La solitudine del numero 1

I vetri appannati, l’umido dentro e le urla fuori: quando Chris Froome ha strisciato il gomito sul tessuto del sedile e lo ha sporcato di sangue non ha provato dolore, non ha pensato alla vittoria che se ne andava, al lavoro fatto in quasi nove mesi di preparazione o ai milioni di euro che non percepirà: Chris Froome ha respirato, ha realizzato che era finita e si è liberato.

Chris Froome ha vestito il dorsale n1 destinato al campione uscente

Ci sono cose che a volte proprio non si ha voglia di fare, perché entrano nella testa e si insinuano come tarli, terrorizzano. Senti freddo ai piedi ed alle mani, lo stomaco chiuso. Un impiegato non può non andare a lavorare ma un campione può fermarsi, per questo gli impiegati invidiano i campioni. Per questo tutti invidiano i campioni, senza sapere il peso che si accollano, senza conoscere le conseguenze che subisce chi si ferma e dice basta.

Froome immediatamente dopo la caduta che lo ha estromesso dal Tour: il polso sinistro era infortunato da due giorni.

Chris Froome il pavé non lo voleva fare e chissà quante volte si è svegliato nella notte con l’incubo delle pietre sotto le ruote, chissà quanto ha sofferto quando durante le ricognizioni ha capito che avrebbe sofferto come una cane, perso minuti e con i minuti il successo e la vittoria: lo sapeva ed ha dovuto ostentare sicurezza per mesi e mesi. Ha dovuto convincersene tanto da ripeterlo in maniera verosimile in chissà quante interviste, tanto da crederci quasi pure lui. Puoi mentire a tutti ma a te stesso proprio no, tanto nella vita quanto in bici. Il campione lo sa.

Il tarlo ti mangia da dentro e difficilmente lo fermi, tanto più se fingi di ignorarlo: Chris lo sapeva ma non ha potuto farci niente. Se il terrore ce lo hai addosso in qualche modo viene fuori: una caduta, due cadute, tre cadute e il Tour non era ancora iniziato. I carichi di lavoro hanno portato il mal di schiena e minato la serenità: ma come si fa a dire di no al destino, come si fa ad evitare il pavé?

Ci ha pensato la fortuna, che ha minato il fisico di Froome già dalla primavera, lo ha indebolito con la caduta di ieri e distrutto con la caduta di oggi: il pavé non lo ha visto nemmeno, si è rintanato in ammiraglia, ferito e sconfitto agli occhi di tutti. Non si è nemmeno tolto il casco, i dettagli ora non contano più: basta interviste, basta pressioni, basta persone intorno. Una solitudine dolce e liberatoria porta via il numero 1 e nessuno può immaginare il suo sollievo.

La caduta della quarta tappa ha messo a dura prova il fisico del vincitore uscente.

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Davide Podesta
Nell’agosto 1997 ho acceso la tv ed invece dei cartoni ho trovato la Classica di San Sebastian. Da quel giorno è stato solo ciclismo, pedalato, gareggiato e raccontato ma soprattutto vissuto. Per me non è metafora di vita, è l’essenza: un amore incondizionato e puro, critico e consapevole ma neppur minimamente deteriorabile. Se leggo la Gazzetta in un bar lascio aperta la pagina del ciclismo affinché qualcuno la legga, se la discussione finisce sull’argomento state certi che metterò il cuore sul tavolo. Trasgredisco solo per le Olimpiadi, sia estive che invernali e detesto ogni critica che non sia costruttiva, soprattutto quelle di chi non accetta il passare degli anni. Suoi e degli altri.
Davide Podesta

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