Religione Fiamminga

Sul palmo della mano sinistra ho una grossa vescica, di quelle che non puoi scoppiare sennò fanno ancora più male, mentre la schiena è tutta un dolore, come se avessi traslocato una casa intera da solo.

Il Giro delle Fiandre è la gara ciclistica più famosa e seguita del mondo, insieme alla Parigi Roubaix ed al Tour de France: le prime due hanno come comune denominatore il pavè, la terza va a cercarlo quando serve spettacolo. Pavè significa dolore, lancinante: ti dilania nel fisico con le gambe che tremano, le mani che stringono il manubrio fino a consumarsi e la schiena che si irrigidisce ad ogni pietra. La testa vola via, le vibrazioni sono troppo forti per essere lucidi e la vista si annebbia, il battito del cuore sparisce sovrastato dagli scossoni. Ho cercato una misura, un termine di paragone che possa spiegare quelle sensazioni così estreme e singolari ma non l’ho trovato: una scarica di pugni non rende l’idea della fatica ed una corsa a perdifiato non provoca quel dolore.

Mai presa l’uscita di Genova Est, quella in cui da quattro o cinque corsie si passa ad una? Visualizzatevi dentro a quell’imbuto, con le macchine accanto a voi che vi stringono, mettono il muso avanti per non farvi passare, i clacson che suonano e gli automobilisti che sbraitano. Fastidioso? Difficile? Ora immaginate di essere in bicicletta a 60 km l’ora, intorno a voi la stessa situazione, in mezzo ad altri duecento ciclisti impazienti di mettere le ruote davanti alle vostre. Non si può restare indietro, chi lo fa perde la testa della corsa e con essa la vittoria, la gioia, le miss, i premi. Non si può restare indietro, davanti c’è la gloria.

La corsa è lunga 260 km ed ha quasi venti “Muri”, strade ripide in pavè precedute dalle strettoie di cui si diceva: a tutta per essere i primi ad imboccarli, a tutta per arrivare in cima in testa, a tutta per essere ancora i primi a raggiungere il muro successivo. Strade che sembrano create ad arte per accogliere lo spettacolo sportivo. I gladiatori nell’arena, il pubblico sugli spalti. Gli stadi hanno nomi che non promettono nulla di buono: Eikenberg, Taaienberg, Molenberg, e ancora Kruisberg, Paterberg e Vecchio Kwaremont. Gli ultimi tre, durissimi, decidono la corsa mentre il Koppenberg e le sue pendenze da capogiro fanno la fortuna di spettatori e fotografi.

Il ciclismo nelle Fiandre è qualcosa di profondo, più forte di ogni valore e di ogni legame, è unione e condivisione di un amore che non ha limiti e unisce tutti. I Fiamminghi sono duri e orgogliosi, la loro è una storia di fatica nei campi e nelle fabbriche con pioggia e vento sempre dietro l’angolo, fango e pietre, freddo, poca gloria: il Giro delle Fiandre sublima tutto questo e diventa ancora di più. Inneres auge, il tutto è più della somma delle parti e quel tutto è più forte del resto, più grande della vita e della morte. Nelle chiese l’albo con i vincitori della corsa, per le strade un anno di attesa. Domenica scorsa si è sfiorata la tragedia quando un corridore di casa, il forte Vansummeren, ha travolto una spettatrice che ora lotta per la vita. Queste le parole del marito: “Marie-Claire aspetta tutto l’anno che arrivi il Fiandre. Ama il ciclismo. Il suo preferito è Tom Boonen, voleva vederlo. Ha battuto forte la testa e abbiamo temuto il peggio, che fosse morta sul colpo, perché non si muoveva” e aggiunge “Vansummeren non ha colpe, è stata una fatalità e preghiamo di poter vedere la prossima Ronde (il nome della corsa in fiammingo) insieme di nuovo a bordo strada”.

Viscerale, pazzesco. Lassù la pensano così e guai a contraddirli: i corridori sono eroi, l’attenzione è totale. La corsa ha toccato l’85% di share. Ha vinto un campione, lo svizzero Fabian Cancellara giunto alla terza storica affermazione nella corsa battendo tre belgi, tre fiamminghi veri che di nome fanno Van Avermaet, Van Marcke e Vandenbergh. L’osanna ricevuta sul palco è stata un boato così forte che nemmeno il beniamino di casa Tom Boonen era stato così tanto acclamato alla partenza.

Ah, dimenticavo… i dolori di cui parlavo all’inizio non sono frutto della vecchiaia né della partecipazione al Giro delle Fiandre, o meglio non a quello vero: la vigilia il percorso è chiuso al traffico e chi vuole può provare a modo suo le sensazioni che vivono i grandi campioni. Eravamo in 16000, il pubblico acclamava tutti, ed in cima al Vecchio Kwaremont ho quasi pianto. Non era solo il dolore.

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Davide Podesta
Nell’agosto 1997 ho acceso la tv ed invece dei cartoni ho trovato la Classica di San Sebastian. Da quel giorno è stato solo ciclismo, pedalato, gareggiato e raccontato ma soprattutto vissuto. Per me non è metafora di vita, è l’essenza: un amore incondizionato e puro, critico e consapevole ma neppur minimamente deteriorabile. Se leggo la Gazzetta in un bar lascio aperta la pagina del ciclismo affinché qualcuno la legga, se la discussione finisce sull’argomento state certi che metterò il cuore sul tavolo. Trasgredisco solo per le Olimpiadi, sia estive che invernali e detesto ogni critica che non sia costruttiva, soprattutto quelle di chi non accetta il passare degli anni. Suoi e degli altri.
Davide Podesta

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