varela_obdulio

Nel cuore del Maracanazo

Non è male l’inverno qui. Nella giornata giusta potresti fare anche un tuffo in mare. La mia Montevideo, però, non la cambierei per nulla al mondo. Quanto mi manca.
E’ già un mese che siamo via e per fortuna è quasi finita.
Il viaggio dall’albergo allo stadio è stato tranquillo. Qua sono tutti convinti di avere già la coppa in tasca.
Li ho visti con la maglia con su scritto campeao. Illusi.
Hanno due risultati a disposizione, ma contro di noi devono ancora giocare e se pensano di passeggiare si sbagliano.
Cabrones, anche noi la vogliamo questa coppa.

Lo spogliatoio si sta facendo sempre più opprimente, non vedo l’ora di giocarla questa partita.
Mancano più di due ore all’inizio. Ma cosa sta facendo Gambetta? Dorme.
Come cazzo si fa a dormire prima della partita più importante della tua vita?
Maspoli mi guarda e scrolla le spalle senza dire niente. Bravo Maspo, non c’è niente da dire.

Il mister ce l’ha spiegato per bene cosa fare, come metterli in difficoltà. Davanti siamo più veloci, se giochiamo di prima non ci prendono.
Adesso però tocca a me, sono il capitano e i miei ragazzi si aspettano che dica qualcosa.
Los de afuera son de palo. Non è vero, quelli là fuori esistono e fanno un gran casino. E’ impressionante.
Siamo nel mezzo del campo e l’arbitro sta per lanciare la monetina: palla o campo. Maspoli mi strizza l’occhio, ci siamo capiti. Il sorteggio è loro.

Zizinho è veramente forte, il più forte che ho visto.
Ma Gambetta non può farsi saltare così. Ci incrociamo per un attimo, non gli dico nulla, non c’è bisogno. Appena Zizinho tocca di nuovo la palla, Gambetta lo alza ad un metro da terra. Poi lo aiuta a tirarsi su.
Bisogna giocare così. Questi non vogliono solo vincere, vogliono stravincere. Attaccano e attaccano, ce lo aspettavamo.
Ma l’occasione migliore l’abbiamo avuta noi. Dannato palo.
L’arbitro fischia la fine del primo tempo.

Schiaffino ha passeggiato tutto il tempo. Nello spogliatoio mi passa accanto, non ci vedo, sono fuori, lo attacco al muro.
«Ti consideri un fenomeno, vero Pepe? Cosa aspetti a dimostrarlo?»
«Bueno.»
«Bueno? E’ tutto quello che sa dirmi?»
Per fortuna si ritorna in campo.

Ma non ci stanno un po’ zitti questi qua? E’ un ora che stanno facendo un casino infernale.
Come non detto. Merda. Friaca ha appena segnato e il frastuono triplica. Prendo la palla dalla rete e la porto a metà campo. Piano. Piano.
Sono indemoniati, mentre io me la prendo calma. Lasciamoli sfogare.
Vado dall’arbitro a protestare, ma cosa vuoi che capisca questo inglese. Mi guarda inebetito. E’ fuorigioco. Fuorigioco. Come si dice nella tua maledetta lingua? Mandatemi un interprete.
Ripartiamo con loro in vantaggio. Ma c’è ancora tutta la ripresa.

Bravo Pepe!
E’ servito appenderti al muro, bisognava toccarti l’orgoglio, smuoverlo un po’. Sotto l’incrocio, bueno!
Aveva ragione l’allenatore quando diceva che bisognava prenderli in velocità.
Siamo 1 a 1, vincono sempre loro, ma ora hanno paura. Ce l’hanno scritto in faccia.
Finalmente un po’ di silenzio. Ammutoliti, ma dura un attimo.
Hanno la bava alla bocca adesso.
Ma lo sapevo che Ghiggia se lo beveva prima o poi quel Bigode, molto più veloce.
E poi che astuzia, ha visto il portiere fare un passo verso il centro dell’area e l’ha fregato sul suo palo.
Quanto manca? Dieci minuti. Vamos!

Fischia, fischia la fine dannato inglese. Non mancherà molto, fischia la fine su. Un calcio d’angolo. No. Ancora. Stringiamo i denti.
Cosa fa Gambetta? Che cazzo fa? L’ha presa con le mani! Non ci credo!
«Cabron cos’hai fatto?»
«Obdulio, somos campeones!»
Ha fischiato, l’arbitro ha fischiato.
Ma come ha fatto Gambetta a sentirlo in questo macello?
Che silenzio adesso però. Quanta gente disperata. Quanti bambini in lacrime. Incredibile.
Siamo campioni.

Rimet mi si è avvicinato quasi di nascosto, sembrava vergognarsi. Mi ha dato la Coppa e non ha detto nemmeno una parola.
Adesso è piena di champagne e Gambetta la sta usando a mo’ di bicchiere. Loco.

Una passeggiata è proprio quello che ci vuole. In questo splendido inverno, è un piacere. Che giornata e che silenzio. In un mese qui, la sera non c’è mai stato questo silenzio.
Non parla nessuno ora. Guardo in faccia la gente, ma è assente. Gli occhi chissà dove fissano. E’ surreale.
Ci vuole una birra. Si, ci vuole una birra. Entriamo in un bar.
Ma che fa quel tizio appoggiato al bancone? Sta male? Piange, piange ininterrottamente. Si accorge della mia presenza, mi guarda e continua a piangere.
«E’ finito. E’ tutto finito. Il Brasile ha perso. Niente tornerà come prima.»

Oddio. Sono io la causa della disperazione di quest’uomo. Lo sa? Mi avrà riconosciuto? Non credo.
Che faccio? Non posso andarmene ora, lasciarlo qui a piangere appoggiato al bancone di un bar. La mano che gli ho appoggiato sulla spalla sembra averlo consolato, ma è stato solo un attimo.
«Due birre, una per me ed una per il mio amico. Grazie.»

Credevo che la vittoria della coppa mi avrebbe addolcito per tutta la vita. Invece sono qui a bere una birra che ha il sapore amaro della sconfitta.
Che gioco strano che è il futbol.

Credit Image: Leonardo Bustamante

The following two tabs change content below.
Piergiorgio Pace
Cresciuto a Genoa e olandesi su campetti di cemento, amo le storie di pallone che vivono soprattutto fuori dal campo, su Around the Football provo a raccontarle
Piergiorgio Pace

Ultimi post di Piergiorgio Pace (vedi tutti)

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>