Arirang Mass Games

Tra sport e Corea del Nord

Kim Kuk Hyang ha sedici anni ed ha appena vinto una storica medaglia d’oro ai mondiali di nuoto di Kazan. Poco dopo, sul podio, scoppia in lacrime come ogni adolescente ad un traguardo così importante. Poi esegue il saluto militare e, una volta intervistata, ringrazia il suo paese con una frase che suona più o meno così: «Volevo esprimere la mia gratitudine e il mio amore per la nazione. Devo tutto al governo».

Approcciarsi a parlare di sport in uno dei paesi più assurdi del pianeta è spinoso almeno quanto lanciarsi in un ginepraio e sperare di uscirne illesi. La Corea del Nord rappresenta uno dei peggiori modelli di stato ancora esistenti, la cui politica si basa su una dittatura totalitaria a immagine e somiglianza del defunto stalinismo e dove i diritti umani sono praticamente calpestati ad ogni livello sociale. Questa premessa non è certo allettante né tanto meno si può cercare il rovescio della medaglia come aveva cercato di spiegare Salvini circa un anno fa, quando di ritorno dal paese in questione, intervistato da una giornalista de Il Corriere, si lasciò scappare la frase: «[…] In Corea del Nord tutti i ragazzini fanno sport. E a me piacerebbe che anche a Milano i miei figli potessero giocare per strada». Solo peggio, come uscita, riuscì a fare il compagno di viaggio del leader del carroccio, il senatore Razzi, accostando la Corea del Nord alla Svizzera riguardo alla pulizia («[…]non c’è una cartaccia per terra!»). Poi tentò il salvataggio in corner arzigogolando un elogio personale alla libertà, effettivamente mancante nel paese asiatico.

In questa foresta di mangrovie si muovono innumerevoli movimenti sportivi. Marco Bagozzi, nella sua personale opera sul calcio in Corea del Nord dal titolo “Con lo spirito Chollima”, ripercorre la storia dello sport in questione dal 1955 al 2010. Ampio spazio, ovviamente, viene dato alle vicende più note, tra cui la vittoria sulla nostra nazionale per 1-0 nella gara d’apertura del Mondiale ’66, macchia che rimarrà per sempre sulla maglia azzurra, tanto che al ritorno in patria, proprio all’aeroporto Cristoforo Colombo di Genova, la delegazione italiana ricevette un animato lancio di pomodori. Furono tante, poi, le castronerie inventate dalla stampa sportiva internazionale all’indomani della sconfitta delle formiche rosse contro il Portogallo di Eusebio ai quarti di finale, alcune volevano i giocatori presi, deportati e uccisi nei gulag, quando invece Pak Doo Ik, autore del gol contro l’Italia, venne accolto in patria in un clima di tripudio totale, tanto da ritrovarlo come CT della nazionale alle olimpiadi del 1976 e alle qualificazioni ai Mondiali di Italia ’90. E alle Olimpiadi di Pechino 2008 fu addirittura tedoforo per la sua nazionale. Non saranno tante le occasioni per riscattarsi sportivamente, tranne la vittoria ai giochi asiatici del 1978 disputati in Thailandia, giochi dove la Corea si piazzò al quarto posto del medagliere generale, dietro gli acerrimi nemici vicini di casa della Corea del Sud.

In Corea del Nord vi sono circa 150 società di calcio che gestiscono qualcosa come 800 squadre, contando oltre 5000 tesserati. Particolare attenzione è da ricercare nel calcio femminile, che porta la nazionale ad essere all’ottavo posto nel ranking della classifica Mondiale, davanti a nazioni come Italia e Spagna, dove la cultura del calcio è quasi religiosa. Nel luglio del 2013, è stata storica la vittoria nella Coppa dell’Asia Orientale contro la Corea del Sud, cui seguirono foto di rito del leader supremo Kim Jong-Un attorniato dalle eroine calcistiche in lacrime: un’immagine tipica della propaganda di partito (affidata in questi giorni proprio alla sorella del leader). Documentandosi su altri sport è innegabile l’importanza del taekwondo e del ping pong, che accomunano gran parte dei paesi asiatici, tanto da diventare in alcuni di sport nazionale. Ma attenzione particolare va posta a giochi e danze che annualmente si mischiano nel più grande spettacolo di massa cui si possa assistere: l’Arirang Mass Games.

La prima volta che capita di vedere uno degli innumerevoli video in rete è impossibile trattenere la mascella dal cadere sul tavolo come nei migliori cartoons. L’Arirang è la rappresentazione della storia del paese o di particolari eventi che ne hanno tracciato la stessa, animata da oltre 100.000 persone tra ginnasti, danzatori e pubblico all’interno del Rungrado May Day Stadium di Pyongyang. Circa 20 anni fa, il 29 aprile del 1995, si ebbe il più grande afflusso di spettatori all’interno di uno stadio, arrivando a contare oltre 190.000 presenze. E dal 2007 la Corea del Nord detiene il Guinness World Record come l’evento di massa più grande del suo genere. Terminata la visione di uno di questi video si torna con i piedi ben saldi alla realtà, dove di fatto ogni cosa che si vede in questi spettacoli è subordinato ad allenamenti estenuanti, diete rigidissime e privazioni di ogni genere. Non è certo facile scrivere ignorando premesse come queste o reportage di non-vita quotidiana che ci giungono di tanto in tanto.

La Corea del Nord assomiglia al finale di Blade Runner, dove il replicante Roy Batty lancia un criptico messaggio prima di morire. Viaggia su due binari paralleli alla realtà: uno dai tratti grotteschi e l’altro dai tratti epici, proprio come l’Arirang, che altro non è che una canzone popolare inserita nel 2012 dall’UNESCO tra i Patrimoni orali e immateriali dell’umanità. Bizzarro, appunto.

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Alessio Rassi
Nato nello stesso giorno - ma diversi anni dopo – del plurititolato pilota di rally Renato Travaglia o del navigatore Daniel Elena, mi appassiono fin dai primi vagiti a ogni genere di sport motoristico, su strada e su pista. Pratico ogni sorta di sport non-motoristico e questo mi porta a non concludere nulla. Quando finalmente posso dedicare tempo e (pochi) soldi ai motori guidati mi accorgo di aver già troppi anni sulle spalle, facendomene una ragione davanti ad una birra trappista. Utilizzo i week-end di gran parte dell'anno per seguire il Motomondiale, la SBK, l'MX GP, il WRC con IRC annessi e connessi e varie corse su strada. Capita spesso che mi chieda come sarebbe stato fare di un hobby la ragione di vita ma non potendo dare una risposta mi limito a raccontarne qualche fatto, con un casco vicino e la passione nel cuore.
Alessio Rassi

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