Marco Pantani, un amore che continua ancora

Resistere. Resistere ad oltranza, oltre la fatica, oltre la salita, sfidando pendenze vertiginose per arrivare primo in vetta ed alleviare l’agonia. Lui andava così forte in salita proprio per questo: perché voleva abbreviare la sua agonia. Per far si che quello sforzo inumano finisse il prima possibile. Non è solo l’atleta che deve combattere la fatica, è l’uomo che deve lottare con se stesso, per spingersi oltre il limite, per vincere, tutti i giorni.
Ma non era solo una questione di velocità e vittoria, era anche un fattore estetico, che trascendeva dall’aspetto di Marco, non propriamente da Adone, ma che in bicicletta pareva l’etoile dell’Opera parigina. Danzava sinuoso, morbido, mani basse sul manubrio, saldamente ancorato alla bicicletta. Sempre in piedi, una pedalata dopo l’altra in un crescendo ritmico impressionante. Magari e apparentemente, rallentava un poco l’andatura, per qualche secondo, e poi via, un altro scatto, un’altra stilettata. E un altro scatto ancora. E ancora. Proprio come un ballerino quando fa una piroetta dietro l’altra, trasportato dalla musica. Marco scattava a ripetizione senza fermarsi mai e il suo teatro era la strada e la sua musica era il boato della gente. Marco era un tutt’uno con la bicicletta. Jovanotti, che divenne amico di Marco e che con lui fece qualche sgambata, dichiarò che Pantani non usava il fondello nei pantaloncini per sentirsi più tutt’uno con la bici.

Nel 1998 vinse sia il Giro d’Italia che il Tour de France, impresa riuscita solo a pochi campionissimi come: Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Stephen Roche e Miguel Indurain.

A me piaceva come andava in bicicletta, mi esaltava, mi trasportava. Ma riuscì a farmi innamorare definitivamente e senza dubbi il 30 maggio del 1999.
L’appuntamento con il Giro, grazie soprattutto a Pantani che catalizzava l’attenzione dei molti, era imperdibile. Interi pomeriggi trascorsi a casa a guardare le tappe invece che studiare. Queste le cabale per i 20 giorni di gara: televisore acceso sia in cucina che in salotto, per non perdere nemmeno un fotogramma di gara, presenza in frigorifero di almeno due bottiglie di Estathè al limone, pacchetto di sigarette pieno e, cosa fondamentale la cabala della merenda. Prima che la tappa entrasse nel vivo io dovevo fare merenda perché non dovevo andare in crisi di fame: pan toscano e formaggino spalmabile. Questi gli ingredienti. Sempre e solo quelli.

Il giro del 1999 dopo una prima parte “pedalabile”, eccezion fatta per gli arrivi di Monte Sirino e del Gran Sasso, dove Marco vinse la tappa e vestì per un giorno solo la maglia rosa, presentava maggiori insidie negli ultimi 9 giorni: tapponi di montagna, arrivi in salita e una lunga cronometro individuale, terreno ostico per Pantani. Il 30 maggio 1999 si corre la Racconigi-Santuario di Oropa (143 chilometri) con arrivo in salita. Non particolarmente duro in verità: 13 chilometri di ascesa, un dislivello di 757 metri e una pendenza media del 5.8%. Oggi Marco attaccherà e vincerà sicuramente, pensavo tra me e me. Finisco il panino e mi appresto a guardare il finale di tappa insieme ai miei compagni De Zan e Cassani, talvolta anche con Bulbarelli e Mazzocchi da moto1 e moto2. L’inizio di salita è dolce, affrontabile con il 53 davanti. La Mercatone Uno, squadra di Pantani, controlla l’andatura. Sigaretta ed Estathè. Mi iniziano a sudare le mani. Fa caldo, è fine maggio e sono teso come sempre. Marco oggi può fare una grande prestazione. A 10 chilometri dall’arrivo Petito e Rodrigues hanno qualche secondo di vantaggio sul gruppo. Appena iniziata la salita verso Oropa perde contatto il gigante svizzero Zulle. La Mercatone Uno va forte e tira davanti. Si stacca anche Bettini, il ritmo è serrato e la salita anche se non durissima fa selezione. Mi agito sempre più ad ogni metro. Improvvisamente le immagini dall’elicottero inquadrano il gruppo, e Pantani in maglia rosa che si defila a bordo strada e si ferma. Ha forato? Ha bucato la ruota posteriore? No ha avuto problemi con la catena. In realtà si seppe successivamente che Pantani non fu vittima di un salto di catena, ma a causa di un errore tecnico (abbastanza raro) la sua catena si incastrò fra il telaio e l’ultimo ingranaggio posteriore della ruota: errore dovuto al fatto che Pantani, utilizzando i moderni cambi con comando a manubrio ha azionato contemporaneamente sia il deragliatore anteriore che posteriore facendo perdere tensione all’improvviso alla catena che uscì dalla sua sede appunto.

Cazzo. Non ci potevo credere, crollai e sprofondai nel divano in preda ad uno sconforto incredibile fumando l’ennesima amara sigaretta e bestemmiando dentro di me, mentre il salotto si copriva di silenzio surreale. La macchina dell’assistenza Shimano aiuta Marco a ripartire ma tutto sembra volgere a suo sfavore. Nel frattempo i compagni gregari Velo e Borgheresi lo aspettano per riportarlo sul gruppo dei migliori. Mancano otto chilometri e mezzo al traguardo, anche gli altri compagni Podenzana, Garzelli e Zaina lo aspettano. Ma è dura. Bulbarelli da moto1 informa che i secondi persi sono circa 20, 25. La tappa è andata, bisogna solo sperare che limiti il danno e che davanti gli altri non vadano troppo forte. Fumo e bevo Estathè come un forsennato. Nel frattempo il gruppo dei migliori davanti ha aumentato l’andatura vedendo Pantani in difficoltà. Sconforto. Rabbia. A 7 chilometri dall’arrivo Miceli, Gotti e Jalabert tirano il gruppo dei fuoriclasse cercando di aumentare la velocità ma dietro succede una cosa mai vista prima: la Mercatone Uno organizza un treno ad alta velocità in salita. Sia Armstrong che il team Sky hanno poi utilizzato lo stesso schema di attacco ma a velocità molto più basse ed articolando l’azione su tre uomini negli anni a venire. Garzelli, Zaina, Borgheresi, Velo e Podenzana cercano di tirare al massimo per il loro capitano: Marco Pantani. Il treno è efficace e con il passare dei metri Pantani guadagna sul gruppo di testa ma perde uno alla volta i suoi gregari, stremati dalla fatica e dallo sforzo. Io sono in ansia totale. Fumo e urlo come se fossi lì sulla strada. Mia madre disperata e infastidita da quelle urla belluine esce di casa. La salita inizia a farsi dura. Improvvisamente c’è lo scatto di Heras, uno degli scalatori più attesi. Marco non è brillante, forse innervosito da ciò che è successo. Scattano anche Gotti e Jalabert e io mi affosso sempre più sul divano, solitario e incazzato nero: il “simpatico” Gotti e il Pantanì francese (come rosicavano quelli d’oltralpe, come ce lo invidiavano Marco)! Marco rimane con due soli uomini. Al comando Heras, con Gotti, Jalabert e Miceli che attaccano al massimo, galvanizzati dalle difficoltà di Marco. Solo Savoldelli, tra gli avversari aspetta Pantani. La salita ora si fa più dura, Marco ci prova con tutte le sue forze. Le mie urla preoccupano tutto il vicinato. Pantani, come poi gli capiterà in seguito nella vita, è rimasto solo. Senza compagni. Ora il destino è nelle sue gambe. A più di 3 chilometri e mezzo Jalabert cerca di allungare per andare a riprendere Heras, mentre dietro Pantani cerca disperatamente di recuperare. Io sono nervosissimo e fumo senza sosta. Heras davanti si è piantato e Jalabert lo raggiunge e lo sorpassa a velocità doppia: non può vincere Jalabert, lo odio. Dietro Gotti e Miceli staccati di una quindicina di metri. Pantani sembra risucchiato dalla risacca. Perso nel bosco di Oropa.

E invece no. Parte, parte per andare a riprendersi gli avversari. Nel momento in cui la salita presenta le pendenze maggiori. Mani basse sul manubrio e le gambe che ruotano come le pale di un mulino. Pantani riprende in un amen Gotti e Miceli, e li passa a velocità tripla. Il tripudio e le urla sono incontenibili come lo è Pantani. Jalabert è lì adesso a pochi metri, Marco lo sa, lo vede, mette il turbo lo supera ed è davanti. Si volta un secondo, lo guarda e gli scatta in faccia. Come a dire: grazie, ci avete provato ma io sono più forte di tutti e di tutto. A 2 chilometri e mezzo dal traguardo tutto si è ribaltato: Pantani ha 6 secondi di vantaggio su Jalabert, 16 su Miceli e 28 secondi sul gruppetto Gotti, Savoldelli, Simoni e Clavero. Distacchi inflitti nel giro di un chilometro: incredibile, mai visto niente di simile. Sudo e urlo sempre più e non riesco a controllare il numero di sigarette fumate. E poi ancora uno scatto, e un altro e un altro ancora, oramai nessuno può battere il pirata. Oropa da santuario si trasforma nel Maracanà, Pantani taglia il traguardo senza alzare le braccia perché non sapeva di aver vinto, pensava ci fosse ancora qualcuno davanti tanto era in trance agonistica. Io barcollo festante e crollo sul divano senza forze, spossato come se avessi vinto la tappa, come se avessi gettato via la bandana e fossi scattato per alleviare velocemente la mia sofferenza. E in quel momento guardando la classifica di una tappa memorabile e i distacchi inflitti agli avversari ho capito di essermi innamorato definitivamente di uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi: Marco Pantani.

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Francesco Salvi
Da 35 anni appassionato di gesta sportive a 360°, fin da bambino ho praticato diversi sport, ma con scarsi risultati: calcio a livello agonistico, tennis, sci e l’odiatissimo nuoto. Il mio sangue è al 50% genovese, al 10% marchigiano e al 40% sampdoriano. Ho un debole per il divano di casa mia dal quale seguo indifferentemente qualsiasi competizione sportiva venga trasmessa in tv. Anche perché dal divano: “questo lo facevo anch’ io”. Sportivamente vorrei possedere: l’eleganza di Federer, la follia geniale di Maradona, il fisico di Parisse, la potenza di Tomba, l’agilità di Pantani, il romanticismo di Baggio e la classe di Mancini. Ma è impossibile, quindi rimango seduto.
Francesco Salvi

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4 commenti

  1. luca

    bravissimo Fry, potresti fare il giornalista sportivo; hai scritto in maniera bella, avvincente e trascinante come la tappa che hai descritto.
    riguardo la cugina, che poi è mia moglie, non esagerare…..lo sai come dice quel detto: “non c’è cosa più divina……”….quindi occhio e stai bene attento…..

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