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Three Sided Football

Tre semplici regole: sul campo devono esserci tre squadre contemporaneamente, vince la squadra che concede meno goal, la palla deve essere rotonda. A cui se ne potrebbe aggiungere una quarta, non scritta: il campo da gioco è esagonale.

Stiamo parlando del Three sided football. E siamo in quella situazione in cui, come si dice, si ha un piede in due scarpe: ci troviamo tra sport e filosofia.

Chi per primo venne fuori con l’idea di un calcio a tre squadre fu l’artista situazionista danese Asger Jorn, che, nel 1964, lo usò come metafora per spiegare il suo concetto di trialettica. Jorn auspicava che l’uomo del terzo millennio dovesse abbandonare il modello comportamentale dialettico, nel quale prevalgono antagonismo e confronto fisico, per adottarne uno trialettico, che stimolasse il ricorso alla cooperazione e alla strategia. La questione era molto interessante e andava a scardinare la struttura classica della Polis aggiungendo, oltre allo spazio pubblico e privato, anche quello comune, e quindi forme di reciprocità, condivisione, vivere insieme e cooperazione sociale. Ma si potrebbe parlare anche di autogestione e arrivare fino all’autogoverno. Sfortunatamente nessuno capì quello che volesse dire, ed è per questo che decise di applicare la sua teoria al più famoso degli scontri dialettici: il calcio.

Con l’inserimento del campo di gioco esagonale, l’esperimento è un interessante esercizio di psicogeografia (il cambio del solito ambiente allena il soggetto all’apertura mentale) e, decostruisce, attraverso la terza squadra, la struttura bipolare del calcio convenzionale, il Noi contro Loro mediato da un arbitro. A quel punto non c’è più una squadra più forte e una più debole: due deboli potrebbero allearsi contro quella più forte e le alleanze potrebbero mutare (anzi, lo faranno sicuramente) nel corso della partita. In questa variante del calcio diventano fondamentali diplomazia, persuasione, abilità. E un pizzico di bluff!

I Luther Blissett, nella prima partita in Italia di 3sf, inserirono un ulteriore elemento: il calcio-mercato nel corso della partita. Così un giocatore stufo della strategia adottata dalla propria squadra poteva trattare per il cambio di casacca e passare in uno dei due campi avversari.

Nel riadattamento calcistico a rimanere escluso è l’arbitro (in un’ottica marxista di lotta di classe, visto come quell’elemento “neutrale” rappresentante dello Stato e dei media), dato che le squadre decidono democraticamente se è stato commesso un fallo.

Pensato da Jorn nel 1964, l’artista danese non vide mai la realizzazione del calcio a tre squadre e, dopo la sua morte, nel 1973, sembrò che questo sport fosse destinato all’oblio. Pare che squadre giovanili lo abbiano praticato a Watford nei primi anni ’80, ma non se ne trovano testimonianze. Sappiamo invece che trovò nuova vita nel 1993, con una partita organizzata dalla London Psychogeographical Association in occasione della Anarchist Winter School di Glasgow, grazie alla proposta di uno dei membri dell’associazione che in quel momento stava traducendo gli scritti di Jorn.

Nei mesi successivi il 3sf si diffuse in Europa attraverso gruppi situazionisti e anarchici. In Italia il collettivo Luther Blissett organizzò la prima partita nel 1995 nella piazza d’armi del Forte Prenestino a Roma, mentre a Bologna si industriarono per creare un Subbuteo a tre porte.

Nel frattempo il fenomeno è proseguito, e se a Londra 6 squadre s’incontrano nel quartiere di Deptford ogni prima domenica del mese, da settembre a giugno, per dar vita alla Luther Blissett League di 3sf, la proliferazione globale ha reso possibile, nel maggio 2014, la prima Coppa del Mondo di 3sf, disputata a Silkeborg, in Danimarca. Tre giorni di calcio filosofico che hanno visto la partecipazione di Danimarca, Francia, Germania, Polonia, Inghilterra e Lituania. Quest’ultima però, nell’ottica dello smarrimento volontario situazionista, in rappresentanza dell’Uruguay!

Museo Jorn Danimarca

Partita di Three Sided Football al Museo Jorn di Silkeborg

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Simone Tallone
“Come tutti i bambini, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte, mentre dormivo: durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese. Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: «Una bella giocata, per l’amor di Dio».” – Ahimè, fossero parole mie! Eduardo Galeano parla per me!

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