Anyone But England. Ninety-minute patriots in Scozia

Celtic Glasgow – Dundee United, 16 agosto 2014. E’ il 18esimo minuto quando dalle gradinate del tifo biancoverde si alzano cartelli che campeggiano la scritta YES. Il minuto 18, un riferimento non casuale.
Stessa Glasgow ma scenario opposto (protestante e lealista). All’Ibrox Stadium dei Rangers, i supporter dei Teddy Bears fanno calare, affiancate, la Union Jack e la Croce di San Giorgio e una scritta che lascia poco all’interpretazione: 18-09-14: Vote NO.

Should Scotland be an independent country? (preferita alla tendenziosa Do you agree that Scotland should be an independent country?) E’ questa la domanda a cui i tifosi e gli oltre 4 milioni di scozzesi dovranno rispondere. Una risposta che prevede una separazione, quella scozzese, dalla Gran Bretagna. E dagli inglesi. Dal punto di vista calcistico, la riproposizione dell’eterna e più antica sfida internazionale che si aprì il 30 novembre 1872 con un pareggio a reti inviolate: l’unico risultato non possibile nella giornata di oggi. Nell’arco di più di un secolo, la rivalità è sempre stata molto sentita ed è maturata, in questi ultimi anni, in una particolare forma di Scottishness: ABE, ovvero Anyone but England. Una frase che ha fatto arrabbiare molto gli inglesi e che, per farla breve, significa: io sto con qualsiasi squadra che gioca contro la nazionale inglese. Una mania iniziata coi Mondiali di calcio sudafricani e che ha invaso negozi, strade e media con magliette ABE  in tessuto Tartan e cori in favore di USA, Algeria e Slovenia, avversarie dell’Inghilterra nel girone eliminatorio.

Un inebriante mix di rivalità intorno a sport, politica, colonialismo e nazionalismo, che da parte britannica è stato interpretato come un’operazione di marketing per lanciare aziende, come le t-shirt di Slanj, la Scottish Television e centri commerciali di Edimburgo (che promuovevano concorsi Anywhere But England Please!, mettendo in palio viaggi nella nazione vincitrice della competizione calcistica). Ma da cui, molto più seriamente, alcuni ricercatori sono partiti per spiegare un rinnovato sentimento anti-English derivante da quella che è stata definita Underdog mentality-style, letteralmente “perdente in partenza”: una sensazione di inferiorità causata da un vicino “ingombrante” o, in termini sportivi, più blasonato (la nazionale scozzese non si qualifica ai mondiali dal 1998 e agli Europei dal 1996). Un sentimento che facilmente sconfina nell’ambito sportivo, passando alle rivendicazioni relative alla distribuzione della ricchezza, delle risorse e al controllo politico (nonostante la devolution di Blair della fine degli anni ‘90).
Le nazioni, in quanto “comunità immaginate”, per sviluppare un senso di appartenenza hanno bisogno di agganci reali, come i confini, una lingua, strutture politiche, cultura. In questo quadro lo sport – per natura fisica, non verbale e contenitore di emozioni individuali e collettive – risulta essere un simbolo identitario molto forte (che permette in più di passare sopra a divisioni interne di tipo socio-economico, regionale o religioso). Famosa è la citazione dello storico Eric Hobsbawm: “Le comunità immaginate di milioni sembrano più reali in una squadra di undici persone. L’individuo, anche quello che fa solamente il tifo, diventa un simbolo della nazione stessa”.
A cui bisogna aggiungere che lo sport, soprattutto quello di squadra, facilita il riconoscimento dell’
altro, da cui differenziarsi per identificare meglio noi stessi.

La stessa selezione olimpica britannica, che dovrebbe legare insieme atleti nord irlandesi, inglesi, scozzesi e gallesi sotto l’Union Jack, non è riuscita nel suo intento: la selezione calcistica dei giochi di Londra 2012, non ha visto al suo interno giocatori originari né della Scozia né dell’Irlanda.

Bisogna infine aggiungere che negli ultimi anni, in parallelo, anche un sentimento di Englishness, autonomo dalla Britishness, ha raggiunto la ribalta sportiva con l’utilizzo dell’inno jerusalem, al posto di God save the Queen, nella premiazione degli atleti inglesi ai giochi del Commonwealth (per gli atleti scozzesi invece vengono suonate Flower of Scotland o Scotland the brave) e con la prevalenza di bandiere Inglesi rispetto all’Union Jack in sport come il calcio o cricket.
Comunque, meno di una giornata ci separa dal verdetto delle urne. Dal punto di vista sportivo, domani all’alba sapremo se aspettarci una squadra in più alle prossime olimpiadi.

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Simone Tallone
“Come tutti i bambini, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo: durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese. Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: «Una bella giocata, per l’amor di Dio».” – Ahimè, fossero parole mie! Eduardo Galeano parla per me!

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