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Jamie Vardy è uno di noi

This world escape my mind cantano i Beneath The Lights, alternative rock band inglese. A Leicester e provincia sono già ben conosciuti. Se loro cercano ancora la consacrazione, qualcun altro dalle parti del fiume Soar è diventato un personaggio di culto. Sto parlando di Jamie Richard Vardy, centravanti del Leicester City. Fiumi di inchiostro sono già stati utilizzati a sufficienza per raccontare la sua storia. Pertanto cercherò – più semplicemente – di dire perchè piace Jamie Vardy.

Partiamo dal record di 11 gare consecutive segnando almeno un gol in campionato. Poco da dire: superlativo, poiché stabilito non con un top team ma con i Foxes, la cui ambizione sta salendo con il passare delle giornate ma partiti ad agosto con un’unica missione. La salvezza. Motivo numero 1: è una favola del calcio e lui ne è il fiero condottiero, il go-to-guy in maglia blu. Se date un’occhiata al fisico di Vardy, capirete subito che non si tratta di una vera e propria prima punta. Longilineo ma non altissimo, il suo vero punto di forza è che sa sempre dove si trova e come sfruttare le sue caratteristiche. Non è potente, ma sa reggere ai contrasti e di testa è molto bravo perché sa leggere le traiettorie come pochi.
Motivo numero 2: non è un cyborg tutta palestra e potenza fisica, tant’è vero che dopo il gol al Newcastle, davanti ai suoi compagni, disse che li aspettava in aereo una bella birra per festeggiare. Ovviamente era uno scherzo, ma ci siamo capiti.

Ogni anno esiste sempre un bomber che non ti aspetti, in ogni campionato. Di più, ogni anno esiste un bomber che non ti aspetti di una squadra che non ti aspetti. Ecco Leicester e il Leicester City. Da quando si è insediato il multimiliardario thailandese Vichai Srivaddhanaprabha è tornato in Premier e ha ottenuto una salvezza miracolosa. Sostanzialmente, niente di nuovo rispetto alla sua storia recente. Il primo posto è il miglior risultato della storia del club. Non era mai stato capolista. Una squadra tra tante, con un bomber tra tanti. No lui è diverso. In Italia si sono visti tanti giocatori anonimi, sopratutto negli anni Novanta, diventare capo-cannonieri e trovare il Paradiso perpetuo tra gli amanti del calcio. Ecco, motivo numero 3: Vardy a me ricorda Dario Hübner e Igor Protti, quelli di Piacenza e Bari. Non andò benissimo, specie per Protti e quel Bari, che retrocesse con il capocannoniere come numero 9. Auguro a Vardy e Ranieri di regalarci un sogno incredibile e clamoroso, per riscattare anche loro.

C’è un’istantanea che sottolinea bene l’idea di Vardy come personaggio: Leicester – Man. Utd, minuto 24. Jamie fa 60 metri di corsa forsennata senza palla, riceve il filtrante di Fuchs e fredda De Gea in uscita. Non è l’azione quello che mi ha impressionato. Nel preciso momento in cui la palla scavalca la linea di porta, Jamie Richard Vardy, 28enne di Sheffield, diventa il primo uomo a segnare in 11 partite consecutive di Premier, battendo tale Van Nistelrooy Ruud, che a Manchester, sponda Reds, qualche sfera ha insaccato. Lui come reagisce? Allargando – come sempre – le braccia e gridando: Me…me…yeah….it’s fuckin’ me!
Questa frase lo consegna alla storia della letteratura sportiva contemporanea. La sua è una presa di posizione, una dichiarazione al mondo intero: Ehi, si proprio io! Uno come me! Uno dei tanti, uno che viene dalla fabbrica di prodotti ortopedici – non dalle migliori Accademies del paese – uno che prendeva 60 euro al mese di stipendio in quinta serie, che giocava con un braccialetto elettronico alla caviglia. Si, proprio lui. Ha fatto tutto questo. Ha aperto le porte ai sogni di centinaia di bambini e ragazzi che faticano dopo il lavoro in campi di quinta e sesta serie; e magari anche a chi è in League One, la Lega Pro inglese, ad un passo dai grandissimi palcoscenici.

Vardy parla – anche – a loro nome. Vuole essere l’emblema di una generazione. Motivo numero 4 e definitivo: Jamie Vardy è uno di noi, di quelli che finiscono di lavorare in ufficio, fabbrica, libreria e preparano la borsa per l’allenamento della sera, quelli che chiedono i permessi per giocare al sabato, quelli che se nevica si allenano con il triplo della voglia, quelli che non prendono mezzo euro e, anzi, pagherebbero loro per fare anche solo cinque minuti a San Siro o all’Olimpico. Uno di noi, quelli che spiegano, senza bisogno di vocabolario e parole, il significato della parola passione.

Credits Image: Sisto Micheli

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Paolo Paolillo

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