Castellane

Marsiglia, Torre Zidane

L’11 maggio scorso nella cite’ di la Castellane, distretto nord di Marsiglia, è stato raso al suolo l’edificio G, primo atto di una serie di opere di riqualificazione del quartiere. Qualche lancio di agenzia è arrivato anche in Italia, e non pochi lettori si sono lasciati scappare la battuta “sarà stato abbattuto a testate!”. Perché il palazzo in questione è quello dove il campione del mondo Zinedine Zidane ha vissuto fino all’età di 14 anni, il primo pubblico che dalle finestre allineate ha visto giocare l’enfant prodige.
Il destino calcistico ha fatto in modo che Zizou non indossasse mai la casacca bianco azzura del Marsiglia, ma quel palazzo è da sempre stato il legame del campione con la sua città: la Torre Zidane, appunto.

ImmagineLa cite’ de la Castellane nasce nel 1971 ed appare come un lotto di imponenti edifici in cemento armato che attualmente ospita circa 7000 persone. Da anni il quartiere è noto per l’alto tasso di criminalità e di disoccupazione, per il traffico di droga e per la difficoltà della polizia di riuscire a intervenire, dato che l’insieme dei palazzi ha le sembianze di un fortilizio col suo labirinto interno.
Al posto della Torre Zidane passerà un viale di 40 metri di larghezza che taglierà in due la cite’. La ricetta dell’amministrazione per una riqualificazione è agire sull’urbanistica.
Ma da quando esistono le città, gli amministratori non sono gli unici a decidere degli spazi. C’è infatti chi la città la ripensa continuamente, molto spesso non sa neanche di farlo.
Anche il giovane Zizou l’ha fatto, ma non lo direbbe mai.

Eppure, quando una panchina o la saracinesca di un garage diventano una porta, quando un albero può diventare un tuo compagno di squadra che blocca con la sua presenza l’intervento dell’avversario, quando sono un marciapiede e un muretto a delimitare un campo da gioco, si sta già agendo sull’urbanistica, dando un utilizzo non convenzionale agli oggetti, se consideriamo la funzione per cui sono stati creati.
E’ il potere del calcio di strada ed è, nel suo piccolo, un inconsapevole esperimento di psicogeografia. E può essere visto anche come il primo tentativo di andare contro la cultura dominante, un tentativo di riorganizzazione dello spazio urbano con un unico obiettivo: il divertimento.

Di tutte le norme del calcio “regolamentare” ne rimane soltanto una: non si può prendere la palla con le mani. Non c’è bisogno di un arbitro che te lo dica, è un tacito accordo che non si ritiene neanche di dover ricordare a inizio partita. Per il resto, non c’è un calendario a scandire gli incontri, non devi neanche trovare un campo a tutti i costi. Si gioca quando due o più persone hanno voglia di farlo, e il bello del calcio di strada è il nomadismo: perché non è detto che il posto dove si è soliti giocare sia libero. E’ possibile che talvolta un automobile sia d’ingombro, allora è d’obbligo trovare un altro posto, non per forza in piano e sgombro da altri ostacoli.
Differente dal calcio tradizionale è anche nella modalità, perché si può giocare a una o due porte, in quanti si vuole e pure in squadre con un differente numero di giocatori, e nel tempo di gioco, che non è definito: a decretare la fine delle sfide sono la stanchezza, il calare della sera, qualche madre che si sgola dalla finestra.

Certo, chi ha giocato a calcio ha sempre preso le distanze da quelle sfide disputate all’ombra dei palazzi. “Differente è chi pratica il calcio e chi gioca a pallone.
A unire i due mondi, quella strana alchimia che fa ricreare sul cemento quello che si appena visto in alta definizione (tecnicamente si chiamano numeri). Cosicché non è detto che un quartiere cambi solo con la costruzione di un nuovo stadio. Dietro alla composizione di due squadre sta lo sport, dietro alla sport il semplice divertimento. Alle volte basta solo questo a dar vita a una strada, a un quartiere.

Giocare

P.S. Il palazzo dove abito ha, alla base, dei portici. Bassi e con delle colonne più spesse di un centrale di mischia, affilate agli angoli come rasoi. Vi ho da sempre giocato a pallone: mettendo alla prova i listelli di plastica bianca che facevano da soffitto e facendo scendere mille volte l’inquilino del primo piano a cui probabilmente saltava la credenza ad ogni pallonata. Un giorno si è deciso di chiuderli con una recinzione e di proibire l’utilizzo del pallone anche nella piazzetta antistante.
Attualmente quei portici sono diventati deposito di rottami e avanzi di cantiere destinati all’abbandono. La piazzetta soffoca di macchine.
Capita, a volte, che lo spazio urbano non venga ripensato bene.

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Simone Tallone
“Come tutti i bambini, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo: durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese. Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: «Una bella giocata, per l’amor di Dio».” – Ahimè, fossero parole mie! Eduardo Galeano parla per me!

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