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La partita di Algeri

Il 15 aprile 1958 nove giocatori algerini abbandonarono la Francia e rispettivo campionato di calcio. Grazie ad un meticoloso piano segreto, studiato e preparato nei minimi particolari, approdarono dapprima in Svizzera, poi, transitando per Tunisi, giunsero ad Algeri. Una volta in patria, per volere del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), formarono la nazionale di calcio algerina. La fuga fu un chiaro segno di protesta, un gesto politico a supporto degli indipendentisti algerini, che dal 1954 erano in lotta per la sovranità del proprio paese contro l’esercito francese. La Francia, da parte sua, reagì in modo veemente, tanto da chiedere alla FIFA di espellere ogni nazionale che avesse giocato contro la squadra del FLN. In particolar modo venne mal sopportata la fuga di Rachid Mekhloufi e Mustafa Zitouni, che erano stati selezionati per partecipare agli imminenti mondiali in Svezia: il primo era un attaccante di talento che l’anno precedente aveva vinto il campionato con il St. Etienne, mentre il secondo era il perno della difesa di Monaco e nazionale. Entrambi, tra l’altro, erano stati convocati per giocare il 16 aprile a Parigi nell’amichevole contro la Svizzera. Fuggendo verso Tunisi decisero di sacrificare fama e fortuna calcistica a favore della lotta di liberazione nazionale.

Nonostante le due assenze, la Francia rimase comunque una grande squadra, un gruppo che poteva contare sulla presenza di giocatori come Raymond Kopa e Just Fontaine (che ancora oggi detiene il record di marcature in una singola edizione dei mondiali, 13 goal). In Svezia, però, il cammino di quella nazionale si fermò in semifinale contro il Brasile: 5-2 il risultato a favore dei verde-oro e tripletta del 17enne Pelè. In Francia molti si convinsero che con Mekhloufi e Zitouni in campo le cose sarebbero andate diversamente. Mekhloufi, che da Tunisi aveva seguito la partita alla radio, venne condannato a 10 anni di carcere per renitenza alla leva. E la sua defezione non fece che rimarcare l’unicità della situazione algerina rispetto al resto dell’impero francese: invasa nel 1830, l’Algeria era stata annessa come parte sovrana di Francia, uno status non dissimile a quello della Normandia o della Costa Azzurra.

Nel 1954, pertanto, un milione di cittadini europei viveva affianco a nove milioni di musulmani. E sebbene gli algerini fossero considerati cittadini di seconda fascia, lo sport divenne una delle poche vie attraverso cui ottenere il proprio riconoscimento. Alle Olimpiadi del 1928 ad Amsterdam, ad esempio, Boughera El-Ouafi vinse la maratona (unico oro francese nell’atletica leggera); nel 1936 Abdelkader Abbes fu il primo ciclista algerino a partecipare al Tour De France; tra il 1949 e 1950 Abder Ibrir giocò sei volte come portiere della nazionale; e nel 1956, infine, Alain Minoumi vinse l’oro nella maratona alle Olimpiadi di Melbourne.

In Algeria poi lo sport si unì ad un contesto sociale più ampio. Le partite tra le squadre dei colonizzatori e quelle musulmane, ad esempio, spesso si concludevano con violenze sul campo. Tra gli anni ’20 e ’30, infatti, il paese aveva assistito ad un’ enorme espansione delle squadre locali, che a gran voce chiedevano tutte la partecipazione al Campionato Nord Africano del 1927. Queste squadre, pian piano, divennero fondamentali per i giovani algerini, che in esse trovavano un mezzo di affermazione identitaria collettiva, da sempre negata dai colonizzatori. La popolazione algerina, tra l’altro, rimase estremamente nauseata dal trionfalismo con cui i francesi festeggiarono il centenario dell’occupazione nel 1930, una commemorazione che ribadiva in modo inequivocabile un solo concetto: la lealtà della popolazione musulmana, sottomessa alla missione civilizzatrice della Francia.

In questo contesto il calcio divenne lo strumento per sfidare il potere coloniale, un mezzo per esprimere il nazionalismo tramite nomi, simboli e bandiere. Il Mouloudia Club, per esempio, fondato nell’agosto 1921 nella casbah di Algeri, deve il proprio nome al Mouloud, la festività che celebra la nascita del profeta Maometto: i suoi colori sociali sono il rosso e il verde dell’Islam. Sospettosi che questi team diventassero un collettore di attività sovversive, i francesi compilavano rapporti regolari, in cui dettagliavano finanziatori e collegamenti politici delle singole squadre. Le autorità, infatti, non volevano che il calcio si organizzasse lungo criteri etnici e nel 1928 decisero che tutte le rose fossero composte da almeno tre giocatori europei (che diventarono 5 nel 1935). Come ovvio, queste costrizioni furono accolte malissimo dai tifosi e dalle squadre algerine, che cercarono di aggirare l’imposizione schierando elementi naturalizzati o ribadendo l’impossibilità di schierare giocatori europei: nulla più del calcio era fondamentale per la formazione del senso di appartenenza nazionale, uno strumento tramite cui conquistare spazio pubblico e imporre se stessi, anche fisicamente.

Questo tipo di nazionalismo sportivo rivelava altresì l’esigenza di forma e benessere fisico, condizioni necessarie per opporsi al potere e all’oppressione francese (idea che formò anche un’ intera generazione di indipendentisti algerini). Ahmed Ben Bella, ad esempio, uno dei leader del Fronte di Liberazione Nazionale e primo presidente dell’Algeria indipendente, era un grande appassionato di calcio. Nel 1936 si arruolò volontario nell’esercito perchè, come lo sport, anche il servizio militare era una delle poche vie di avanzamento sociale aperte agli algerini: venne assegnato a Marsiglia e nel ’39 giocò anche come centrocampista centrale nell’OM.

Rachid Mekhloufi

Rachid Mekhloufi

In realtà, l’FLN considerava il football un’arma nella battaglia contro il colonialismo anche prima della fuga dei nove. Nel maggio 1956, ad esempio, due squadre di Sidi Bel Abbes (città dell’Algeria nordoccidentale), una francese, Le Sporting Club de Bel-Abbes, e l’altra algerina, l’Union Sportive Musulmane de Bel Abbes, si sarebbero dovute contendere la finale della Coppa del Nord Africa. Nonostante la squalifica, però, le autorità calcistiche permisero al capitano francese Henri Calatayut di scendere in campo e gli algerini, come forma di protesta, si rifiutarono di disputare l’incontro. A quel punto il Fronte di Liberazione Nazionale approfittò della controversia, ordinando a tutti i club di ritirarsi dalla coppa e dal campionato, in modo da boicottare la prosecuzione di entrambe le competizioni.

Il calcio fece da contesto anche a 2 dei più noti avvenimenti terroristici del conflitto. Il 4 febbraio 1957, in un incontro valido per la Coppa di Francia, i dilettanti dello Sporting Club Universitaire d’El Biar, squadra di coloni algerini, sconfissero il Reims (che l’anno prima aveva disputato la finale di Coppa Campioni contro il Real Madrid); sei giorni dopo, durante la partita contro il Racing Universitaire Algerois, nello stadio di casa esplosero due bombe che causarono la morte di otto persone e dozzine di feriti. Il 26 maggio 1957, poi, in concomitanza con la finale di Parigi, un commando FLN assassinò Ali Chekkal, politico algerino filo-francese. In tale contesto, quindi, le defezioni di Mekhloufi e Zitouni rappresentarono un punto a favore del FLN: scegliendo di non giocare il Mondiale in Svezia, i due giocatori dimostravano che per loro l’Algeria non era francese. Non solo: decidendo di non indossare la maglia blue, rigettavano ogni possibile discorso di parità e integrazione razziale.

Raggiunti da altri esuli del campionato francese, Mekhloufi e Zitouni costituirono il nucleo originario della nazionale algerina. Nella prima partita annientarono per 8 a 0 la Tunisia, che era stata finalista ai Giochi Pan-Arabi di Beirut; poi toccarono il Medio Oriente, l’Asia, l’est-Europa (dove furono acclamati a gran voce); incontrarono Ho Chi Minh in Vietnam e Chou En-lai in China; a Casablanca sconfissero il Marocco per 5 a 1 ed infine vinsero anche contro Cecoslovacchia, Libia, Romania e Yugoslavia. Contemporaneamente, però, la guerra continuava. E nel maggio ’58, incapace di risolvere la crisi algerina, la Quarta Repubblica implose su sé stessa: deludendo le aspettative delle minoranze coloniche e dei sostenitori della linea dura, De Gaulle comprese che il momento di negoziare con l’FLN era oramai giunto. E nel luglio del 1962, dopo una lunga e sanguinosa guerra di decolonizzazione, l’Algeria ottenne la propria indipendenza. La nazionale del Fronte di Liberazione Nazionale diede un grande contributo a questa conquista e, secondo Ferhat Abbas, presidente del governo provvisorio algerino dal ’58, impresse addirittura un’accelerazione di 10 anni al movimento rivoluzionario. Nel ’62, Mekhloufi tornò al Saint Etienne e da subito venne applaudito: vi rimase per altre 6 stagioni, diventando capitano e vincendo tre campionati francesi (1964, 1967 e 1968). La finale di Coppa di Francia nel maggio ’68 fu la sua ultima partita: segnò due goal e portò la squadra alla vittoria contro il Bordeaux. La medaglia gli venne consegnata da De Gaulle in persona.

Dopo l’indipendenza, le squadre coloniche scomparvero, lasciando ai club locali la possibilità di organizzarsi in un campionato. Nel 1964, l’Algeria venne riconosciuta anche dalla FIFA, ma la nazionale non lasciò traccia di sé fino ai Mondiali dell’82 in Spagna, dove all’esordio sconfisse per 2-1 la Germania Ovest. L’avventura della spedizione nordafricana, tuttavia, si concluse tra le polemiche con il celeberrimo accordo tra tedeschi e austriaci, che “a braccetto” superarono il turno a scapito della nazionale bianco-verde. L’Algeria riuscì a qualificarsi anche a Messico ’86, ma si posizionò ultima nel girone con Brasile, Spagna e Irlanda del Nord. Quattro anni dopo, invece, conquistò la coppa d’Africa, battendo in finale la Nigeria allo stadio 5 luglio 1962 di Algeri.

Per il calcio algerino, infine, gli anni ’90 sono stati una decade di declino, con il paese investito da scandali e da una progressiva escalation di violenza tra esercito e guerriglia islamica. Ad oltre 50 anni dall’indipendenza, poi, i rapporti con la Francia rimangono ancora complicati. Zinedine Zidane, ad esempio, uno dei giocatori più forti degli ultimi 30 anni, nato a Marsiglia nel 1972 da genitori algerini, è stato protagonista nel trionfo francese ai mondiali del ’98, vittoria che molti algerini in realtà hanno percepito come propria. Il 6 ottobre 2001, ancora, la prima partita tra Algeria e Francia dopo la fine della guerra, soprannominata match della riconciliazione, si è conclusa in acrimonia: la Marsigliese fischiata e dopo 76 minuti, sul punteggio di 4-0 per i blues, giovani algerini, molti dei quali cittadini francesi provenienti dalle banlieu parigine, hanno invaso il campo causando la fine della partita.

Ancora oggi per le strade di Algeri si possono trovare fotografie della nazionale del Fronte di Liberazione Nazionale, immagini che evocano una storia calcistica gloriosa e patriottica.


Tratto da:

Patriot Games: Algeria’s Football Revolutionaries di Martin Evanswww.historytoday.com

Da leggere sul tema:

Dal diario di Rachid Mekhloufi. Il calciatore che giocò per la rivoluzione su Lacrime di Borghetti
La scelta di Mekhloufi su Julian Ross Sport Magazine
Mekhloufi and the FLN team su Al Jazeera

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Chi sono? cosa faccio? dove vado? A tutte queste domande rispondo con un bel silenzio. Diciamo che lo psicodramma è il mio terreno preferito, altrimenti che genoano sarei?! Mi piacciono i piani ben riusciti ed è per questo che opero sempre in direzione contraria. Insomma ho una predilezione per gli sconfitti, i secondi e quelli che si sbattono. Per farla breve, per i gregari. Ahimè sono un romantico e quando vinco mi sento a disagio. Per questo sono sempre all’opposizione. Ci sono 4 cose che mi mandano in visibilio: la frazione a farfalla di Pankratov, l’eleganza di uno stop di petto, il culo di Franziska van Almsick e i tackle di Paul Ince. Per il resto bevo birra.

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