La viva luce del tennis classico

La spiegazione metafisica è che Roger Federer è uno di quei rari atleti preternaturali che sembrano essere esenti, almeno in parte, da certe leggi fisiche. Validi equivalenti sono Michael Jordan, che non solo saltava a un’altezza sovraumana ma restava a mezz’aria un paio di istanti in più di quelli consentiti dalla gravità, e Muhammad Ali, che sapeva davvero «aleggiare» sul ring e sferrare due o tre jam nel tempo richiesto da uno solo. Dal 1960 in qua ci saranno altri cinque o sei esempi. E Federer rientra nel novero: nel novero di quelli che si potrebbero definire geni, mutanti o avatar. Come Ali, Jordan, Maradona e Gretzky, pare allo stesso tempo più e meno concreto dei suoi avversari. Specie nel completo tutto bianco che Wimbledon ancora si diverte impunemente a imporre, sembra quello che (secondo me) potrebbe benissimo essere: una creatura con il corpo fatto sia di carne sia, in un certo senso, di luce

estratto dal libro: David Foster Wallace, Il tennis come esperienza religiosa.

Tempo fa mi ero ripromesso che non avrei mai scritto un articolo su Roger Federer. Sarebbe stato banale, di parte, estremamente soggettivo e, soprattutto, potevo correre il rischio di farlo diventare un’agiografia. Poi, su GQ, mi è capitato di leggere l’articolo intitolato “Roger Federer, il falso mito del giocatore più forte della storia” e ho cambiato idea. Per diversi motivi, e anche perchè ieri gli ho visto perdere la finale di Wimbledon giocando un tennis romanticamente meraviglioso.

Per prima cosa, l’autore comincia mettendo in dubbio e confutando in maniera vaporosa un concetto sportivo molto semplice: la memoria. La frase “altre cifre raccontano una storia diversa, quella di un mito del giocatore più forte di sempre costruito su ricordi che sono sempre più sbiaditi” mi ha fatto rabbrividire. Mi sono fermato e l’ho riletta più volte. Ma come? Se andiamo a confutare e quasi a banalizzare il concetto di memoria storica applicata allo sport allora possiamo parlare solo di numeri, statistiche e di tutti quei comportamenti prettamente televisivi e mediatici che assumono alcuni giocatori per attirare l’attenzione e magari far vendere a Babolat, Adidas o chi per esse qualche maglietta o racchetta in più. Ma cercherò di spiegare meglio: Pier Paolo Pasolini, introdusse un concetto meravigliosamente semplice che eleva ad un livello superiore, la portata storica di un’ azione commessa da un atleta, la contestualizza e le conferisce memoria storica. Pasolini scrisse ne “Le Vittorie di Merckx sono scandali” , articolo pubblicato sul Tempo nel giugno del 1969, le seguenti parole: “non è questione di stabilire se Merckx sia più o meno grande di Coppi! Non sono mica due torte, Merckx e Coppi! Il fatto è che ora c’è Merckx: è lui l’esplosione di vitalità”. Quell’ora c’è contestualizza il gesto che, se straordinario, è destinato a diventare leggendario. L’ora c’è di Federer è stato il periodo 2003-2009: insomma sei anni non sono proprio equivalenti ad un torneo. Di cose straordinarie lo svizzero ne deve aver compiute parecchie. Ma l’espressione ora c’è, nella sua semplicità, mette a posto le cose anche in tutti gli altri sport: meglio Maradona o Messi? Indurain o Pantani? Thoeni o Tomba? Paragoni che non dovrebbero essere nemmeno fatti se non da studiosi di statistica. Le espressioni mediatiche celebrano l’exploit sportivo annunciando in generale la fine del mondo – il migliore di tutti i tempi – quindi è sempre più raro sentir dire il semplice, e più romantico, ora c’è.

Rod Laver, non uno qualunque, in un’ intervista ha dichiarato: “Federer gioca a tennis nel modo in cui il tennis deve essere giocato”. Lo svizzero gioca meglio a tennis, perché gioca meglio il tennis, lo ama. Eleva lo sport ad un livello superiore, quasi artistico. Federer è la risposta classica al tennis mediatico moderno: il suo atteggiamento è quasi antico, superato, quasi inattuale. Gioca senza ansimare né facendo smorfie o urla. La televisione ama i giocatori espressivi per la stessa ragione per cui ama le statistiche: è un modo di esorcizzare la violenza dello scontro. La sua classicità sta nel fatto che, Federer sa, che per appassionarsi ad un match di tennis, per amarlo, non occorre altro che lo spettacolo di una palla che si lancia e si riceve. Egli oppone dunque la sua immagine di grazia classica a quella dell’espressività moderna.

Se poi vogliamo leggermente approfondire il discorso tecnico (mai accennato nell’articolo che menzionavo all’inizio del pezzo: lì si parla solo di numeri e statistiche) vediamo che anche in questo caso Federer emerge in tutta la sua classicità, come detto in precedenza: gioca il dritto in Neutral Stance, è rimasto uno dei pochi, e lo varia continuamente come se fosse una sinfonia che cambia tonalità, ritmo e velocità repentinamente. Wallace lo definisce una scudisciata liquida. Il rovescio è giocato ad una mano, spesso in back, ma anche qui Roger tende a variare continuamente la profondità, la velocità e il taglio dei suoi colpi. A tal proposito segnalo un bellissimo articolo, apparso su Rivista 11, scritto da Fabio Severo. Il servizio è meraviglioso: i due piedi ancorati a terra gli permettono di spingere al massimo, e il piede destro non segue il sinistro, come fanno quasi tutti i tennisti. Ne risulta un movimento fluido, lineare, classicamente canoviano. Insomma Federer è il giocatore che maggiormente è legato ad un’idea classica di tennis, improntata sul gioco e sulla tecnica, sull’eleganza e sulle discese a rete (sempre più raro vederne fare nel circuito ATP). Non ha inventato niente, ma, proporre questo gioco oggi, significa essere consapevoli di avere doti straordinarie; non di essere un fenomeno tra i fenomeni, (sempre citando il pezzo di GQ) ma di essere un uomo che gioca un tennis classico meraviglioso e ci rende partecipi di questo, in un momento in cui tutti i giocatori moderni giocano molto sulla potenza e sulla tenuta fisica. Federer dimostra che la velocità e la potenza del gioco odierno sono lo scheletro di questo sport, ma non la carne. L’espressione classica del tennis di Federer è quasi una danza, una poesia piuttosto che uno sport. O meglio è uno sport che diventa forma d’arte. E’ la carne di questo sport.

Concludo con un’altra citazione di David Foster Wallace: “quasi tutti gli amanti del tennis che seguono il circuito maschile in televisione hanno avuto, negli ultimi anni, quello che si potrebbero definire «Momenti Federer». Certe volte, guardando il giovane svizzero giocare, spalanchi la bocca, strabuzzi gli occhi e ti lasci sfuggire versi che spingono tua moglie ad accorrere da un’altra stanza per controllare se stai bene. I Momenti sono tanto più intensi se un minimo di esperienza diretta del gioco ti permette di comprendere l’impossibilità di quello che gli hai appena visto fare”. Semifinale US Open 2009 (torneo poi vinto da Del Potro) Federer contro Djokovic. Il punteggio è 7/6 7/5 6/5 per lo svizzero; sta servendo il serbo sullo 0-30. Io credo che nessuno si sia mai procurato tre match point in questo modo. Anche perchè questo è un “momento Federer”.

A differenza del pezzo pubblicato su GQ, io riporto la mia bibliografia qui sotto. Credo che nessun filosofo e saggista si sia mai occupato di scrivere di tennis. Se non del signor Roger Federer:

  • David Foster Wallace, Il tennis come esperienza religiosa, Einaudi.
  • Andrè Scala, I silenzi di Federer, O barra O Edizioni.

 

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Francesco Salvi
Da 35 anni appassionato di gesta sportive a 360°, fin da bambino ho praticato diversi sport, ma con scarsi risultati: calcio a livello agonistico, tennis, sci e l’odiatissimo nuoto. Il mio sangue è al 50% genovese, al 10% marchigiano e al 40% sampdoriano. Ho un debole per il divano di casa mia dal quale seguo indifferentemente qualsiasi competizione sportiva venga trasmessa in tv. Anche perché dal divano: “questo lo facevo anch’ io”. Sportivamente vorrei possedere: l’eleganza di Federer, la follia geniale di Maradona, il fisico di Parisse, la potenza di Tomba, l’agilità di Pantani, il romanticismo di Baggio e la classe di Mancini. Ma è impossibile, quindi rimango seduto.
Francesco Salvi

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2 commenti

  1. fabius

    Bell’articolo, sul cui soggetto non posso aggiungere niente, ogni parola in più sarebbe sprecata.

    Un’unica pecca. La citazione finale di David F. Wallace si riferisce a un punto giocato nella degli US Open del 2005, contro Agassi (su YouTube si può trovarne il video). Il punto di cui viene aggiunta la descrizione a seguito della citazione (la semi contro Djokovic del 2009), il caro DFW non può averlo visto, almeno non in mezzo a noi, essendo morto un anno prima.

    • Francesco Salvi

      Ciao Fabio,
      grazie per i complimenti. La citazione di DFW è, come correttamente segnali, riferita al punto messo a segno da Roger all’inizio del quarto set della finale US Open 2005. A me però, consapevole del fatto che DFW sia morto nel 2008, piaceva di più il punto in tweener contro Djokovic. La scelta del video, comunque, trattandosi di Roger, non è stata semplice.

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