giubilini

91° Minuto

Quando la dialettica sul calcio sembrava ormai avviata all’alternanza tra chi lo considera oppio dei popoli e chi ne sottolinea il carattere nostalgico e identitario, ecco lì che arriva, spiazzante come un gol a tempo scaduto, 91° minuto di Giacomo Giubilini (Minimum Fax, 2016) a ristabilire la complessità di un mondo che diventa sfida intellettuale, interessante per tutto ciò che non è legato alla partita, alla tattica, alla biografia del singolo giocatore.

Il calcio diventa così storia di uomini, dei loro desideri e dei loro deliri, accomunati dall’esser parte di cambiamenti sociali e di costume, come l’evoluzione della figura del calciatore, la folle storia imprenditoriale di alcuni presidenti, o le nevrosi di un allenatore e il microcosmo di chi gioca a calcio da vent’anni nei parchi della propria città. Un luogo privilegiato in cui, alla pura gioia del godimento del gioco – scrive Giubilini – si sovrappongono pratiche di condizionamento sociale, di sperimentazione di tecniche di comunicazione e di vendita, novità politiche, allegorie e metafore di guerra ed eroismo.

Ne abbiamo parlato con l’autore.


Come nasce l’idea del libro? Perché il calcio, perché l’immaginario?

Il libro nasce dall’esigenza di raccontare il calcio non secondo i parametri dell’agiografia, della storia di eroi, del mito del calcio o come luogo di eterna perdizione e corruzione o come riscatto e salvezza, ma piuttosto come porta di accesso per cercare di capire e raccontare alcuni processi culturali, alcune epoche e la codifica di alcuni valori simbolici e quindi identitari che ci riguardano. Nella consapevolezza che l’Italia sia un luogo privilegiato dove strutturare questo tipo di racconto a cavallo tra narrativa e saggistica.

Il filo rosso del libro sembrerebbe essere il cambio di un’epoca, dalla fine degli anni Ottanta alla finanza creativa, attraverso vite e gesta di personaggi esemplari: da Berlusconi a Sacchi, da Boniperti a alla triade Geronzi-Tanzi-Cragnotti, non trascurando Gaucci, da Garrincha a Beckham. Come è avvenuta la scelta dei personaggi?

La prima cosa è stata operare una netta selezione. Il libro è il frutto di un’opera anche dolorosa di taglio. Intere storie previste e già scritte sono state eliminate dal libro stesso senza alcuna imposizione da parte della casa editrice ma come precisa scelta dell’autore. La scelta è stata fatta seguendo un filo rosso: raccontare dei personaggi a cavallo tra epoche diverse, degli ibridi sempre presi come casi esemplari di una mutazione antropologica e culturale.

Ce n’erano altri che avresti inserito ma non hanno trovato spazio nel libro?

Sì uno su tutti Maradona di cui avevo già scritto una trentina di pagine.

Nel libro inserisci un capitolo contraddistinto da un approccio più teorico sul rapporto tra calcio e televisione, economia e uno spazio “rinnovato” per questo sport, il cosiddetto stadio di proprietà. Nelle prime righe inviti il lettore a saltare questo capitolo. Perché sarebbe invece importante leggerlo?

Dà una panoramica non esaustiva ma sintetica e plausibile della complessità del tema. Una specie di invito ad approfondire ulteriormente. L’idea è quella di fornire  uno strumento concettuale e una bibliografia, una tassonomia di temi, un’apertura del libro su altri libri. Purtroppo mi sembrava appesantisse molto la dimensione narrativa del libro ma in realtà i pochi che hanno letto questa parte l’hanno apprezzata. E’ la parte peraltro che ha richiesto un lavoro di ricerca a volte estenuante. La letteratura sul calcio dal punto di vista sociologico è immensa e non è molto strutturata per temi.

L’ultima parte del libro lascia spazio al racconto, che trasforma questo libro in un saggio-non saggio. Il calcio viene preso nella sua parte più piacevole, quello giocato. Sta in questi racconti la salvezza e il motivo della popolarità del calcio?

Assolutamente sì. E sta in questi racconti il senso e il motivo per cui ho scritto un libro sul calcio.  Il calcio di strada come gioco interclassista è da preservare quasi come la scuola pubblica. Ha un valore aggregativo di crescita personale e incontro con gli altri ed è un esempio di gratuità del gioco e dell’incontro. W il calcio giocato nelle ville e nei parchi cittadini o nella rampa di un garage.

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Simone Tallone
“Come tutti i bambini, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo: durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese. Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: «Una bella giocata, per l’amor di Dio».” – Ahimè, fossero parole mie! Eduardo Galeano parla per me!

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