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Il campione di Brownsville – Il cannibale

Ero un disadattato di Brownsville e all’improvviso mi trovavo circondato da adulatori. Era assurdo” – Mike Tyson, True

Negli ultimi 2 mesi il libro sul mio comodino è stato True di Mike Tyson. Ho fatto fatica a finirlo, non perché sia lento o noioso, ma leggere una vita in oltre 600 pagine richiede attenzione e comprensione. Tyson non cerca assoluzioni o redenzioni (tipicamente americane), semplicemente si racconta. Con onestà, senza nascondere nulla e abbondando in particolari. Ne esce una vera biografia, senza esaltazioni, omissioni o eroismi (che poco si addirebbero alla figura in questione). Tyson è stato un pessimo esempio, un delinquente, ma anche un campione insicuro e a suo modo una vittima che ha pagato a caro prezzo l’impreparazione al successo e la violenza della vita. Da questa lettura ho tratto ispirazione ed è nata Il Campione di Browsville, una serie di 3 articoli in cui viene condensata la vita di Mike Tyson. Largo spazio trovano le gesta sportive, un po’ meno quelle personali. D’altronde riassumere tutte le cazzate di Mike sarebbe impossibile (ipse dixit). E per questo, poi, c’è la sua biografia.
Leggi la prima parte: Il campione di Brownsville – Iron Mike

Il 7 marzo 1987, dopo aver sconfitto Berbick, battendo ai punti James “Spaccaossa” Smith, Tyson diventa campione WBA. Pochi mesi dopo si laurea anche campione assoluto sconfiggendo Tucker. Vince incontri su incontri e quasi tutti al primo round. Tra le vittime ci sono Pinklon Thomas, messo knockout in modo piuttosto violento, Tyrell Biggs, colpevole di essere andato alle Olimpiadi di Los Angeles al suo posto e massacrato anche per uno sgarbo passato, Larry Holmes, che aveva conservato il titolo dei massimi dal 1978 al 1985 (difendendolo anche contro Muhammad Alì nel 1980), e l’ex imbattuto campione dei medio-massimi Michael Spinks, mandato al tappeto in soli 91 secondi.
Tyson è inarrestabile, ma sembra non divertirsi più. Lo sport è diventato business e l’umanità che lo circonda è per lo più interessata ai milioni di dollari che girano attorno ai suoi match. Inizia ad essere stanco, doversi continuamente confermare come il migliore inizia a pesargli e la pressione attorno alla sua figura inizia a diventare soffocante. Fama e notorietà influenzano direttamente le prestazioni sportive e la sua vita inizia ad essere più fuori che dentro il ring. Iron Mike è una macchina da soldi: per bookmakers e giornali, per il mondo della boxe e il suo staff, per Don King e anche per la prima moglie Robin Given. La sua normalità di base, pian piano, comincia ad essere composta da dipendenze: sesso, droga, alcool, violenza e caos. Alla lunga, l’aver vinto il titolo dei massimi senza Cus D’Amato si rivelerà un trauma: senza una guida Tyson perde il suo equilibrio, si smarrisce, diventando ostaggio di Iron Mike, della propria vulnerabilità e debolezza. Un “pollo da spennare”, ottima preda per avvoltoi e opportunisti. E Mike, ovviamente, ci metterà sempre del proprio per peggiorare le cose.

Eppure nel 1989, all’Mgm Grand di Las Vegas, va in scena probabilmente uno degli incontri più spettacolari della sua carriera, quello contro Frank Bruno. Per la prima volta Tyson viene centrato da un gancio sinistro d’incontro alla punta del mento, ma si tratta solo di un momento. A pochi secondi dalla fine della 5a ripresa, le difese di Bruno cedono: il britannico è centrato con due uppercut di destro, di cui il secondo devastante, il tutto seguito da un gancio sinistro.

L’arbitro Richard Steele decide di fermare l’incontro: Bruno è svenuto in piedi.

La supremazia di Tyson, però, si conclude inaspettatamente l’11 febbraio 1990 a Tokyo, quando viene sconfitto da James Douglas, detto “Buster”, per ko alla decima ripresa. A causa degli scarsi allenamenti Tyson è sottotono e, ciononostante, Douglas, pur avendo dominato il match fino all’8 round, va giù poco prima della fine della ripresa: cronometrista giapponese e arbitro messicano non riescono a coordinare il conteggio, mentre Buster si rimette in piedi e metterà ko Tyson alla decima.
Da questo momento inizia così la rincorsa verso il titolo mondiale, ma nei due anni successivi Mike disputerà e vincerà soltanto 4 incontri (di cui 3 per KO e 1 molto contestato contro Ruzzor Ruddock). Nel 1991, però, la riconquista si blocca: per lo stupro di Desiree Washington, Tyson verrà condannato a 10 anni di carcere (di cui 4 con pena sospesa). Dopo 1095 giorni di reclusione, beneficiando di uno sconto per buona condotta, tornerà in attività soltanto nel marzo del 1995.
Commentare un processo che ha diviso un intero paese tra innocentisti e colpevolisti, non è affar semplice. Personalmente ritengo che Tyson ai tempi fosse affetto da diverse dipendenze, tra cui il sesso. Le sue interazioni con il mondo femminile, poi, sono sempre state influenzate dal rapporto traumatico con la madre. E Mike, di certo, non si è mai potuto definire un gentleman. Questo no, ma neppure uno stupratore. Troppo difficile, quindi, stabilire la fine della verità e l’inizio dell’interesse.

Tornato in libertà, Tyson porta a compimento la sua restaurazione: contro Frank Bruno riconquista la cintura WBC e contro Bruce Seldon quella WBA. E nel novembre del 1996, a 30 anni compiuti e a dieci anni dal primo titolo mondiale, arriva il momento di difendere il titolo contro un avversario di grande prestigio: Evander Holyfield. Tyson perderà per ko tecnico alla decima ripresa, ma non senza polemiche. Per tutto il match, infatti, il suo avversario lo prende a testate, tanto che finirà l’incontro con 6 bernoccoli grandi come pugni. L’arbitro Mitch Halpern, probabilmente ubriaco, permette ad Holyfield di ingaggiare il corpo a corpo facendosi scudo con la testa e all’ingaggio del clinch Tyson viene sistematicamente colpito sul volto.
Il 28 giugno 1997, a Las Vegas, la rivincita verrà così arbitrata da Mills Lane. La tattica di Holyfield è chiara fino dall’inizio: aspettare il pugno di Tyson, buttarsi dentro la guardia e colpire con la testa. Mike chiuderà il secondo round con un sopracciglio spaccato, senza però alcuna ammonizione per l’avversario. L’andamento della terza ripresa è simile alle due precedenti, fino a 30 secondi dalla fine: Tyson sputa il paradenti e morsica l’orecchio destro di Holyfield, che inizia a perdere sangue e a saltare per il dolore. Il match viene sospeso per un paio di minuti, ma al ritorno sul ring la scena si ripete quasi identica: corpo a corpo, testata di Holyfield e Tyson che morde l’orecchio (stavolta il sinistro). Riesce a lacerarne un pezzo, che sputa sul ring. Il match è sospeso.

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Chi sono? cosa faccio? dove vado? A tutte queste domande rispondo con un bel silenzio. Diciamo che lo psicodramma è il mio terreno preferito, altrimenti che genoano sarei?! Mi piacciono i piani ben riusciti ed è per questo che opero sempre in direzione contraria. Insomma ho una predilezione per gli sconfitti, i secondi e quelli che si sbattono. Per farla breve, per i gregari. Ahimè sono un romantico e quando vinco mi sento a disagio. Per questo sono sempre all’opposizione. Ci sono 4 cose che mi mandano in visibilio: la frazione a farfalla di Pankratov, l’eleganza di uno stop di petto, il culo di Franziska van Almsick e i tackle di Paul Ince. Per il resto bevo birra.

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