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Autistic Football Club

Il 23 gennaio 2016 è la data della prima amichevole ufficiale, allo stadio di Pomezia, ma l’idea balena già da tempo, da quando nel settembre 2015, in occasione della la giornata mondiale di consapevolezza all’autismo 2015, e di un triangolare che si sarebbe svolto al suo interno, la Cooperativa Sociale Giuliaparla, con il sostegno del Gruppo Asperger Lazio, dà il via all’esperienza Autistic Football Club. Da quel momento in avanti significherà allenamenti settimanali, partite, riunioni e soprattutto cene, che si mangia e si fa’ gruppo!
L’unicità del club è quello di non essere una squadra cosiddetta “integrata”. Riunisce, è vero, operatori, educatori e ragazzi con diagnosi di autismo, ma qui si gioca a calcio! Non ci sono regole particolari. L’unica è la collaborazione sul campo: si punta poco sull’individualità e un po’ più sul collettivo.
La squadra sta girando bene e l’eco del progetto è uscito dai confini romani e italiani, tanto che rappresentanti della squadra sono stati invitati a intervenire all’Autism Europe International Congress, in programma ad Edimburgo il 16, 17 e 18 settembre prossimo.
Ne abbiamo parlato con Peppe Levanto, centrocampista.

1) Com’è nata l’idea della squadra? Perché proprio il calcio, sport che richiede molto autocontrollo e poca ripetitività?

L’idea nasce in occasione del waad (giornata mondiale consapevolezza autistica) del 2015. In occasione del consueto triangolare di calcio ad 11 dell’iniziativa è stato chiesto a noi educatori di formare una squadra e partecipare. Ci è sembrato fin da subito in linea con l’iniziativa e interessante coinvolgere anche i ragazzi con autismo senza bisogno di supporto intensivo. L’idea ha funzionato e nei mesi seguenti gli stessi ragazzi continuavano a chiederci quando avremmo fatto un’altra partita. Il progetto è partito a settembre 2015, con la formazione della società. Abbiamo sempre pensato allo sport come un mezzo utile ed efficace per completare un percorso educativo (la parola riabilitativo in realtà ci piace pochissimo), che oltre all’aspetto fisico e motorio ha in sé una forte connotazione sociale e relazionale. Nello specifico il gioco del calcio ha in sé difficoltà importanti come, appunto, l’autocontrollo, la poca ripetitività, ma anche l’aspetto numerico del gruppo, la necessità di saper leggere e cogliere le intenzioni quanto dell’avversario che del compagno di squadra, insomma obiettivi importanti e stimolanti da sperimentare.

2) Come si arriva in squadra?

Buona parte degli educatori coinvolti nell’iniziativa provengono da una cooperativa di assistenti specialistici ed educatori che in maniera del tutto volontaria hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa. Per quel che concerne i ragazzi, non c’è stata una selezione e non necessariamente sono ragazzi seguiti all’interno di percorsi educativi della cooperativa. Grazie anche al supporto del gruppo asperger Lazio abbiamo pubblicizzato l’iniziativa e abbiamo ricevuto moltissime richieste di adesione.

3) A chi è aperta la squadra?

La squadra è aperta a ragazzi con diagnosi di autismo ad alto funzionamento ( ex sindrome di asperger) ragazzi cioè che non hanno bisogno di un supporto intensivo, per lavorare sul discorso dell’interazione sociale e sulla creazione di un gruppo di pari. Non c’è nessun limite di età, attualmente la nostra rosa va dai sedici ai quarantasei anni, e di sesso (abbiamo una folta rappresentanza di quote rosa!). Siamo però sempre lieti di ospitare e invitare ai nostri allenamenti chiunque fosse minimamente incuriosito dall’iniziativa.

4) Ci sono problemi di inserimento? Qual è il ruolo degli operatori?

Gli educatori coinvolti nell’iniziativa sono specializzati in strategie cognitivo comportamentali e comunicative, ed è chiaro che come obiettivo primario l’iniziativa ha lo scopo di dare un peso rilevante alle operazioni di scambio fra ragazzi con autismo e pari neurotipici. Lo sport è un ottimo pretesto, ovviamente, come lo sono tutti i momenti anche fuori dal campo, la cena dopo gli allenamenti, le riunioni organizzative.

5) Parliamo dal punto di vista delle famiglie e della loro vita quotidiana. Spesso un ragazzo autistico non è in grado di occupare il tempo libero in autonomia, mettendo i familiari nella situazione di essere sempre alla ricerca di un modo “costruttivo” per occuparlo. Qual è l’importanza di avere a disposizione un’attività “extra-scolastica” come la vostra?

Cercherò di non cadere nella vena polemica di quelle che sono le possibilità reali che un ragazzo adulto con autismo ha nella vita quotidiana. La scuola è infatti un contenitore che aiuta e supporta la famiglia, ma poi tutto è molto poco chiaro e indefinito. Sono dei ragazzi capaci, che hanno delle qualità e delle competenze che difficilmente vengono ascoltate e trovano spazio nella società. Il discorso lavorativo è davvero molto complicato e difficile e credo che sarebbe troppo lungo e dispersivo parlarne in questo contesto. Quelle che vengono definite attività extra sono delle occasioni qualitative (e non quantitative, ci tengo a sottolinearlo: non è una gara ad impiegare il più tempo possibile della giornata in attività di cui questi ragazzi hanno bisogno) dove poter creare una serie di relazioni sociali ed opportunità che poi hanno vita autonoma. I ragazzi si organizzano e si vedono fuori dal campo regolarmente, abbiamo degli eventi settimanali collaterali che sono diventati ormai appuntamenti fissi, e toccare questi risultati significa che in merito ad iniziative ed abilità sociali si sta facendo un ottimo lavoro che funge da modello anche fuori da questo progetto.

6) Quali sono i prossimi passi, una società sportiva?

Abbiamo appena costituito una società sportiva dilettantistica, assegnando le cariche sociali agli stessi ragazzi con il supporto degli educatori. Coinvolgerli anche negli aspetti burocratici e organizzativi ci sembrava di fondamentale importanza. Abbiamo un sogno, sfumato quest’anno per pochissimo, e cioè quello di iscrivere la squadra ad un regolamentare campionato di calcio ad 11 del CSI. Sensibilizzare e far conoscere questa realtà ci sembra una cosa buona e giusta. Attualmente siamo impegnati in varie amichevoli e mini tornei, veniamo da un buon secondo posto nel triangolare del waad 2016, e siamo impegnati molto anche sul fronte promozionale. Abbiamo realizzato un breve documentario dell’iniziativa in concorso a un festival e ci stiamo preparando per la giornata del calcio solidale a fine maggio. Inoltre stiamo valutando l’ipotesi di formare una squadra che coinvolga ragazzi dai sedici anni in giù sempre con il supporto dei pari neurotipici. Non sappiamo esattamente cosa di diverso rispetto alla situazione attuale capiterà, siamo però fortemente decisi a mantenere alta la motivazione e lo spirito che ci ha permesso finora di arrivare a questi risultati.

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Simone Tallone
“Come tutti i bambini, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo: durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese. Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: «Una bella giocata, per l’amor di Dio».” – Ahimè, fossero parole mie! Eduardo Galeano parla per me!

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