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The dark side of Sochi

Questo pezzo non parla di sport. Non voglio raccontare un episodio di epica sportiva e nemmeno celebrare la figura di un grande atleta. L’unico intento è semplicemente raccontare parte di ciò che sta intorno a un evento di primissimo livello quale un’olimpiade, da un punto di vista economico ma anche storico-geografico. Non è una critica ai giochi olimpici invernali in quanto tali, seppur non nascondo la mia personale preferenza per quelli estivi (non mi sento di prendermela col curling perchè alle olimpiadi estive è presente il badminton).
Non voglio nemmeno fare del facile perbenismo circa la scelta della nazione ospitante, in questo caso non certo “patria” dei diritti umani. So benissimo che tutto ha sempre funzionato secondo lo schema del “show must go on”, anche perchè si hanno precedenti anche peggiori di Sochi; basti pensare alle olimpiadi che avrebbero dovuto celebrare la grandezza nazista di Berlino del 1936 (per fortuna ci pensò un certo Jesse Owens a frantumare i sogni sportivi del reich) o ai mondiali di calcio argentini del 1978 in piena dittatura militare (la famigerata Esma, principale luogo di tortura e detenzione dei dissidenti politici sorgeva a pochi passi dallo stadio Monumental di Buenos Aires, dove la nazionale argentina sollevò la sua prima coppa del mondo). Credo però sia importante almeno evidenziare l’altro lato della medaglia, quello che in tv non si vede e che non ha nulla a che fare con lo sport in senso stretto ma che purtroppo lo influenza a causa degli interessi politico-economici che gli fanno da contraltare.


Tutto secondo me inizia da qui: un piccolo monumento commemorativo posto in una curva della strada che da Sochi si inerpica tra le imponenti montagne della catena del Caucaso fino a Krasnaya Polyana. E’ scritto in cirillico, e indica, a futura gloria, le gesta dell’armata zarista nell’anno 1864, anno in cui l’impero russo sconfisse definitivamente i fieri guerrieri circassi e pose le basi per il dominio sull’intero Caucaso. Da quel momento decine di migliaia di caucasici, dal Daghestan a Sochi, furono costretti ad attraversare il Mar Nero e approdarono in Turchia, all’epoca facente parte dell’impero Ottomano; queste popolazioni, oggi stabilite principalmente tra Turchia, Giordania, Siria e Israele ancora oggi ricordano il “genocidio circasso” nella data del 21 maggio.

Da questo dato si può partire per evidenziare alcune delle contraddizioni che hanno caratterizzato le appena concluse olimpiadi invernali di Sochi, le prime olimpiadi invernali organizzate in una città costiera caratterizzata da un clima mite, dove proliferano le piantagioni da te e che, per anni, ha rappresentato la “Florida” dell’impero zarista prima, e di quello sovietico dopo. Una città famosa per i sanatori e centri termali, che per decenni ha rappresentato la “terra promessa” dal punto di vista turistico per ogni onesto lavoratore sovietico. Il dato geografico è fondamentale per svariati motivi: climatici certo, ma soprattutto storici e geo-politici.

Si è infatti molto dibattuto sui giornali prima e durante lo svolgimento dei Giochi sulle giuste rivendicazioni contro le leggi omofobe dello Zar Putin, sulle deportazioni compiute ai danni degli oligarchi invisi al nuovo potere assoluto dell’accoppiata Putin-Medvedev, dei vari arresti ai danni degli attivisti dei diritti umani e delle violenze nei dintorni di Sochi subite dal gruppo rock antagonista delle Pussy Riot, picchiate e addirittura frustate da un gruppo di guardie di sicurezza cosacche, una formazione paramilitare utilizzata nel corso di queste olimpiadi a sostegno delle forze di polizia nella regione di Sochi. I cosacchi? Un nome che evoca tempi ancestrali, guerre combattute con armi ormai obsolete e attacchi di cavalleria, personaggi degni dei grandi romanzi degli scrittori russi dell’Ottocento. I cosacchi in realtà furono utilizzati e incorporati dallo Zar come guardie di frontiera fin dal Settecento nella spinta dell’impero russo verso sud, e quindi verso il Caucaso, regione che, al tempo stesso, subì per molti secoli l’influenza culturale e religiosa del limitrofo impero ottomano.

Il Caucaso ha sempre rappresentato per la Russia, un territorio difficile da controllare, sia per la morfologia del luogo (una catena di aspre montagne lunga più di mille km dove sorge la vetta più elevata d’Europa, il monte Elbrus di 5642 m), sia per la varietà di diverse etnie presenti – solo il caucaso del nord è patria di 50 nazionalità diverse, in alcuni casi gruppi etnici di poche migliaia di persone. Tuttavia si tratta di un territorio non molto grande geograficamente, che si può attraversare sull’autostrada Transcaucasia M29 in una giornata da ovest a est passando per piccole repubbliche della Federazione Russa quali Karachay-Circassia, Kabardino-Balkaria, Ossezia del nord, Inguscezia, Cecenia e Daghestan, per giungere fino al mar Caspio.

I nomi di alcune di queste repubbliche saranno familiari al lettore, nomi che evocano territori aspri di contrasti etnico religiosi nei confronti della “madre-patria” Russia nonchè quartier generali di guerriglieri, terroristi e fondamentalisti islamici. Non voglio dilungarmi sulle cause delle due guerre che hanno insanguinato e portato all’anno zero la Cecenia e nemmeno dell’orrore degli attacchi terroristici di Beslan in Ossezia del nord, però credo sia importante tenere presente che queste due località sorgono a qualche centinaio di km da Sochi.
Ma allora perchè Putin ha scelto una regione così turbolenta e insicura per mettersi in mostra davanti agli occhi del mondo intero, una zona di conflitto naturale poichè montagnosa e di difficile controllo, paragonabile ai Balcani per diverse ragioni?
Sicuramente per ragioni economiche: nel 2007, quando Sochi fu scelta dal Cio come sede dei giochi olimpici, Putin affermò che la spesa preventivata sarebbe stata all’incirca di 12 miliardi di dollari. Il costo finale del giochi ha superato i 50 miliardi di dollari, una differenza abissale, una somma che ha superato di gran lunga persino le olimpiadi estive di Pechino del 2008, pur essendo le olimpiadi invernali una manifestazione con un numero inferiore di atleti, competizioni e discipline.
Il progetto più costoso ha riguardato la strada che collega Sochi con la sede delle competizioni sciistiche degli impianti di Rosa Khutor, la già citata Krasnaya Polyana. La strada lunga 48 km è costata da sola circa 6 miliardi di euro, una cifra astronomica e irragionevole, se non si tiene in considerazione un fatto fondamentale: ferrovia e strada sono state costruite ex novo da una società guidata da Vladimir Yakunin, presidente delle Ferrovie Russe, sodale di Putin. Se si calcola che, tutte le precedenti olimpiadi invernali, statisticamente sono costate il doppio della somma preventivata inizialmente, si deduce che circa 26 miliardi dei 50 totali sono scomparsi chissà dove lungo il percorso.

Numeri di questo tipo non possono che far riflettere e stonano fortemente con la realtà economico-sociale delle regioni limitrofe a Sochi, ad esempio la città di Krasny Vostok in Karachay-Circassia dove lo stipendio medio si aggira sui 300 euro al mese e molti villaggi hanno a malapena servizi essenziali quali luce e gas.
Senza contare che a meno di 10 km dal luogo delle olimpiadi sorge il piccolo territorio dell’Abkhazia, facente parte della Georgia ma de facto indipendente al termine di conflitti sanguinosi iniziati nel 1993 (in parte fomentati proprio dalla Russia in funzione anti-georgiana) contro la madrepatria che l’hanno dissanguata finanziariamente e portata all’isolamento, anche a causa dell’espulsione massiva di tutti gli abitanti di origine georgiana. Un paradiso subtropicale ricco di piantagioni di tè e alberi di mandarino, dove tutti i membri dell’establishment sovietico possedevano una dacia (tra cui Stalin, Beria, Krusceev), riconosciuto come repubblica solo nel 2008 e solamente da Russia, Venezuela, Nicaragua e piccole isole quali Nauru. Le olimpiadi avrebbero dovuto aver un impatto positivo sul turismo di questo piccolo lembo di terra, ma purtroppo niente di tutto ciò è avvenuto. Le regioni limitrofe a Sochi non hanno beneficiato di pubblicità e di parte dei fondi destinati al turismo pre e post olimpico, anzi durante le manifestazioni olimpiche i posti di blocco si sono moltiplicati, rendendo invisibili i macroscopici problemi che attanagliano tutta l’area.

Il massiccio intervento delle forze di sicurezza, della polizia, dell’Fsb al fine di garantire la sicurezza dei giochi ha portato ad arresti preventivi, minaccie, espropriazioni giustificate dalla priorità dei giochi, insomma è stata messa a tacere ogni possibile voce di dissenso, senza contare che i corsi di alcuni fiumi sono stati deviati o inquinati e alcune stazioni sciistiche sono state costruite in vallate facenti parte del patrimonio dell’umanità Unesco.

Le olimpiadi appena concluse, svoltesi su un territorio in perenne conflitto, un territorio caro a poeti e scrittori quali Lermontov, Puskin, Tolstoj, che qui hanno ambientato epici romanzi, avrebbero dovuto portare benefici all’intera regione, alimentarne il turismo, dare del Caucaso un’immagine diversa da quella comunemente circolante. Non credo siano riuscite nell’intento, non so nemmeno se verranno ricordate per particolari risultati sportivi; penso invece siano servite principalmente a Putin come strumento per dimostrare il suo potere, come suo progetto privato, lui che ne ha curato personalmente l’organizzazione e la costruzione, senza contare l’iper presenzialismo durante il loro svolgimento(devo dire di non aver seguito molto i giochi di Sochi ma in tutte le gare che che ho visto su Sky non mancava mai una inquadratura sul presidente presente in tribuna d’onore).

Avrei da scrivere pagine e pagine di racconti, testimonianze, storie riguardanti gli abitanti del pericoloso ma affascinantissimo Caucaso, però non voglio dilungarmi oltre: per questo vi vorrei segnalare un interessante sito sulla trasformazione di Sochi, che è sorto dal lavoro di un fotografo e di un film-maker che a più riprese si sono recati nella regione di Sochi in questi anni il cui titolo è “The Sochi Project.org”. So che potrebbe sembrare retorica ma in realtà è un pensiero condiviso da buona parte delle povere ma dignitosissime popolazioni di quell’area geografica, che da queste olimpiadi non hanno ricavato alcun beneficio, ed è stato espresso durante una intervista presente sul sito da un abitante della già citata Krasny-Vostok a proposito del costo astronomico delle olimpiadi: “Immagina se avessero diviso quei 50 miliardi di dollari tra tutti, all’interno della Federazione russa. Non sarebbe stato molto, ma sarebbe stato un inizio”.

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Non possiedo le conoscenze sportive a 360° dei miei “compagni di merende” ma mi difendo bene nel tiro alla fune e nel gioco del fazzoletto. Forse è per questo che mi hanno voluto nella creazione di questo blog, o forse, più semplicemente, quella sera erano ubriachi di birra artigianale. Ho scoperto alle ultime olimpiadi il beach volley femminile e ciò mi ha fatto riflettere, portandomi a considerare gli altri sport un contorno o poco più. Ho il Genoa nel sangue, solo che a volte ne ho troppo e finisce che mi sento male.

3 commenti

  1. Condivido in pieno, Putin ha usato le Olimpiadi come vetrina personale per farsi bello col mondo e devo ammettere che sia riuscito perfettamente nel suo intento. A Londra c’erano i mitra a vigilare, qui no, erano solo nascosti meglio. All’apparenza non è successo niente e tutto è filato liscio alla perfezione, almeno al grande pubblico così è sembrato. E’ stato il trionfo di Putin in mondovisione.
    Per gli impianti da sci nelle valli patrimonio dell’umanità non preoccuparti, fra un paio d’anni saranno smantellati e venduti al miglior offerente. Tutto il resto tanta, tantissima ruggine. E tantissimo materiale per i fotografi di EnglishRussia

  2. Pagina2cento

    Ti ringraziamo per il commento, ora che questa fasulla patina olimpica è scomparsa temo che torneremo a vedere il vero Putin con la questione ucraina

  3. LUCA

    Dietro a eventi importanti come questo esiste sempre una faccia della medaglia che nessuno vuole mai farti vedere xk aberrante!

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