Considerazioni semiserie di un blando pedalatore

È con grande piacere che saluto il mio esordio su queste pagine condividendo alcune mie leggere impressioni riguardanti il Giro d’Italia recentemente concluso. Nato nel 1909, il Giro è senza dubbio la manifestazione che più è legata alla storia e alla tradizione del nostro Paese, e alla quale gli italiani sono più affezionati. Basti guardare il pubblico che ogni anno si raduna ai lati delle strade semplicemente per salutare il passaggio della corsa. Per quale motivo in Italia il Giro riesce in questa impresa? È come una specie di profumo che si può respirare soltanto quando le strade si vestono di rosa. Un’emozione intensa, particolare, che si può vivere solo sul momento e che poi è difficile raccontare.
Perché il Giro mi carica così tanto?


Mi sono nuovamente posto questa domanda mercoledì 21 maggio, quando un modesto giro in bicicletta mi ha aiutato, forse, a mettere a fuoco alcuni aspetti prima mai considerati. Quel giorno il Giro è appunto transitato in Liguria, toccando Genova e giungendo poi al traguardo di Savona. Da buon ciclista della domenica, ho deciso di inforcare il mezzo meccanico per dirigermi verso il punto d’arrivo. Partire vestito di tutto punto con la divisa della Tinkoff Saxo, munito di borracce, tramezzini e barrette è già stata una vittoria. Perché? Non si sa. Non l’ho fatto molte altre volte? Sì, ma questa volta è diverso. Lungo la strada, quella stessa strada che ho percorso in altre innumerevoli occasioni, sento che qualcosa è cambiato. La gente già disposta ai lati o affacciata alle finestre è in attesa, i bimbi sono agitati, l’atmosfera è elettrica. Spesso regna un rispettoso silenzio. Pare che stia per arrivare da un momento all’altro un bombardamento aereo. Tutto è già dipinto di rosa: striscioni, palloncini, festoni, bandiere. Alcuni hanno tinteggiato vecchie biciclette o vecchie auto ormai inservibili, trasformandole in monumenti di omaggio ai corridori, moderni menhir piazzati sulla strada a mo’ di celebrazione del passato. Compare qualche scritta di incitamento. I furgoni responsabili del merchandising hanno già lasciato traccia del proprio passaggio, e molti sfoggiano con orgoglio la maglietta o il cappellino ufficiali.

Qualcuno se la cava esponendo alla finestra un semplice lenzuolo rosa a fiorellini: può bastare anche questo per fare la propria parte. Sembrerà strano, ma, inebriato da quel clima, a Varazze provo il primo forte brivido, quando dapprima individuo i cartelli di avvicinamento, poi passo sotto il traguardo volante. La mia non è certo una folle andatura, ma per un attimo mi sento quasi un corridore con un minimo di serietà. Poi avanti verso Savona, dove l’atmosfera è già caotica circa tre ore prima dell’arrivo, e una folla sterminata ha invaso le strade nella zona del traguardo. Posso solo avvicinarmi al rettilineo finale (già transennato), ma basta un’occhiata fugace per farmi salire l’adrenalina. Mi dirigo dunque verso il Santuario di Nostra Signora della Misericordia, 7 km dal centro lungo una strada in leggera salita. E’ quello che fa per me: dopo comincia la ben più dura salita di Naso di Gatto, e non ho per nulla intenzione di chiedere troppo ai miei arti inferiori. Al mio arrivo al Santuario, si verifica qualcosa di davvero divertente: il gruppo di anziani del vicino ospizio, trasportati per l’occasione sul piazzale per godere di una giornata un po’ diversa, applaude e lancia incitamenti al mio passaggio. Non posso far altro che ringraziare e accennare che però non faccio parte della gara. Poi il Giro passa, ed è il solito susseguirsi di emozioni che quasi non lascia respiro: il segnale di inizio corsa, le moto, i mezzi dell’organizzazione, i fuggitivi, poi il gruppo, le ammiraglie, infine il segnale di fine corsa. Tutto accade velocemente, c’è quasi da chiedersi se sia accaduto davvero. Quindi torno verso Savona, per veder passare la corsa ancora una volta in prossimità delle curve prima del traguardo. Durante la discesa, questa volta sono i bambini a farmi decisamente sorridere: due mi chiedono a gran voce una borraccia, ma per evidenti motivi (devo tornare a Genova e non ho un’ammiraglia al mio seguito) sono costretto a non accontentarli. Un altro, mentre mi aggiro guardingo nei paraggi del percorso finale, sgranando gli occhi fa notare alla madre come io sia rimasto staccato dal gruppo.

Ecco, è questo che mi è rimasto maggiormente in testa dopo la bella giornata al seguito del Giro. Nonostante i miei evidenti limiti tecnico-atletici, nonostante portassi uno zaino sulle spalle, non esponessi il numero di gara, e nonostante circolassi per conto mio al di fuori del regolare percorso o all’esterno del corteo dei mezzi dell’organizzazione, sono bastati un casco e una maglia della Tinkoff per farmi diventare, agli occhi puri di anziani e bambini, un professionista partecipante al Giro d’Italia. Dubito che basti presentarmi vestito con pantaloncini e calzettoni nei pressi dell’Olimpico per essere scambiato per Totti, o raggiungere il Foro Italico munito di racchetta per essere applaudito come Federer. Credo sia questo il segreto: ciclisti e tifosi sono divisi da un confine talmente sottile che è addirittura possibile per un ignoto e ignaro (nonché lento) pedalatore come me essere per un attimo scambiato per un grande campione. Inutile precisare quanto queste sviste mi abbiano fatto divertire. Beh, se puoi far emozionare e sorridere così, se il tuo potere è questo, allora grazie Giro. All’anno prossimo.

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Francesco Defano

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