L’Italia e il rugby: storia di un amore in divenire

Rugby, gioco da psiche cubista – deliberatamente si scelsero un pallone ovale, cioè imprevedibile (rimbalza sull’erba come una frase di Joyce sulla sintassi) per immettere il caos nell’altrimenti geometrico scontro di due bande affamate di terreno – gioco elementare perché è primordiale lotta per portare avanti i confini, lo steccato, l’orlo della tua ambizione – guerra, dunque, in qualche modo, come qualsiasi sport, ma lì quasi letterale, con lo scontro fisico cercato, desiderato, programmato – guerra paradossale perché legata a una regola astuta che vuole le squadre avanzare sotto la clausola di far volare il pallone solo all’indietro, movimento e contromovimento, avanti e indietro, solo certi pesci, e nella fantasia, si muovono così. Una partita a scacchi giocata in velocità, dicono. Nata più di un secolo fa dalla follia estemporanea di un giocatore di calcio: prese la palla in mano, esasperato da quel titic titoc di piedi, e si fece tutto il campo correndo come un ossesso. Quando arrivò dall’altra parte del campo, posò la palla a terra: e intorno fu un’apoteosi, pubblico e colleghi, tutti a gridare, colti come da improvvisa illuminazione. Avevano inventato il rugby. Qualsiasi partita di rugby è una partita di calcio che va fuori di testa. Con ordinata, e feroce, follia.

Alessandro Baricco 

 

Il 3 febbraio 2013, la nazionale italiana di rugby, gioca molto probabilmente uno dei match più belli della sua storia recente, nel torneo RBS Sei Nazioni. Stadio Olimpico, Roma, clima invernale; a scaldare i tifosi sugli spalti ci penseranno capitan Parisse e compagni. Tra questi tifosi ci sono anche io, in tribuna Tevere, a soffrire come un disperato ad ogni ondata che la Francia, avversaria difficile, riversa nella nostra metà campo. In quella partita ci fu l’Italia perfetta: prima meta del capitano Parisse (caricato dalle note di Adam’s Song nel riscaldamento, come testimonia questo tweet, se ci leggi, sempre grazie Sergio!):

monumentale quel giorno, grazie ad un’invenzione di Orquera su recupero splendido di Mclean; reazione francese e meta, ma Italia che tiene bene il campo e contraccambia da squadra vera (un drop e un calcio), sul finire del primo tempo altra meta per la Francia e parziale che si chiude sul 13-15. Il secondo tempo è ansia totale, la partita è molto equilibrata e l’Italia risponde con veemenza alle iniziative dei galletti. Arriva la meta di Castrogiovanni grazie ad un offload magistrale di Orquera , poi un drop di Burton e l’assedio finale della Francia che non riesce a sfondare la linea difensiva azzurra, compatta, solida, unita e grintosissima: 23-18 vittoria prestigiosa e confortante. Chiudiamo infatti il Torneo al quarto posto davanti a Francia e Irlanda lasciando speranze sul torneo 2014. E invece? Speranze disattese: 5 partite e 5 sconfitte in un torneo 2014 davvero brutto per essere vero. Cercherò, per quelle che sono le mie competenze in materia, di spiegare quelle che a mio modo di vedere possono essere le cause di questa disfatta e di questi passi fatti all’indietro anziché in avanti, dopo aver spiegato quella che è la nascita di questo sport meraviglioso (una delle ragioni per cui in Italia il rugby non riesca a sfondare).

In tutto questo scrivere, va detto che io amo il rugby, la sua fatica, l’onestà, il fatto di essere davvero “squadra”, la lealtà che incarna lo spirito profondo di questo sport e la passione che mi fa seguire le partite della nazionale. Guardando gli azzurri li vedo uomini, prima che divinità pavide come lo sono i calciatori. Guardando la nazionale azzurra di rugby mi viene voglia di placcare e buttarmi nella mischia, senza paura, senza timore, con il rispetto dell’avversario.

E la resistenza azzurra straordinaria di cui scrivevo prima

Il Rugby è nato, secondo la  leggenda, in Inghilterra nel 1823 (a Rugby appunto), quando il giovane studente William Webb Ellis, durante una partita di calcio (ancora non regolamentato) prese la palla con le mani e la portò fino in fondo al campo. Ma cosa successe tra il 1823, anno della mitica corsa di Ellis, e il 1871, anno dell’ufficializzazione delle regole del gioco? Sembra che quel vivace studente di Rugby non ebbe più nulla a che fare con gli sviluppi successivi di tale gioco, tanto che in realtà praticava il cricket e dopo la scuola divenne sacerdote. Fu un certo Jem Mackie, con un simile gesto negli anni ’30, a ottenere una radicale modifica delle regole: la corsa in avanti con il pallone in mano è comunemente accettata dal 1839 e legalizzata nel 1841. Bisognerà però aspettare altri quattro anni per avere una stesura ufficiale delle regole: il 28 agosto 1845 si riunirono i rappresentanti della Public School di Rugby per definire questo gioco che veniva praticato nella loro città. Nonostante i meriti di Mackie, William Webb Ellis diventerà una leggenda per gli appassionati dell’ovale: la sua tomba, nel Cimitero del Vecchio Castello a Mentone, è “meta” di pellegrinaggio rugbistico e la Coppa del Mondo è stata intitolata a lui.

Nel 1863, intanto, venne costituita la Football Association con l’intento di standardizzare le varie forme di calcio che venivano giocate all’epoca. Durante una serie di sei incontri, svoltisi alla Freemason’s Tavern di Londra, vari rappresentanti delle scuole pubbliche e delle università, insieme a un numero di club indipendenti di spicco, si riunirono per stabilire un singolo regolamento del calcio. La prima stesura prevedeva caratteristiche che sono ora parte del rugby, come il correre in avanti con la palla, la carica, lo sgambetto, la trattenuta. Tali regole vennero gradualmente scartate in luogo di altre varianti. Il football venne regolamentato ufficialmente distinguendo il “Dribbling Game”, cioè il calcio, dall’ “Handling Game” ovvero il rugby. Il 26 gennaio 1871 si formò la Rugby Football Union che ufficializzò le regole del “gioco della scuola di Rugby” per tutti i club che si rifiutavano di praticare quello che invece diventerà il moderno e diffusissimo calcio. Rugby che si diffuse rapidamente anche nelle colonie inglesi come testimonia la grande tradizione australiana e neozelandese.

Nel Regno Unito è considerato pertanto uno degli sport principali, alla pari del calcio. Peter Robbins, giocatore nato nel 1933 disse “Gli inglesi giocano a rugby perché lo hanno inventato; gli irlandesi ci giocano perché odiano gli inglesi e adorano le risse; gli scozzesi perché sono i nemici storici degli inglesi mentre i gallesi hanno un vantaggio su tutti gli altri: ognuno di loro è nato su un campo da rugby o vi è stato concepito” questo fa capire la portata del movimento rugby nei paesi anglosassoni. In Francia, il rugby arrivò nel 1872 grazie ad imprenditori inglesi trasferitisi oltremanica, infatti il primo club francese ad essere fondato fu il Le Havre Athletic Club Rugby.  In Italia, il rugby conobbe qualche difficoltà in più a svilupparsi, data la maggiore attenzione rivolta al calcio. Solo nel 1929 la Nazionale Italiana giocò la sua prima partita.

L’Italia è quindi storicamente indietro di qualche annetto rispetto ai paesi anglosassoni nel rugby, nella sua tradizione, comprensione e divulgazione; e conseguentemente anche nella “cultura” del mondo rugby. Ancora oggi nei bar nessuno parla di rugby bevendo birra, piuttosto si parla di calcio bevendo bianchi macchiati. Nei pub, rugby e birra, sono religione. E questo è uno dei motivi per cui il rugby in Italia deve ancora “sbocciare” del tutto. Un mio caro amico, che ringrazio per la collaborazione, mi ha riportato le seguenti parole “Io sono stato 6 mesi in Irlanda; molto facile vedere ragazzini/bambini giocare sotto la pioggia e il fango a rugby, piuttosto che a calcio. Gia’ da giovanissimi sono indirizzati a tale sport, vengono insegnati principi di “lotta”, ma soprattutto di lealta’. Nei pub si guarda rugby non solo per bere (come avviene in gran parte in Italia) ma per la passione, per i valori che esprime. E sopratutto si investe molto di più su questo sport. Cio’ direi che valga in tutti i paesi anglosassoni, ma anche in Francia, dove il calcio comunque non ha lo strapotere che ha in Italia.”

Il movimento italiano è in difficoltà, non a livello di spettatori e seguito (triplicati i tesserati), ma a livello di gioco, e i numeri sono gli stessi di 12 anni fa: media di 7 mete segnate e 21 subite nel Torneo. Come mai? La nazionale italiana è formata prevalentemente da giocatori provenienti dai 2 club più importanti del paese: la Benetton Treviso e le Zebre Rugby. Solo Castrogiovanni, Furno, Allan, Parisse, Benvenuti e Masi giocano all’estero in squadre davvero competitive. Benetton e Zebre, nell’ultima Heineken Cup (la Champions League del Rugby) purtroppo hanno perso sei partite su sei nei gironi eliminatori: le Zebre hanno chiuso a 0 punti in classifica, differenza tra punti fatti e subiti -177 e 2 mete fatte. La Benetton ha fatto un -161, 2 mete fatte e 0 punti in classifica. Queste sono le squadre che forniscono la maggioranza dei giocatori alla nazionale; squadre ancora poco competitive ad alto livello quale è quello della Heineken Cup, e conseguentemente del Sei Nazioni. I giocatori che arrivano in nazionale sono giocatori poco abituati a vincere, poco abituati a giocare i momenti decisivi di una partita. Sono giocatori più che validi, sia chiaro, ma sarebbero sicuramente più performanti se le squadre italiane in Europa avessero la possibilità di giocare per vincere veramente. Cosa che peraltro avviene anche nel calcio, ma qui non ci interessa.

Le Accademie sfornano ragazzi fisicamente pronti, ma troppo spesso si bada più alla fisicità che alla tecnica. E così c’è bisogno di pescare all’estero ragazzi già formati, i cosiddetti  “oriundi”. I due azzurri più rappresentativi, Parisse e Castrogiovanni, sono cresciuti in Argentina. Tommaso Allan, il 20enne apertura lanciato da Brunel, si è formato tra Inghilterra, Sudafrica e Scozia. Il nostro sistema ha contribuito poco alla sua scienza rugbistica. La federazione dovrebbe puntare maggiormente sui giovani, investire su di loro e migliorare la loro tecnica rugbistica. I fisici imponenti li abbiamo, costruiamo mani più gentili che sappiano trattare meglio l’ovale.

Nel 2013 l’Italia godeva di una forma strepitosa, il Torneo del 2014 è stato invece un susseguirsi di sfortunati infortuni: Minto, Zanni, Parisse, Derbyshire, Castrogiovanni. La panchina non è lunghissima e soprattutto non si punta sui giovani. Allan, Sarto, Furno, Campagnaro, Esposito sono ottimi giocatori giovani, che potranno sicuramente crescere ma a loro si devono aggiungere altri giovani in tutti i ruoli, per non rimanere scoperti e con la panchina corta specialmente in ruoli maggiormente sollecitati.

A livello tecnico invece i 2 dati più preoccupanti sono questi: dobbiamo ritrovare la nostra spinta in mischia ordinata. In tutto il torneo l’Italia ha avuto un efficacia in scrum del 78% (la Scozia arrivata penultima ha un 85%) perdendo ben 9 mischie in possesso palla. Davvero tante. Dobbiamo tornare a spingere perché la mischia è sempre stato un nostro punto di forza. Ok, sono cambiate le regole di ingaggio, ma sono cambiate per tutti. La seconda cosa importante è trovare al più presto un calciatore affidabile: l’Italia ha chiuso con il 58% di conversioni tra i pali, possibile che un popolo di calciatori come noi non trovi uno che sappia dare continuità alle trasformazioni? Allan ha una buona meccanica ma è troppo discontinuo e Orquera è rischioso: fa una partita spettacolare e quattro da spettatore. Le punizioni, i calci portano punti e dobbiamo trovare al più presto un cecchino: rimpiango Diego Dominguez e i suoi calci millimetrici. Così come rimpiango Troncon. Lui e Diego erano il 9 e il 10: i cervelli della squadra, giocatori che ci mancano terribilmente. Due mediani, ruoli nevralgici, apertura e mischia che sappiano leggere il gioco prima ancora di svolgerlo. L’Italia ha buoni giocatori nel complesso, ma a mio avviso, latita proprio nei ruoli chiave dei mediani: gli avanti sono buoni giocatori, i centri e le ali possono fare male, vedi Campagnaro in Galles, ma sui mediani siamo un po’ carenti e ripensando a Troncon e Dominguez, se fossero inseriti in questa squadra, saremmo davvero più competitivi.

Ultima nota: l’Italia è un paese che ha paura delle regole, gli italiani le aggirano quasi sempre, anche e soprattutto nello sport. Il rugby è invece il trionfo della regola, della lealtà, della sportività ed è anche per questa mentalità, non insita nello spirito sportivo italiano, che temo faremo fatica a primeggiare con l’ovale in mano. Spero in un 2015 migliore (3 incontri in casa nel Sei Nazioni) e in un buon Campionato del Mondo. Spero che in Italia vengano rispettate maggiormente le regole e che finalmente il rugby possa arrivare a ricoprire lo spazio che merita non solo come sport ma per i valori che trasmette. Spero in un generale cambio di tendenza, del paese e del rugby. Ma temo che sia ancora difficile da realizzare. In ogni caso io c’ero (Italia-Francia a Genova 1999 prima partita live), ci sono e ci sarò: FORZA RAGAZZI NON MOLLIAMO!!!

PS: tutti i paesi che ospitano il Sei Nazioni hanno uno stadio dedicato esclusivamente alle partite di rugby: Twickenham (82000 posti), Stade de France (81000 posti), Millennium Stadium (74500 posti), Aviva Stadium (51700 posti), Murrayfield (67500 posti) e l’Italia? No, l’Italia è l’unica tagliata fuori, gioca allo stadio Olimpico di Roma. Questo fa capire molto, se ancora ce ne fosse bisogno: L’Italia non è pronta per tante cose, una di queste è il rugby. Purtroppo.

 

 

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Francesco Salvi
Da 35 anni appassionato di gesta sportive a 360°, fin da bambino ho praticato diversi sport, ma con scarsi risultati: calcio a livello agonistico, tennis, sci e l’odiatissimo nuoto. Il mio sangue è al 50% genovese, al 10% marchigiano e al 40% sampdoriano. Ho un debole per il divano di casa mia dal quale seguo indifferentemente qualsiasi competizione sportiva venga trasmessa in tv. Anche perché dal divano: “questo lo facevo anch’ io”. Sportivamente vorrei possedere: l’eleganza di Federer, la follia geniale di Maradona, il fisico di Parisse, la potenza di Tomba, l’agilità di Pantani, il romanticismo di Baggio e la classe di Mancini. Ma è impossibile, quindi rimango seduto.
Francesco Salvi

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6 commenti

  1. Luca
    Luca

    Proprio un bel lavoro.. bravo Francesco!
    unico appunto: se non sbaglio lo Stade de France ospita anche le partite di calcio della nazionale francese.. e così anche (mi sembra) il Millennium Stadium di Cardiff.. su Twickenham, Murrayfield e Aviva Stadium hai invece pienamente ragione.

    • Francesco Salvi
      Francesco Salvi
      Author

      Ciao Luca, lo Stade de France, costruito in occasione dei mondiali di calcio 1998, ospita le partite della nazionale di calcio e di rugby. Diciamo quindi che è uno stadio “dedicato” poichè non vi gioca nessuna squadra di club (questo volevo dire, con conseguenti problemi di calendarizzazione). Inoltre è luogo di incontro per eventi e concerti.Il Millennium Stadium è di proprietà Millennium, controllata dalla Welsh Rugby Union: ci giocano anche a calcio ma il calcio in Galles è molto meno seguito che in altri paesi d’Europa. Quello che volevo dire io è che in Italia non c’è una struttura moderna e all’avanguardia per ospitare tale evento. Pensare che i nostri stadi sono tutti del 1990: vecchiotti direi.

      • Francesco Pedemonte

        io comunque, anche in virtù del dissesto idrogeologico del nostro territorio (non solo ligure), sono contro la costruzione di stadi nuovi (modello Roma). Allora preferisco lo Juventus Stadium, che è sorto dalle rovine del vecchio Delle Alpi. Quel che dico io è: cerchiamo di rinnovare o adeguare i vecchi impanti, anche con rifacimenti radicali. A differenza di altri paesi noi dobbiamo iniziare a fare i conti con il nostro territorio…che sta urlano da svariati decenni: basta!

  2. Manuel Sorrenti

    Ciao Fra. L’ho letto solo ora, perdona il ritardo :) !! Veramente ottimo articolo, hai dato un’idea di quello che è il rugby, delle problematiche che ne condizionano il pieno sviluppo in Italia , e di riflessioni generali sullo sport!

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