezze e dalle lentezze degli altri. Nel mercato planetario aperto dalla riapertura agli stranieri, l’informazione e i contatti sono la ricchezza. Negli anni precedenti aveva fondato una banca dati dove memorizzare le caratteristiche e i precedenti dei calciatori italiani, la Sport Trade, e si era buttato sul calcio sudamericano. Il suo capolavoro è l’arrivo di Zico a Udine, un avvenimento impensabile: il più grande giocatore del mondo che approda in provincia. Il tutto attraverso la Groupings Limited di Londra, la società che faceva da intermediario nelle trattative col Flamenco.

Gli elementi dei nuovi affari del calcio ci sono già tutti: l’acquisto attraverso Londra permette di comprare a un cambio più favorevole, l’Udinese riceve il giocatore ma cede i diritti di sfruttamento dell’ immagine e il cartellino del giocatore per un certo periodo resta alla Groupings. La trattativa aveva fatto aprire un’indagine, la ricerca della sede sociale della società aveva portato al portone di una chiesa e Zico si era ritrovato con una condanna a otto mesi senza condizionale. All’Est, ora, Dal Cin fornisce idee, capitali, servizi (così capita che lo Sportul Bucarest sia protagonista di una tournée calcistica in pullman tra Messina e Licata) e dopo esser stato general manager di Udinese e Inter, trova la sua dimensione: la mediazione pura. E’ lui il regista dell’affare dell’estate ’89, quello riguardante il baffuto centrocampista della Dinamo Minsk. Gli altri protagonisti sono Aldo Spinelli e Paolo Sinigaglia. E’ il Genoa, infatti, che da mesi sta dietro al giocatore ed è forte di una lettera di intenti inviata al Sovintersport in aprile. L’affare è vantaggioso per i rossoblu: 500.000 dollari all’anno, ingaggio compreso, per un totale di un milione e mezzo (poco più di due miliardi), visto che Aleinikov sarebbe affittato, come Zavarov dalla Juve, per tre anni.

Ma dal 1 aprile la Dinamo è autonoma (il referente diventa la Dimod), fa “pesare” il giocatore dalla McCormak, scoprendo che al mercato occidentale vale tre milioni di dollari e rinnega la lettera di intenti chiedendo, per la cessione in prestito, più del doppio di quanto offerto. Curzio Maltese, sulle pagine de La Stampa, parla di “ignoranza della perestrojka sportiva” da parte del Genoa (ha trattato per mesi con l’ente sbagliato), che infatti molla la presa, dando la possibilità alla Juventus di entrare nella trattativa e di offrire quei tre miliardi e 700 milioni alla Dinamo e 750 milioni al giocatore in tre anni che convincono tutti. Il Genoa si consolerà coi tre uruguaiani Rubén Paz, José Perdomo, e Pato Aguilera.

Aleinikov e Zavarov sono una coppia affiatata e sembrano un ponte ideale per raggiungere, dopo il mondiale italiano, il terzo sovietico: Protassov o Mikhailichenko.

 

continua

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Simone Tallone
“Come tutti i bambini, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo: durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese. Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: «Una bella giocata, per l’amor di Dio».” – Ahimè, fossero parole mie! Eduardo Galeano parla per me!

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