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La battaglia di Isha

Isha Johansen è a capo della SLFA (Sierra Leone Football Association) ed è una delle due uniche presidenti donna nel mondo delle associazioni calcistiche. L’altra è Lydia Nsekera, presidente della Burundi Football Association. Ma in Sierra Leone, forse, è stata l’unica a capire, già nel aprile del 2014, quanto il pericolo dell’ebola fosse reale. Sudore, sangue e fluidi corporei in campo, grandi folle con scarsa igiene in tribuna: il calcio, le partite e soprattutto gli stadi avrebbero potuto essere il terreno ideale per la diffusione del virus e conseguente contagio tra sostenitori e giocatori. Ha dovuto combattere non poco per persuadere la politica del paese, ma alla fine il calcio è stato sospeso in tutta la Sierra Leone (agosto 2014). Da allora più di 3.100 persone sono morte a causa della malattia, tra cui due giocatori di Premier League. E senza partite, purtroppo, il campionato è ora allo sbando e la maggior parte dei club hanno smesso di pagare gli stipendi ai calciatori.

Con l’avanzamento del virus, anche la nazionale, guidata in questi mesi da Johnny McKinstry (nord-irlandese che ha fatto guadagnare posizioni alla Sierra Leone nel ranking FIFA) è stata fortemente danneggiata. Durante le qualificazioni alla Coppa d’Africa, per esempio, Le Seychelles hanno scelto di rinunciare alla qualificazione piuttosto che ospitare la Sierra Leone; e anche quando paesi come la Repubblica Democratica del Congo si sono offerti come sede per le partite casalinghe, la squadra è stata pesantemente offesa dagli spalti. Senza contare, poi, che molti giocatori avversari hanno spesso rifiutato di stringere la mano o di scambiare le magliette dopo la partita con i giocatori sierraleonesi. Tutto per timore del contagio, similmente al rifiuto del Marocco di ospitare all’ultimo minuto la manifestazione (e che alla nazionale di Rabat è costata la squalifica dalla Coppa). Alla fine la Sierra Leone si è posizionata ultima nel gruppo D, non qualificandosi per la fase finale in Guinea Equatoriale.

Cresciuta in una famiglia musulmana e sposata con un norvegese (da cui ha adottato il cognome), Isha ha vissuto tra la Sierra Leone e l’Inghilterra e maturata in una casa appassionata di calcio – suo padre è stato il co-fondatore dell’East End Lions FC – sin da bambina ha imparato ad amare il fùtbol. Dopo gli studi in Gran Bretagna, ha fondato l’ FC Johansen: un progetto per strappare i ragazzi dalla strada, aumentare il tasso di scolarizzazione e fornire loro infrastrutture per la pratica dello sport. Tramite il gioco, l’obiettivo continua ad essere quello di focalizzarsi sui giovani, fornire loro educazione e strumenti per affrontare la vita. Sia che intraprendano la carriera calcistica (anche oltroceano) o che restino in Sierra Leone per dedicarsi ad altre attività. L’FC Johansen oggi è cresciuto, è diventato un club di prima divisione ed è la dimostrazione di come un’esperienza di calcio giovanile possa cambiare vita ad una generazione la cui innocenza è stata rubata dalla guerra (dal 1991 al 2002 la Sierra Leone è stato teatro di una guerra civile che ha causato oltre 50 mila morti).

Nel 2013, Isha è diventata presidente della SLFA, sconfiggendo le candidature di Rodney Michaels (uomo d’affari) e di Mohamed Kallon, ex attaccante e vecchia conoscenza del calcio italiano. Un’elezione controversa che ha lasciato strascichi, soprattutto con Kallon. A dicembre 2014, poi, ha dovuto contrastare un tentativo di rovesciamento della sua leadership da parte di un gruppo che ha comunicato alla FIFA di averla sostituita alla presidenza. Con una lettera il segretario generale, Jérôme Valcke, ha rifiutato di riconoscere formalmente il nuovo corpo dirigente e Isha ricopre ancora la posizione per cui è stata regolarmente eletta. Ma gli strascichi della lotta di potere non hanno tardato a farsi sentire: boicottaggio del campionato, ritiro degli sponsor, accuse di partite truccate e, infine, l’addio di McKinstry, che ora lavora su ITV e commenta la Coppa d’Africa.

Attacchi che Isha ha dovuto affrontare a causa della “tolleranza zero” nei confronti della corruzione, ma anche al suo rifiuto di considerare il calcio in Sierra Leone come una mucca da mungere. Ma soprattutto perchè donna e in una posizione di potere. E’ stata chiamata prostituta e alcuni giornalisti l’hanno addirittura accusata di essere una vergogna per la femminilità. Aggressioni sessiste che oltre a certificare lo scontro in atto tra Ministero per lo Sport e il SLFA,  testimoniano come la Sierra Leone non sia ancora pronta ad accettare figure femminili in ruoli di leadership.

E non solo la Sierra Leone.
Purtroppo.


Credit Image: Isha Johansen – Facebook Offical Profile
Tratto daThe Guardian – Sierra Leone’s Isha Johansen blazes trail amid tragedy and infighting di Anna Kassel

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Chi sono? cosa faccio? dove vado? A tutte queste domande rispondo con un bel silenzio. Diciamo che lo psicodramma è il mio terreno preferito, altrimenti che genoano sarei?! Mi piacciono i piani ben riusciti ed è per questo che opero sempre in direzione contraria. Insomma ho una predilezione per gli sconfitti, i secondi e quelli che si sbattono. Per farla breve, per i gregari. Ahimè sono un romantico e quando vinco mi sento a disagio. Per questo sono sempre all’opposizione. Ci sono 4 cose che mi mandano in visibilio: la frazione a farfalla di Pankratov, l’eleganza di uno stop di petto, il culo di Franziska van Almsick e i tackle di Paul Ince. Per il resto bevo birra.

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