La Grammatica del Bianco

“Le sei e quindici. Quattro minuti fa, una palla è finita dentro la rete chiudendo la partita. Non è una cosa buona, questo non è calcio. Una palla dentro una rete è un errore, e nel tennis un errore è crudele perché si finisce per pensarci, e pensarci, e pensarci. Come quando la maestra mi chiama alla lavagna per le moltiplicazioni a tre cifre e le tabelline spariscono all’improvviso dalla testa. Puf. Cosi”

Mi aggiro curioso nella mia libreria preferita. Guardo, sfoglio, tocco e sento l’odore dei libri nuovi ed è una sensazione che mi piace da impazzire. Poi vedo una copertina interessante, per me che sono un amante (e modesto praticante) del tennis: uno sfondo blu/verde con in primo piano una grande palla, gialla fosforescente. Prendo il libro tra le mani, leggo qualche pagina. Lo compro all’istante. Si tratta de “La Grammatica del Bianco” di Angelo Carotenuto edito da Rizzoli.

E’ una storia di tennis, ma non solo. E’ il racconto di una partita epica, ma c’è di più. E’ la finale di Wimbledon del 1980 raccontata attraverso gli occhi di un ragazzino, Warren Favella, che fa il raccattapalle a bordocampo. E’ la storia di questo ragazzino e della sua crescita. Che procede insieme, e anche grazie, alle storie di Borg e McEnroe.

«L’idea di scrivere questo romanzo mi è venuta perché da molto tempo stavo pensando al personaggio di Warren Favella. Un ragazzino particolare, unico nel suo genere e con molte problematiche. Un padre sconosciuto, un carattere da lupo solitario o meglio da topo di biblioteca, un ragazzino che a 11 anni preferisce stare da solo, piuttosto che giocare a calcio con gli amici» esordisce così l’autore Angelo Carotenuto e prosegue «sentivo il bisogno e il desiderio di raccontare la storia di Warren, che è una micro-storia, ma avevo la necessità di inserirla in una macro-storia di portata epica. E allora quale migliore evento della finale di Wimbledon del 5 luglio 1980? Ci sono due ragioni, la prima è che lo sport è un meraviglioso contenitore da esplorare e da scoprire e con il quale si possono raccontare storie fantastiche come quella di Warren; la seconda è che la finale fu un evento generazionale per noi ragazzini allora quindicenni. Tutti eravamo davanti alla tv a vedere Borg contro McEnroe nel tempio del tennis: che altro c’era da fare in quel pomeriggio di luglio?» Ed è proprio questo inserire una storia di un personaggio comune in un contesto planetario, il primo break point a favore di questo romanzo. Costruire una storia piccola piccola e inserirla in una cornice molto grande: il risultato è una trama avvincente nella quale le problematiche di Warren emergono, quasi con maggior forza, rispetto al racconto del match. Carotenuto è un fiume in piena e io, con la penna in mano, faccio fatica a stargli dietro: «all’estero non ci sono pregiudizi nel mescolare lo sport alla narrativa, in Italia esistono resistenze maggiori, ci sono libri magnifici costruiti su uno spunto sportivo o con una cornice sportiva. Su tutti penso a Underworld di DeLillo. Nel mio libro volevo far emergere che la solitudine di Warren è la stessa che vive il tennista sul campo, quando si trova solo con se stesso e non può rifiutarsi di giocare ogni singolo punto della partita. Così è Warren, che deve affrontare le sue paure, i suoi timori di ragazzino senza padre, la sua età di transizione. Ed imparare a vincere. Il percorso di crescita di Warren si completa definitivamente il giorno della finale di Wimbledon. Questo ragazzino matura grazie all’esperienza vissuta sui campi del torneo come raccattapalle, dopo un percorso lungo ed estenuante, che lo porta non solo a conoscere meglio il tennis ma anche, e soprattutto se stesso. In questo senso il romanzo è anche un romanzo di formazione adolescenziale.» Warren Favella cresce e diventa grande: guardando le partite di tennis da vicino apprende che il dialogo, che lui tanto rifugge, è proprio come una partita di tennis. Il ritmo delle palline sul campo non segna solo la scansione del gioco ma è un metronomo della mente di Warren: una storia in cui lo sport veicola un viaggio interiore.

L’autore poi mi racconta il retroscena, il backstage del libro «ho rivisto il dvd della partita fotogramma per fotogramma perché volevo cogliere ogni singolo dettaglio e dilatarlo, proprio come fa Warren che è attentissimo a tutto e oltremodo curioso. Riguardando la partita tante volte l’ho vista sempre diversa: Borg è solido, gioca da fondocampo, gioca sulle righe, gioca il rovescio a due mani considerato inelegante a quei tempi. Inoltre Borg porta nel mondo del tennis qualcosa in più, perche l’Orso svedese fa urlare le ragazzine a bordocampo, è un autentico fenomeno di massa, è il Beatles del tennis. McEnroe, invece, fa del serve and volley la sua arma letale. Serve e viene a rete per giocare di volo. John è tennisticamente rivoluzionario nel carattere, quasi indisponente con gli arbitri, ostile e bizzarro. Insomma due opposti che si sfidano. E Borg cambia il suo modo di giocare. E’ lì che ho visto una partita diversa. Documentandomi ho scoperto che l’estate del 1980 fu una delle più piovose degli ultimi 101 anni su Galles ed Inghilterra e che, a causa dei campi resi umidi dalla pioggia caduta, il gioco da fondo di Borg sarebbe stato poco efficace. E allora lui che fa? Viene tantissimo a rete, cosa inusuale per lui, cambia il suo gioco perchè un campione è più forte anche del meteo» Questa parentesi tecnica ci porta alla conclusione della telefonata ed io, con la mano in preda ai crampi, pongo le ultime domande all’autore, che così mi risponde «Compaiono tre figure femminili nel romanzo: la madre di Warren, iperprotettiva, ansiosa, è un omaggio che ho voluto fare a tutte le donne che si trovano da sole a crescere dei figli; Micol, la bibliotecaria, è per Warren il fascino, non passionale e carnale, ma il fascino rappresentato dai libri; Ginny è probabilmente più di un’amichetta, è la tenerezza innocente, ma Warren non lo riconosce e non lo capisce». Ci congediamo parlando di tennis da amanti di Federer «il tennis di oggi è bellissimo, ed è in un gran momento, una nuova età dell’oro perché Djokovic, Nadal e Federer hanno raggiunto e molto probabilmente superato il livello del tennis di Borg, McEnroe e Connors». Concordiamo sul fatto che un paragone è anche difficile da poter fare data l’evoluzione del gioco e dei materiali e, come diceva Pasolini ne “Le vittorie di Merckx sono scandali”, articolo pubblicato sul Tempo nel 1969 sull’importanza dell’ora c’è, “la cosa che dobbiamo chiederci è: non è questione se Merckx sia più o meno grande di Coppi! Il fatto è che ora c’è Merckx, una volta c’era Coppi”.

“Ogni colore nella sua unicità esclude gli altri. Il bianco no, il bianco è quel che è. Bianchi sono gli spazi fra le righe dei libri, dove infilo la mia immaginazione. Bianca è la libertà delle nuvole, nel loro moto incessante. Ogni colore contiene un limite. Il bianco no, non vive di interpretazioni. Immaginate un mondo così, un mondo retto dalla grammatica del bianco”

In questo video potete vedere i momenti salienti del tie-break del quarto set. Se guardate bene i raccattapalle, forse, potrete scorgere Warren Favella…

 

 

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Francesco Salvi
Da 35 anni appassionato di gesta sportive a 360°, fin da bambino ho praticato diversi sport, ma con scarsi risultati: calcio a livello agonistico, tennis, sci e l’odiatissimo nuoto. Il mio sangue è al 50% genovese, al 10% marchigiano e al 40% sampdoriano. Ho un debole per il divano di casa mia dal quale seguo indifferentemente qualsiasi competizione sportiva venga trasmessa in tv. Anche perché dal divano: “questo lo facevo anch’ io”. Sportivamente vorrei possedere: l’eleganza di Federer, la follia geniale di Maradona, il fisico di Parisse, la potenza di Tomba, l’agilità di Pantani, il romanticismo di Baggio e la classe di Mancini. Ma è impossibile, quindi rimango seduto.
Francesco Salvi

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