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Il guardalinee azero

“Questo è per Stalingrado!” – pare gli abbiano sentito dire, tra le urla di uno stadio in visibilio.
Questa è la storia del guardalinee azero, colui che fece convalidare il gol più controverso e discusso di tutti i campionati del mondo di calcio.

Il suo nome è Tofik Bachramov, nativo di Baku, attuale capitale dell’Azerbaigian; negli anni arbitro internazionale, nel 1966, quando sbarca in Inghilterra, semplice segnalinee, secondo direttore di gara sovietico ad essere designato per una fase finale del torneo mondiale.
1966, Inghilterra. Pochi elementi, ma i più avranno già capito di cosa sto parlando: di nostra iniziativa o meno è probabile sia capitato di aver visto quelle immagini.

Finale del torneo, 30 luglio 1966, Inghilterra e Germania Ovest dopo i tempi regolamentari sono inchiodati sul risultato di 2 a 2. Si va ai supplementari. Al minuto 101 Alan Ball si libera sulla destra e mette in mezzo un pallone che Geoff Hurst non si lascia sfuggire. In un fazzoletto si gira e calcia: la palla si infrange sulla traversa, rimbalza dritta sull’erba e schizza via. Ha varcato la linea o no? L’arbitro svizzero Gottfried Dienst non si sa decidere e corre in direzione del guardalinee di destra, Tofik Bachramov. Il collaboratore appare sicuro e convince il direttore  di gara: il gol è da convalidare. E’ l’episodio che rompe l’equilibrio: la coppa andrà, come sappiamo, ai leoni d’Inghilterra.

Quel che si riuscì a verificare attraverso le immagini televisive è che quella palla non varcò mai la linea di porta. E quindi, si sono chiesti in molti: da dove tutta questa risolutezza? Letteratura, leggende e immaginario popolare non tardarono ad arrivare, e tutte puntavano su un tratto della biografia di Bachramov, il passato da Ufficiale dell’Armata Rossa durante la Seconda Guerra Mondiale. Sembrava quindi plausibile ricondurre l’episodio inglese alla battaglia di Stalingrado. Una teoria che si è sviluppata in tre varianti.

England GermanyLa prima ipotesi è anche la nostra apertura di articolo. Il guardalinee azero, spostato il giudizio dell’arbitro sulla convalida, avrebbe risposto alle proteste tedesche con la suddetta frase “Questo è per Stalingrado!” Teoria, questa, che è andata per la maggiore tra la stampa britannica, ma  che è stata smentita dalle testimonianze dei giocatori tedeschi.
La seconda teoria imputa un “Ricordati di  Stalingrado!” pronunciato da uno spettatore: frase che avrebbe convinto Bachramov a prendere quella decisione. La terza teoria ci porta invece a una domanda sull’episodio rivoltagli sul letto di morte, a cui l’azero avrebbe risposto con un’unica parola: Stalingrado”.

Tre punti di vista ovviamente suffragati da nessuna prova, così come del resto la teoria complottista tedesca di voler punire la squadra teutonica colpevole di aver eliminato l’URSS in semifinale. Molto meno affascinante fu la spiegazione che diede dell’accaduto Bachramov stesso, che confessò di non aver visto la palla entrare, ma che secondo lui nell’atto di impattare la traversa avrebbe toccato la rete.
Volendo esser maliziosi possiamo aggiungere che, in caso dubbio, a favorire la squadra di casa si rischia meno. Di certo l’errore del guardalinee non pregiudicò la sua carriera: quattro anni dopo si presentò a Mexico ’70 non più da collaboratore di linea ma da arbitro, oltre a essere designato  per la semifinale di Coppa dei Campioni 1968 tra Manchester United e Real Madrid e per la finale di andata di Coppa UEFA 1972 tra Tottenham e Wolverhampton. Sempre squadre inglesi, direbbero le malelingue!

Dopo la scomparsa nel 1993, Baku ha intitolato il suo principale stadio alla memoria di Bachramov, il cui monumento saluta, fischietto alle labbra, chi entra in tribuna centrale. Alla presentazione della statua arrivarono nientemeno che Geoff Hurst e Hans Tilkowski, l’attaccante inglese e il portiere tedesco, protagonisti dell’episodio del ’66, a  chiudere una polemica durata più di quarant’anni.


Bibliografia

Mario Alessandro Curletto, Romano Lupi, Jašin. Vita di un portiere, Il Melangolo, Genova 2014.

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Simone Tallone
“Come tutti i bambini, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo: durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese. Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: «Una bella giocata, per l’amor di Dio».” – Ahimè, fossero parole mie! Eduardo Galeano parla per me!

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