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La corsa eroica

A settembre si sono svolte due delle più importanti gare di corsa in montagna di tutto l’arco alpino, due appuntamenti che – assieme alla Lavaredo Ultra Trail – rappresentano l’annuale ritrovo per molti appassionati di ultra-maratone ed endurance: l’Ultra Trail del Mont Blanc e la Tor de Geants. La prima, con partenza e a arrivo da Chamonix, ha visto vincere il francese Francois D’Haene che, precedendo di poco Killian Jornet e l’americano Tim Tollefson, ha concluso i 167, 5 km della corsa in 19h01min54s. La seconda, invece, con partenza e arrivo da Courmayeur, è un giro di 330 km attorno ai quattro giganti di pietra della Val d’Aosta: Monte Bianco, Monte Rosa, Cervino e Gran Paradiso. Il primo a coprire l’intera distanza è stato il basco Javi Domiguez che, dopo un’appassionante testa a testa con Franco Collè prima e con Oliviero Bosatelli poi, ha conquistato alla fine il traguardo in 67h52min15sec.

Questi i vincitori, le teste di serie che, soprattutto nel caso del podio della UTMB, riescono anche ad attrarre sponsorizzazioni di grandi marchi internazionali come Salomon, Hoka, GoPro e Suunto. Il mondo del trail e delle ultra-maratone, però, è composto per lo più da appassionati, da persone comuni che condividono la passione per la montagna e la corsa: donne e uomini con lavoro e figli, che coltivano la propria passione incastrandola con i tempi stretti della vita di tutti i giorni. Ed è proprio ad uno di loro, il genovese Davide Zerbino – 40 anni, informatico, 3 volte papà e finisher dell’Ultra Trail del Mont Blanc 2017 in 40h36min45sec – che abbiamo fatto qualche domanda su una disciplina che, ad esclusione dei top runner, sembra spostare la corsa da scenari sportivi a dimensioni più comuni, ma non meno eroiche.

Come hai iniziato a correre? E da quanto lo fai in montagna?
Ho cominciato su asfalto: 10 km e mezze maratone. Ma non sono mai stato un fenomeno a correre. Pian piano alla corsa tradizionale ho affiancato la corsa in montagna e nel 2011 ho fatto il primo trail con la RigAntoCa: l’obiettivo era arrivare alla fine camminando/correndo. L’ho finita e poi ho proseguito solo su sentieri.

Come sei arrivato al mondo delle ultra-maratone?
La prima ultra è stata il Trail dei Gorrei: una bella corsa ad anello sull’Appennino (45 km). Poi ho fatto diverse volte la Maremontana, la Porte di Pietra versione extra-long, la CCC – gara di 100 km che fa parte delle corse della Utmb – la Lavaredo Ultra Trail e ora la UTMB.

Come sei riuscito ad abituarti a chilometraggi così lunghi?
Le distanze sono una cosa molto mentale, più che di corsa. Indipendentemente da quanto sei allenato, anche 10 km all’inizio sembrano infiniti. Poi li fai e capisci che sono fattibili. Di volta in volta ho sempre cercato di aumentare la distanza: all’inizio ho sempre sofferto perché comunque non sai cosa c’è oltre, poi la testa capisce che è una cosa possibile e tutto diventa più semplice. Adesso una 100 km non mi spaventa più, mi piace l’idea e in 24 ore riesco a completarla.

Che preparazione hai fatto per l’Ultra Trail del Mont Blanc?
Non so se sono da esempio, io non ho un vero e proprio metodo di allenamento. La mia idea in questi anni è sempre stata quella di aver costanza: 2 o 3 uscite in settimana, cose brevi di una decina di chilometri da incastrare nei ritagli di tempo, sennò mia moglie chi la sente (ride)! Poi la domenica un’uscita di almeno 20 km, fino ad arrivare ad un complessivo settimanale di 50 km. Per come mi preparo io, però, la cosa importante è programmare delle gare come lunghi: quest’anno son partito con i 50 km della Maremontana, poi i 70 km della Porte di Pietra, i 120 km della LUT ed infine la UTMB. Non faccio ripetute o lavori di forza, ma vicino alla gara faccio molta attenzione alle salite: l’Ultra Trail del Mont Blanc ha 10000 mt di dislivello e in qualche modo bisogna farli.

Come hai corso la UTMB? Che alimentazione hai adottato?
In salita ho sempre camminato. L’importante è avere un bel passo: non ha senso spomparsi se non hai ambizioni particolari. Poi si corre in discesa e in pianura, ovviamente se la gamba regge. Sull’alimentazione, invece, non ho adottato strategie particolari. Ho cercato di mangiare un gel o una barretta ogni ora. Dopo un pò però ero disgustato e, dato che all’UTMB ci sono dei ristori pazzeschi (uno ogni 10 km più o meno), mi facevo sempre un brodino con la pasta, o due bicchieri di Coca Cola (che ti dà la carica di zuccheri e ti mette in ordine lo stomaco), o anche dei salumi se ne avevo voglia.

Come hai gestito il sonno in una corsa che ti ha impegnato 40 ore?
Per la maggior parte del tempo ho corso al buio: 2 notti e un solo giorno. E devo dire che il sonno è stata la cosa che ho patito di più. Assieme all’amico con cui ho fatto la gara, abbiamo dormito 20 minuti una volta e 15 un’altra, sempre con la testa sulle braccia e in un ristoro. Il problema è che quando ti addormenti la temperatura corporea cala; durante la gara, poi, abbiamo incontrato neve e maltempo e, anche se nei punti vita faceva un pò più caldo, quando dopo il sonno tornavamo fuori al freddo, la ripresa della gara era pura sofferenza. A Courmayeur c’erano anche le brande, ma essendo arrivato alle 9 di mattina c’era già luce e l’ora per dormire era passata. Insomma, non c’erano molte possibilità per chiudere gli occhi e dato che pioveva non si poteva farlo neppure sul percorso. Fatica, sonno e freddo: è stata dura gestirli assieme.

Hai avuto il classico momento di crisi?
A parte il sonno, devo dire che non ho avuto particolari momenti di difficoltà. A giugno, durante l’ultima Lavaredo Ultra Trail, ho avuto invece una crisi in cui ho detto: mi ritiro, disdico la casa Chamonix e non faccio l’UTMB. Faceva caldo, non avevo più acqua, pensavo che ci fosse ancora tanta strada prima del successivo ristoro e mi sono messo a riposare a margine di un sentiero: la gente passava e tutti mi chiedevano se stessi bene, ma quelle premure alla fine mi impedivano di dormire! In realtà, poi, il punto-vita non era così distante e una volta al ristoro sono resuscitato. Le crisi son così fatte: sicuramente arrivano, però come arrivano se ne vanno. Quindi se si riesce ad avere consapevolezza di questa cosa, non fanno più paura. Al’UTMB, invece, non ho avuto momenti di difficoltà simili (un po’ anche perché ero in compagnia); forse solo al Col Ferret, dove faceva freddo e nevicava, ho faticato un pò, ma senza grossi cedimenti.

Se dovessi scegliere: qual è il momento che ti ha colpito maggiormente in tutta la UTMB?
Sicuramente la partenza, assieme ad altre 2300 persone. Bellissimi i primi km dove corri affianco a tantissime persone provenienti da tutto il mondo. Ma anche durante la notte: trovi sempre gente ad applaudirti. E poi l’arrivo: dove corri l’ultimo chilometro e mezzo con due ali di folla!

E quello più strano?
Se escludi il momento-pipì-sincronizzato assieme al mio socio di gara, direi sicuramente le allucinazioni. Avevo già letto che il buio e la mancanza di sonno possono portare a vedere delle cose che non ci sono in mezzo al bosco. Durante una salita ero convinto di aver visto una trapunta verde piegata, mi sono avvicinato e alla fine era una pietra. Da lì poi ho iniziato a giocare e ho visto un albero-elefante, gli indiani-rami etc etc.

Non ti farò la classica domanda se lo rifaresti. Andrei oltre: la prossima gara? Hai mai pensato di fare il Tor de Geants?
Rispetto all’UTMB, penso che il Tor sia proprio un’altra gara, dove la cosa più importante sia gestire i sonni. E divisa in così tanti giorni, per me, è quasi più un’avventura, una gara di resistenza. Non penso che quella distanza faccia per me: già adesso con la UTMB sento di essere arrivato un po’ al limite. E fisicamente non penso che il mio corpo possa andare oltre. Al momento non ho obiettivi precisi: sicuramente mi piacerebbe fare gare in posti nuovi, ma con 3 bambini i costi lievitano. Vorrei staccare un pò, andare in bici, nuotare e magari darmi al triathlon o fare un mezzo Ironman. 

Ultima domanda: cosa è per te la corsa?
Una cosa naturale, una necessità, un modo per fare sport, un hobby, un momento mio.

E il trail?
Una sfida con me stesso.

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Chi sono? cosa faccio? dove vado? A tutte queste domande rispondo con un bel silenzio. Diciamo che lo psicodramma è il mio terreno preferito, altrimenti che genoano sarei?! Mi piacciono i piani ben riusciti ed è per questo che opero sempre in direzione contraria. Insomma ho una predilezione per gli sconfitti, i secondi e quelli che si sbattono. Per farla breve, per i gregari. Ahimè sono un romantico e quando vinco mi sento a disagio. Per questo sono sempre all’opposizione. Ci sono 4 cose che mi mandano in visibilio: la frazione a farfalla di Pankratov, l’eleganza di uno stop di petto, il culo di Franziska van Almsick e i tackle di Paul Ince. Per il resto bevo birra.

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