I Bomber di Campagna: la classe operaia va in paradiso

“Quanto al perfezionamento artistico, escludo oggi, più di prima, che la grande città possa essere favorevole, non solo per le distrazioni irreparabili che offre, ma anche per le difficoltà evidenti che la sua mostruosa organizzazione oppone a una approfondita osservazione della vita” citazione dal carteggio tra La Cava e Sciascia.

Questo articolo è dedicato a chi, come me, non ama il calcio glamour dei CR7, delle improbabili creste punk, dei tatuaggi sparsi per l’intero corpo scultoreo, delle pettinature alla Vidal, dei giocatori modelli in mutande sui cartelloni pubblicitari. Questo articolo è dedicato a personaggi spesso oscuri fuori dal campo, protagonisti di un calcio più ruspante e vicino alla gente. Alcuni, quasi campioni, altri onesti mestieranti del pallone, sono tutti accomunati dall’aver dato il meglio di sé lontano dai grandi palcoscenici metropolitani divenendo, invece, idoli delle tifoserie della provincia italiana. Questo pezzo è dedicato a chi, preferisce una partita di Coppa delle Coppe, rispetto alla blasonata Champions League; a chi ha visto per anni, partite di serie B. Quest’articolo è dedicato a chi con il cuore, riesce ad arrivare là, dove non sarebbe mai riuscito ad arrivare, forse, con la tecnica e il talento: questo pezzo è dedicato ai Bomber di campagna. Fondamentali anche al Subbuteo.

I BOMBER DI CAMPAGNA

Dal Sabatini-Coletti:

Bomber: sostantivo inglese (pl. bombers); in italiano sostantivo maschile.

1 Nel gioco del calcio, cannoniere. 2 Giubbotto imbottito del tipo di quello in dotazione ai piloti militari americani. In entrambi i casi, una vera figata. E, comunque, una parola molto pop e cool. Che figo è il bomber?!?

 

Sempre dal Sabatini-Coletti:

Campagna: sostantivo femminile.

Terreno aperto, coltivato o incolto: campagna fertile, abbandonata; zona rurale lontana dalle città: abitare in campagna e altri numerosi esempi tipo lavorare in campagna o in aperta campagna ecc ecc ecc. Una parola che sa di retrò, che esprime il concetto della “lentezza di una volta” nel seguire il mutare delle stagioni. Lavorare in campagna, è una frase che rievoca tutta la fatica dei nostri nonni contadini, le loro barbe incolte e le loro mani callose.

Bomber di campagna sarebbe quindi: un cannoniere, vestito con un giubbotto da pilota militare americano, abitante in una zona rurale lontana dalla città, tra campi aperti,nei quali lavora. No, non ci siamo proprio. La descrizione è bizzarra e fa alquanto ridere. E mi piace. Ma ne esiste una che mi piace di più.

Dal Dizionario Calcistico di Francesco Salvi (Brera perdonami se puoi)

Bomber di Campagna: giuocatore di calcio che esercita il ruolo di centravanti in una squadra “provinciale”. Detta così si capisce già un qualcosa di più, ma approfondiamone meglio le caratteristiche. Entriamo nel suo corpo e nella sua anima.

Il bomber di campagna è forte fisicamente, statuario nella sua imponente massa corporea. Deve primeggiare in area di rigore, ed è per quello che gli serve un fisico così. Unico neo: la lentezza nei movimenti, dovuta appunto, alla stazza. Una lieve pesantezza.

Il bomber di campagna è immarcabile nel colpo di testa, nessuno stopper al mondo ha mai potuto frenarne l’irruenza su un corner. Con lui, nessun centromediano ha mai vinto un duello aereo su rinvio del portiere. L’incornata sotto il sette è il pezzo forte del suo repertorio. Unico neo: con i piedi è un pochino più grezzo che con la testa.

Il bomber di campagna è uomo spogliatoio, spesso capitano della squadra, vista la sua naturale tendenza alla leadership. Non smette mai di crederci e incita a gran voce i compagni. Non cerca fama o notorietà, vuole sentirsi a casa quando gioca a calcio. Unico neo: è un giramondo che fuma; mentre si allena.

Il bomber di campagna non ama il gossip e le riviste patinate. Non è assillato dal flash dei fotografi ma si concede solamente agli amici della trattoria, che si trova di fronte al campo di allenamento. Sa che non giocherà mai in una “grande” (?); ma sa anche che, sta già giocando per una grande: la sua squadra. Non gli interessa essere popolare. Il bomber di campagna è il popolo. Il popolo che si esalta, mentre lui ha appena guadagnato un corner e incita la curva alzando le braccia. Unico neo: a volte gli scatta un’ignoranza positiva irrefrenabile, tipo togliersi la maglia per esultare dopo un gol e prendersi l’evitabile “giallo”.

Il bomber di campagna non è che piace o non piace, non è che lo ami o non lo ami. Lo devi conoscere, soprattutto guardare e decisamente capire: lui arriva con il cuore, là dove altri arrivano con doti naturali. E questa, forse, è la sua caratteristica migliore. Deve sopperire con la grinta, la voglia e il coraggio a carenze tecniche spesso evidenti. E’ questo uno dei privilegi di tifare per una squadra “provinciale”: avere in rosa il temutissimo, coraggioso e tutto-cuore Bomber di Campagna.

Cosimo Francioso, lo chiamavano “Mino”

Il derby è cosa seria. Non si scherza quando l’adrenalina sale ad intervalli regolari già da lunedì. Arrivare a domenica sarà una maratona. Il numero di sigarette fumate è ai massimi storici. In Gradinata Sud con il mio amico Simone è un’agonia. La sciarpa blucerchiata al collo dona quel qualcosa in più: è stilosamente charmant. Dall’altra parte, nella Gradinata Nord, i “cugini”, sventolano monotoni solamente due colori. Il rosso e il blu. I miei amici Francesco e Matteo (cofondatori del blog) staranno sicuramente sventolando le bandiere e soffrendo per il loro Vecchio Balordo. In quel Genoa, del Professor Franco Scoglio, gioca un certo “Mino” Francioso (255 gol in carriera) un bel giocatore: forte di testa, sgraziato ma con un gran fiuto del gol. Tecnicamente non male.

La partita è sullo 0 a 0. Non bellissima, ma loro giocano meglio di noi. Scoglio ha preparato bene il derby e il Genoa gioca un calcio più pragmatico rispetto alla Sampdoria; batte in 21 modi un calcio d’angolo. Scoglio è  tarantolato. Minuto ‘71: calcio di punizione dal limite per il Genoa sotto la Nord. Pallone posizionato proprio fuori area. Io e Simone ci guardiamo, e, nei nostri occhi si legge la paura, ma anche una terribile certezza: questo è gol. Francioso guarda gli avversari con calma, poi calcia un pallone a effetto che sorvola la barriera e s’insacca, all’incrocio dei pali. Una pennellata, un piccolo capolavoro da artigiano del pallone. Poco dopo un tifoso genoano entra in campo, corre come un invasato verso Francioso e lo abbraccia. Collina fischia la fine delle ostilità e Francioso diventa l’eroe del 2001 rossoblu. A fine partita i quattro amici, avversari per 90 minuti, si riuniscono al solito bar, come sempre per una birra: si parla solo di Mino Francioso. Solo che 2 ne capiscono, 2 un po’ meno (a voi la scelta). Parlare di calcio con un genoano è un compito difficile, non impossibile.

Per la gioia dei miei amici/colleghi blogger e di tutti i tifosi e tifose rossoblu: riguardatevelo, a me fa male ancora oggi (vero Simo?).

Pasquale Luiso, il “Toro di Sora”

Non ci sono parole per esprimere l’essere calcisticamente taurino di Pasquale Luiso, soprannominato, non a caso, “Il Toro di Sora”. In campo era una fiera incontenibile: sbuffava, correva, si sbatteva con una voglia che, se tutti i compagni ne avessero avuta come lui, avrebbero vinto scudetti e coppe varie. E non era una fiera solo in senso dantesco. Era anche una fiera di bestemmie (intesa come gran campionario di imprecazioni) soprattutto in caso di decisione arbitrale dubbia o in caso di gol sotto la gradinata dei tifosi: lo ricordo alla Sampdoria, fece un gol qualunque e venne dietro la porta tirandosi la maglia e bestemmiando come un forsennato: perche? Comunque grazie di tutto noi eravamo sdraiati dal ridere e dalla gioia.

Nel 1997-98 Luiso (trasferitosi al Vicenza) entra per sempre nel gotha del calcio: semifinale di Coppa delle Coppe (la coppa più bella e romantica; infatti l’hanno abolita, caproni) contro il Chelsea: 1 a 0 al Menti, gol di Zauli; il Vicenza di Guidolin si presenta bellicoso e spavaldo a Stamford Bridge. I blues di Vialli (allenatore-giocatore) vincono 3 a 1 e si qualificano. Di Luiso il gol della bandiera per il Vicenza. In finale il Chelsea vincerà contro lo Stoccarda grazie ad un gol di Gianfranco Zola, da Oliena. Pasquale Luiso sarà il capocannoniere di Coppa con 8 gol: un toro trascinatore.

Riccardo Zampagna, bomber di campagna

Riccardo Zampagna: Bomber di Campagna. Con un cognome così non poteva certo essere diversamente. 168 gol in carriera e tanto tanto cuore. Debutta in serie A nel 2004 (sinceramente troppo tardi) con il Messina, in un Messina-Roma 4-3. In quell’anno 28 presenze e 12 gol. Memorabile anche la stagione nell’Atalanta 2006-2007: 11 gol in 28 partite. Ma ciò che più colpisce di Riccardone è il suo essere un “uomo alla rovescia”, l’esatto contrario del giocatore soldatino, che fa dichiarazioni banali, che è sempre politically correct. Riccardo è un personaggio anticonformista, uno spirito libero nel paludato mondo del calcio fatto di tagli di capelli trendy e provocazioni continue. Nel 2010 ritorna a Terni, sua città natale, e sposa il progetto del calcio popolare portato avanti dall’Associazione Comunista Sportiva Dilettantistica “Primidellastrada” con la quale disputa il campionato UISP. Zampagna è il classico esempio di umiltà calcistica senza voler per forza tanta pubblicità.

Christian Riganò, la classe operaia va in paradiso

Dio perdona: Riga-No. Conterraneo del professor Franco Scoglio (Lipari), lavora come muratore fino a 25 anni. Nel tempo libero si allena, corre al campetto per sfogarsi un po’ dopo il lavoro: insegue il sogno, con passione. E il sogno diventa realtà. 259 gol in carriera nei professionisti: con 53 gol in 2 anni trascina la “Viola” dalla Serie C alla serie A. E’ un leader, un leone in gabbia, sempre pronto a dare la zampata giusta. Le parole lasciano lo spazio ai fatti e agli occhi: Audax Montevarchi 2011-2012 le statistiche dicono 16 presenze 22 gol. A Montevarchi impazziscono per quel bisonte dai piedi di seta. Segna in qualsiasi maniera: pallone d’oro di campagna. AKA…What a Life!

Dario Hubner, tatanka e Marlboro

Da Muggia, Trieste, con furore: unico giocatore ad essere stato capocannoniere (assieme ad Igor Protti) in Serie A, B e C. Arriva a giocare nella massima serie a trent’anni (?), nel Brescia, dopo aver fatto caterve di gol in serie B con il Cesena. Nel 2000-2001 vive forse l’annata più bella della sua carriera: 17 gol e settimo posto del Brescia in Serie A con qualificazione per la coppa Intertoto (miglior piazzamento di sempre delle rondinelle nella massima serie). Insieme a Darione giocano altri due campionissimi: Roberto Baggio e Andrea Pirlo. Hubner è il finalizzatore, il killer dell’area di rigore di quel Brescia guidato in panchina da Carletto Mazzone (la corsa sotto la curva avversaria nel derby con l’Atalanta, farà storia, ma siamo nella stagione 2001-2002 e Hubner non c’è già più, ma mi piaceva inserirla come esempio di allenatore di campagna).

L’anno successivo è capocannoniere in Serie A con 24 gol (insieme a Trezeguet) con il Piacenza. Il Milan allora decide di fargli fare la tournee americana di fine campionato: una piccola parentesi, il bomber di campagna vuole la campagna. Non gli importa di passeggiare per via Montenapoleone facendo shopping con fighe extralusso. Non se ne farà nulla, e Darione passerà all’Ancona. E comunque, Tatanka, è abituato alla sigaretta tra il primo e il secondo tempo e a San Siro non ci sono gli spogliatoi per fumatori. 335 gol in carriera sono un’infinità. Svariate sigarette e grappe al bar con gli amici. Bar che oggi gestisce insieme alla moglie. Con quell’immancabile pizzetto e quell’aria da umile rude-boy. La nazionale l’avrebbe sicuramente meritata.

Davide Moscardelli, fear the beard

Se fosse un giocatore di hockey su ghiaccio, di basket o di rugby non farebbe così tanto scalpore. Ma “Mosca” gioca a football. E ha la barba. Lunga. Il look non passa inosservato in mezzo a creste fluorescenti, parrucchieri ubriachi (Vidal ne è l’esempio), tatuaggi impossibili e capelli impomatati. Moscardelli è lo Chabal del calcio italiano. Attivissimo sui social network, ma soprattutto in campo, con iniziative veramente sociali come #allacciamoli, campagna dei calciatori contro l’omofobia, del quale è uno dei massimi esponenti. Bologna, e non solo, lo ama, è diventato il contropersonaggio, il “normale” tra i marziani. Grazie Mosca, sei l’esempio che con il cuore, la testa e la personalità si può fare ancora tanto, forse, in questo paese e in questo sport. E guardate che numeri:

Marco Di Vaio, il cigno del gol

Di Vaio è sempre stato inseguito dalla sfortuna, dagli infortuni e da allenatori che, secondo il mio parere, non hanno mai creduto davvero nelle sue potenzialità. Sarebbe stato un giocatore da grandi palcoscenici ma la consacrazione avvenne in campagna: Marco Di Vaio è l’esempio di del calciatore “diventato” bomber di campagna. Alla Lazio gioca poco per poi passare al Verona e al Bari, prima di arrivare alla Salernitana: lì, l’esplosione: 33 gol in 67 gare. E poi non ha più smesso passando per Parma, Juventus, Valencia, Monaco, Genoa. Ma è a Bologna che Di Vaio riesplode nuovamente. Stagione 2008-2009, asta fantacalcio: io avevo sempre creduto in Di Vaio non come certi allenatori scettici. Anche i miei amici ci credettero poco. Presi Ibrahimovic (fece 25 gol), spendendo un capitale. Adesso dovevo puntare sulla campagna, per forza: presi Acquafresca (14 gol) snobbato da tutti; Pellissier, pupillo di sempre (13 gol) e per finire Marco Di Vaio (24 gol, stagione stellare): vinsi il Fantacalcio con numerose giornate d’anticipo. Di Vaio è colui che, ce l’ha fatta, anche in momenti di sfiducia, grazie alla passione e all’amore che lo ha sempre legato al calcio. 142 gol nella massima serie in carriera: con Vieri, Lorenzi e Pulici è il 27esimo giocatore più prolifico della Serie A. Adesso sta importando la cultura del calcio italiano nel mondo: gioca, e segna a raffica, nei Montreal Impact. E mi fece vincere al Fantacalcio. #allinforcampagna.

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Francesco Salvi
Da 35 anni appassionato di gesta sportive a 360°, fin da bambino ho praticato diversi sport, ma con scarsi risultati: calcio a livello agonistico, tennis, sci e l’odiatissimo nuoto. Il mio sangue è al 50% genovese, al 10% marchigiano e al 40% sampdoriano. Ho un debole per il divano di casa mia dal quale seguo indifferentemente qualsiasi competizione sportiva venga trasmessa in tv. Anche perché dal divano: “questo lo facevo anch’ io”. Sportivamente vorrei possedere: l’eleganza di Federer, la follia geniale di Maradona, il fisico di Parisse, la potenza di Tomba, l’agilità di Pantani, il romanticismo di Baggio e la classe di Mancini. Ma è impossibile, quindi rimango seduto.
Francesco Salvi

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2 commenti

  1. Luca
    Luca

    bella galleria di centravanti “old style”.. tra tutti il più “ignorante” (non in senso offensivo, anche se di certo non ha il pedigree di un premio Nobel) è certamente Pasquale “Macarena” Luiso.. di lui ricordo una zuffa con il Prof. Scoglio al termine di un derby vinto 2-0 dal mio Genoa (gol di Mutarelli e Stroppa) ed una tripletta di testa in un Avellino-Genoa 3-3.. roba da non credere!

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